Annullare la Tav? Un puro spreco

I costi della rinuncia alla Tav sarebbero molto elevati. Alle penali vanno aggiunte le spese già sostenute per le prime opere e, soprattutto, la perdita dei fondi europei: in totale sarebbero più di 4 miliardi. Oltre al danno per la credibilità del paese.

IL DEFICIT STRUTTURALE DELLA FERROVIA

Quale che possa essere il risultato del ricalcolo promesso dell’analisi costi benefici sulla Tav per evidenziare solo ciò che attiene alla parte italiana, permarrà ampiamente negativo, a causa della modalità di calcolo utilizzata. Sembra dunque utile una riflessione economica sulla sua attendibilità nonché un’analisi finanziaria del costo del possibile annullamento del progetto, che è un calcolo del tutto differente: non una valutazione del benessere collettivo generato, ma un’analisi del costo per le finanze del nostro paese.

Rileggo l’articolo “Perché facciamo così l’analisi costi benefici” di cinque membri della Struttura tecnica incaricata dell’analisi. Vi si afferma che, in presenza di un progetto che riduce i tempi di viaggio, vi sono due metodi equivalenti per il calcolo del beneficio degli utenti: considerare il vantaggio “puro”, senza computare accise, oppure considerare il vantaggio percepito, comprensivo di tutti i benefici per l’utente, ma aggiungendo lo svantaggio per lo stato che perde le accise. Il costo “puro” della strada è assai più basso del costo percepito, dunque se si manifesta un cambio modale con passaggio alla ferrovia, “con il primo metodo otterremmo direttamente un bilancio negativo” (e col secondo metodo, usato per la Tav, lo stesso). Con questa impostazione è chiaro che il trasporto pubblico su ferro porterebbe fatalmente sempre a un vantaggio negativo per gli utenti. Con l’ulteriore paradosso che lo svantaggio della ferrovia aumenterebbe nel caso si abbia un maggior incremento di efficienza del progetto e un conseguente maggiore spostamento di passeggeri verso il treno.

Dato questo risultato ampiamente predeterminato, perché mai effettuare una analisi costi benefici quando si tratta proprio di passare alla ferrovia? Si risponde: perché così ci suggerisce di fare la Banca Mondiale. Ma la Banca Mondiale ci ha abituati spesso, anche in altri campi, a suggerimenti contestabili e contestati, tant’è che l’Unione europea non sottoscrive questa metodologia. Quali elementi del costo generalizzato di trasporto per i due mezzi sono poi considerati? Solo tariffe e tempi di viaggio o anche, ad esempio, il costo opportunità di un viaggio in auto in cui non si può lavorare o dormire se si vuole? Il deficit “strutturale” della ferrovia mi sembra sospetto.

IL CASO DELLE ACCISE E DEI PEDAGGI

Ma c’è una seconda riflessione che mi pare dirimente. La giustificazione economica della tassazione sui carburanti (al di là delle esigenze di fare cassa per lo stato) è quella di compensare le esternalità negative per inquinamento, incidenti e altro: costi sociali, ma soprattutto costi pubblici in capo al sistema sanitario nazionale. Si tratta di una tassa pigouviana che, nel caso ambientale, risponde al principio “chi inquina paga” (e che vuole soprattutto costituire un disincentivo all’uso di mezzi inquinanti).

Nel nostro caso, il traffico automobilistico che potrebbe passare al ferro secondo lo scenario “realistico” della Struttura tecnica genera esternalità negative per 1.785 milioni, quasi perfettamente compensate dalle accise per 1.619 milioni. Ma, anche se compensati, i danni ci sarebbero comunque. Invece, se si realizzasse il progetto, da una parte i danni sarebbero evitati (e sarebbero, come sono, computati come benefici del progetto), ma le corrispondenti accise perdute dallo stato, che la Struttura tecnica computa come costi del progetto, non vanno considerate perché le perdite dello stato sono in realtà pari a zero: minori accise, ma anche minori costi sanitari da sostenere. Dunque, nel metodo ha ragione l’Unione europea.

