Alla ricerca dei perché della crisi italiana: da un’intervista di Marcello De Cecco

L’intervista, pubblicata sul Venerdi di Repubblica del 26 agosto 2011, parte dal semplice interrogativo se egli ritenga gli italiani consapevoli di quello che li aspetta.

Marcello De Cecco, economista, già professore alla Normale di Pisa, a Princeton, alla London School of economics e all’ENA di Parigi, risponde con scetticismo:

“ Di solito, se le persone sono informate di quel che succede, se ne rendono conto. Altrimenti lo capiscono quando vengono colpite direttamente”.

Anche il livello di informazione non aiuta. Infatti, alla domanda se egli ritenga che le persone siano informate, segue una risposta non incoraggiante:

“ Non mi pare, esclusi i pochi che leggono i giornali o guardano i Tg di nicchia. Non ci è stato ripetuto che qui tutto va bene, che la crisi ha colpito meno e che ne siamo usciti meglio? Anche Eurobarometro ha riscontrato che in Italia prevale l’ottimismo”.

Ottimismo che De Cecco non condivide assolutamente e espone alcune considerazioni sul passaggio all’euro di dieci anni fa.

“La serietà della faccenda dipende anche da quello che succede nel resto del mondo. Ma una cosa è sicura: già dalla vittoria alle elezioni del 2001, il governo Berlusconi, vedendo che il Pil non cresceva e che c’era poco reddito, ha pensato di ridistribuirlo togliendolo ai lavoratori dipendenti e passandolo ai suoi elettori. Profittando del passaggio all’euro, si è limitato a non applicare i sistemi di vigilanza sui prezzi approntati dal governo di centro sinistra, consentendo al suo elettorato di imprenditori e mediatori di stabilire i prezzi e arricchirsi alla grande. Così, grazie a questi profittatori di regime, oggi paghiamo il pane seimila lire al chilo.”

Ma perché riparlare di lire? Ecco la risposta:

“Può permettersi di ragionare in euro solo chi fa i prezzi. Se un lavoratore dipendente tira fuori una sua busta paga di dieci anni fa si rende conto di quanto si è impoverito, visto che, da subito, un euro ha smesso di valere duemila lire per passare a mille. Devo riconoscere che l’unico a prevedere e annunciare un’impennata dei prezzi fu il cavalier Berlusconi, io e altri economisti non ci pensammo proprio. Credevamo che il centro sinistra restasse al governo e fosse in grado di gestire la transizione come in Finlandia, in Germania, in Olanda. Ci sono Paesi sommersi o salvati dall’euro: i sommersi sono quelli senza Stato, perché in queste temperie di globalizzazione e integrazione internazionale solo chi ha lo Stato riesce a sopravvivere.”

In questa situazione facile prevedere un aumento dei prezzi, ma De Cecco distingue:

“Di solito a settembre si ritoccano, ma non credo che quest’anno succederà perché frutta e verdura hanno già raggiunto prezzi inimmaginabili dieci anni fa: se fanno altri rincari i negozi si svuotano. Però, a parte i preannunciati aumenti su bollette e consimili, saliranno invisibilmente quanto inesorabilmente i costi di tutti quei servizi rilasciati senza staccare una ricevuta fiscale. Quei milioni di lavoratori autonomi che ci infestano perché non c’è occupazione e allora uno se l’inventa. Inventando nuovi bisogni. Un circuito chi ci accudisce dalla nascita alla bara  senza passare per l’IVA, la cui evasione costituisce due terzi dell’intera evasione fiscale.”

Nella crisi italiana la famiglia viene caricata di nuove responsabilità:

“A questa esausta famiglia viene chiesto di far fronte a tutto. Ma la gente si è stufata. Questi poveri vecchi, queste nonne di settant’anni costrette a badare ai nipotini avuti da figli quarantenni. Ma come li possono crescere? La famiglia è l’ultimo ammortizzatore sociale che ci rimane perché tutti gli altri ci hanno tradito. Ci sono rimasti i genitori e i preti. Ma a me che sono laico dare i soldi alla Chiesa perché faccia il lavoro dello Stato non fa piacere.”

Ma non c’è da stare allegri perché:

“Il segreto dell’immobilità italiana è che le cose accadono lentamente, impercettibilmente; è anche per questo che non c’è mai stata una rivoluzione. Ci si sfilaccia, ci si logora, si consumano i risparmi, il ceto medio diventa micro borghesia, compra i mobili di Ikea perché non può permettersi più quelli fatti in Italia, ma sono cose lente. All’inizio del seicento eravamo i più ricchi d’Europa e alla fine esportavamo solo grano, lenticchie, un po’ di seta grezza. Noi andiamo male dagli anni novanta, ma ci si aggiusta, si fanno meno figli, o si rimane a casa dai genitori per non abbassare il tenore di vita.”

La riflessione di De Cecco si chiude sugli scenari internazionali  nei quali alla crisi si accompagna “un’enorme quantità di denaro messa in circolazione dalle banche centrali americane, inglesi e dalla BCE che non trova modo di essere investita nell’economia reale, stagnante quasi ovunque.”

Quindi di denaro ne circola tanto, ma è disponibile solo per avventure finanziarie “a scapito dell’economia reale”.

De Cecco conclude sottolineando che c’è un forte rallentamento dell’economia “perfino in  Germania e in Cina, i più grandi esportatori del mondo”.

Messi alcuni punti fermi per capire cosa è successo per arrivare al punto in cui ci troviamo è necessario passare alle misure concrete. Se abbiamo capito le cause possiamo trovare i rimedi.

a cura di Cl

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