Calma è solo una riforma costituzionale

Già da un po’ la calma si è persa in una campagna referendaria che definire livorosa è poco. Si è detto che l’errore iniziale è stato fatto da Renzi che ha messo in gioco la sua permanenza al governo in base al risultato del referendum del 4 dicembre. E che c’è di strano? Il suo governo si è formato mettendo al centro del programma la riforma costituzionale; addirittura quando si è presentato al Senato per chiedere la fiducia nel febbraio del 2014 ha iniziato il suo discorso dicendo che sperava fosse l’ultimo a richiederlo in quell’aula. Chi lo critica per essersi messo in gioco fa finta che non ci siano state le elezioni del 2013, la paralisi del Parlamento, la rielezione di Napolitano a Capo renzi-fiducia-in-senatodello Stato, il governo Letta con i saggi messi lì a riscrivere la Costituzione. Importante per questi critici, Berlusconi innanzitutto, è farsi belli dimenticando il passato dal quale provengono. Anche la Lega di Salvini vuole che si dimentichi il passato e anche il M5S nato e cresciuto urlando contro le caste della politica e oggi schierato per il mantenimento dello status quo. Ovvio, se i problemi si risolvono contro chi urlerà Grillo in futuro? Possiamo definirli politicanti che abusano della creduloneria popolare? Sì.

Comunque, nei due anni successivi il cammino della riforma è stato tormentato, ma costante e con un contributo parlamentare alla sua scrittura determinante. Si è detto che questa è la riforma del governo. Ah sì? E come la vogliamo mettere con le decine e decine di emendamenti accolti durante i sei esami conclusisi con sei voti a favore? Alcune di queste modifiche hanno portato a complicazioni inutili nel testo finale, ma comunque non ne hanno pregiudicato la sostanza. Il bello è che alcuni di quelli che le hanno pretese e che poi hanno votato sì a tutta la riforma adesso hanno cambiato idea e lavorano per il no. Un nome per tutti: Pierluigi Bersani. Cosa non si farebbe in politica contro il proprio avversario!

si-no-referendumIn ogni caso noi cittadini dobbiamo dire se questa riforma ci sta bene oppure no. E qui la scelta è semplice: se passa il sì la riforma entra in funzione; se passa il no non cambia niente. Ovviamente se non cambia niente poiché sono tanti anni che si denuncia l’inadeguatezza delle istituzioni e il malfunzionamento dello Stato, qualche preoccupazione sul nostro futuro è giusto averla.

Ma se la riforma entra in funzione che succederà di così sconvolgente da far gridare alla deriva autoritaria, alla sottrazione di libertà, allo stravolgimento della Costituzione? Vediamo.

Cambia il bicameralismo, da paritario a differenziato. Che vuol dire? Semplice: la Repubblica in Costituzione è sempre stata definita come l’unione di regioni, comuni, province (non compaiono più nella riforma), città metropolitane (definiti enti autonomi e con propri statuti) e Stato. Cosa c’è di più ovvio che avere un Parlamento composto da una Camera espressa da tutti i cittadini alla quale fa capo il governo nazionale e un’altra Camera, il Senato, che rappresenta le istituzioni territoriali?

bicameralismoLa vera anomalia è quella che c’è stata fino ad ora con due camere equivalenti e nessuna sede istituzionale per regioni e autonomie territoriali (la Conferenza Stato regioni che c’è oggi non è assolutamente equivalente ad una Camera del Parlamento). Un’anomalia spiegata e rispiegata con la situazione post bellica che vedeva due blocchi contrapposti, centrista e social comunista, che dovevano fronteggiarsi senza che prevalesse il secondo anche se avesse vinto le elezioni. Per questo bisognava inventare un “sistema di blocco” istituzionale che lo impedisse. Di qui le infinite alchimie della prima repubblica per ostacolare l’ascesa dei comunisti e sopire le tensioni sociali con la mediazione corporativa. Di qui anche la duplicazione delle sedi decisionali e il depotenziamento del governo.

Il bicameralismo differenziato risolve questa anomalia e, ovviamente, per farlo richiede un po’ più di complessità nella definizione delle rispettive funzioni. “Ci tolgono la libertà di votare i senatori”, questo uno degli argomenti dei sostenitori del NO. Praticamente un dramma se si pensa a quanto ci abbiano sempre tenuto gli italiani alla scelta dei senatori preferiti. Vero o falso? Falso, perché gli italiani non hanno mai scelto i senatori bensì il partito che decideva il nome da proporre (per anni scritto proprio sulla scheda). Ma alcuni hanno voluto a tutti i costi introdurre una sorta di elezione diretta e così l’art 57 comma 5 prevede che l’elezione da parte dei consigli regionali dei senatori avvenga in conformità alle scelte espresse dagli elettori. Ce n’era bisogno? No perché il Senato rappresenta le istituzioni territoriali le quali sono elette direttamente dai cittadini. Ma tant’è, la politica è fatta di compromessi.

riforma-costituzionaleAltra modifica, le competenze delle regioni e dello Stato che vengono modificate dopo la pessima esperienza della riforma del Titolo V del 2001. Finora tutti dicevano che quelle norme andavano cambiate e che buona parte del debito pubblico era stato provocato da regioni con troppi e confusi poteri. Ora che la riforma c’è è partita la lamentela sulle autonomie soffocate e la denuncia di stravolgimento del regionalismo previsto nella Costituzione del 1948. Che ipocrisia! Quello del 1948 è finito nel 2001 e oggi è questo che si cambia. In un lontano futuro sarà auspicabile procedere ad accorpare un po’ di regioni perché 20 sono troppe ed abolire gli statuti speciali che sono stati un sicuro rifugio per ceti politici regionali voraci e spreconi. Ma non sarà affatto facile.

valutazione politiche pubblicheNovità rivoluzionarie, ma poco notate perché poco utili per le polemiche, invece sono quelle di aver previsto tra le competenze del Senato la valutazione delle politiche pubbliche nazionali ed europee alla luce del loro impatto sui territori; l’introduzione dei referendum propositivi e di indirizzo e di altre forme di consultazione delle formazioni sociali “al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche; la diminuzione del quorum per i referendum abrogativi; la certezza dell’esame delle proposte di legge di iniziativa popolare; la citazione del criterio della trasparenza nell’articolo dedicato all’organizzazione dei pubblici uffici; la previsione di uno statuto delle opposizioni nel regolamento della Camera; il taglio dei compensi per i consiglieri regionali e di quelli per i gruppi consiliari; la stretta sui criteri per l’emanazione dei decreti legge da parte del governo; la soppressione del Cnel; l’abolizione delle province. (In questi ultimi due casi dopo anni di litanie contro sono spuntati fuori gli estimatori che hanno tanti dubbi sulla cancellazione. Bastava che Renzi avesse detto che dovevano rimanere per sentire i cori contrari).

In conclusione non una riforma perfetta, ma una sfida per attuarla e fare meglio in futuro. Bocciarla non significa farne una migliore subito dopo, ma stare fermi ancora a lungo. A lamentarsi (e chi ci vive di lamentele, rabbia e protesta sarà contento)

Claudio Lombardi

1 commento
  1. claudiodefelice dice:

    Parlami dell’immunita’ donata a questi fantomatici futuri senatori qualora malauguratamente passasse questa deforma.

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