Il caso dei pedaggi autostradali è in parte diverso da quello delle accise. È razionale che un investimento dello stato non debba andare a scapito dell’efficacia di un altro precedente, soprattutto se realizzato da un privato con un contratto di concessione. Ma il principio non deve essere inteso come una garanzia statale sull’intero ricavo del concessionario (e soprattutto sui suoi profitti, spesso duramente criticati dallo stesso Marco Ponti per la loro eccessiva dimensione). Razionalità vuole che siano computati solo i costi del minore utilizzo dell’autostrada, che non hanno nulla a che fare con i pedaggi.

Un terzo elemento, che pure aumenta i benefici del progetto rispetto a quelli stimati, consiste nella considerazione esplicita dei costi per il ripristino dei luoghi e per penali sui contratti in essere e violazioni di accordi internazionali nel caso di abbandono del progetto.

Tutto ciò è un tipico costo che discende dalla natura anomala e irrituale del compito proposto ai valutatori: valutare un progetto infrastrutturale già in corso. La Ragioneria dello stato ha calcolato il costo in circa 1,5-1,7 miliardi di euro, non considerati dalla Struttura Tecnica (ma evidenziati da Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli: La Repubblica, 19 febbraio).

Un’ultima riflessione su questa particolare analisi costi benefici. Mi piacerebbe vedere le sue applicazioni allargarsi da una valutazione riduttivamente trasportistica (minuti guadagnati, tonnellate di emissioni, e così via) a una valutazione dello sviluppo territoriale prevedibile, trainato dai vantaggi localizzativi forniti dalle infrastrutture stesse, totalmente ignorati.

LE RISORSE PERSE SENZA LA TAV

Ma veniamo a considerazioni di natura finanziaria, giustamente non comprese nell’analisi costi benefici, ma rilevanti per la decisione politica finale.

I costi di una rinuncia al progetto sarebbero estremamente elevati: a quanto ora detto su quelli di natura giuridica, si deve aggiungere la vanificazione della spesa sostenuta fin qui per le prime opere (almeno 750 milioni). Infine, occorre parlare dei fondi europei. La disponibilità della Commissione europea a coprire il 50 per cento dei costi di investimento residui non deve essere computata nella analisi costi benefici, ma deve rientrare nel quadro delle decisioni di finanza pubblica per una ragione chiara: non esistono attualmente in Italia progetti rilevanti e cantierabili che potrebbero sostituirsi alla Tav. Queste risorse disponibili andrebbero ampiamente perdute: 2.500 milioni pagati in ultima istanza dagli italiani. Sommando i tre valori, il costo finanziario del “ripensamento” sarebbe per lo stato italiano di oltre 4 miliardi: ben più alto dei costi per terminare l’opera.

Sulla base di una analisi costi benefici assai discutibile, il ministro Toninelli intende davvero buttare al vento una montagna di risorse pubbliche, in un momento critico della congiuntura economica e dei conti dello stato, danneggiando livelli occupazionali e potenzialità di sviluppo, nuocendo per di più alla credibilità internazionale del paese (nonché del suo governo)?

Roberto Camagni tratto da www.lavoce.info

1 commento
  1. Albert Mairhofer dice:

    l’alternativa TAV:
    La copertura fotovoltaica delle autostrade per la protezione di tutta l’infrastruttura, per generare energia elettrica per la mobilità e per collocare linee elettriche e di dati, che supportano contemporaneamente la copertura fotovoltaica e la rotaia multifunzionale della monorotaia sospesa. Sulla rotaia scorrono trolleys semoventi con sollevamento:

    a) per il trasporto sospeso di cabine passeggeri (aerobus), container merci (10 t) ecc.;
    b) per trainare e guidare veicoli a combustione interna o senza propria trazione (rimorchi)
    c) per la trasmissione di elettricità ai veicoli elettrici, che possono quindi ricaricare la batteria durante la guida (o nelle aree di sosta),
    cioè sopra la prima corsia.

    d) per una monorotaia sospesa ad alta velocità – AV sospesa – Aerobus – sopra la 2a o 3a corsia autostradale https://www.youtube.com/watch?v=vs8VghXjFTQ , che al di sotto rimane percorribile fino all’altezza di 2,5 m.

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