Chi la spara più grossa vince? (di Claudio Lombardi)

Grillo chiede ad Al Qaeda di bombardare il Parlamento. Berlusconi si preoccupa delle signore che vogliono pagare in contanti pellicce e gioielli e contemporaneamente promette aliquote fiscali molto basse, abolizione e restituzione dell’IMU, “guerra” alla Germania e, persino, l’uscita dall’euro. Entrambi non parlano il linguaggio della verità, ma quello della pubblicità. Sanno benissimo che quello che dicono è aria fritta cioè irrealizzabile o falso, ma lo dicono lo stesso per il coinvolgimento emotivo che può suscitare esattamente come fanno i piazzisti nei mercati di provincia quando si impongono con le urla e con l’esagerazione smodata per vendere qualcosa che non potrà mai corrispondere a ciò che dicono. Tutti lo capiscono, ma soggiacciono all’illusione o subiscono la forza di chi afferma una verità urlata.

Si sa che governare e fare politica non è facile e che bisogna avere cultura, senso della missione da compiere per la collettività, capacità di vedere lontano, competenze, lealtà, onestà. Si sa, eppure nel momento della campagna elettorale ad alcuni piace lasciarsi andare alla suggestione ancestrale di ammirare chi si candida ad essere il “capobranco” ed esibisce la sua sfrontatezza e la sua determinazione al di là di qualunque ragionamento. È il carisma micidiale arma con la quale tante volte i popoli sono stati catturati e portati al disastro.

Lo si sa, ma gli aspiranti “capibranco” volitivi e sfrontati riescono sempre ad avere un seguito. Perché? Prendiamo due esempi: Grillo e Berlusconi.

Il primo si identifica con un’intransigenza verbale che si trasforma in aggressione e in insulto. Il suo “segreto” è presentare obiettivi strategici complessi come soluzioni immediatamente realizzabili. Automaticamente nemici e degni di insulto sono quelli che le ostacolano. Grillo non si espone al dubbio, non fa distinzioni, semplifica al massimo e propone ai suoi seguaci una identificazione che divide la realtà fra chi lo segue ed è amico e chi non lo segue ed è nemico.

In nome di questa distinzione lui può dire tutto e il contrario di tutto: ciò che conviene alla sua visibilità è comunque legittimato. Il bombardamento del Parlamento (con dentro anche i grillini neo eletti)? Va bene. I fascisti di Casa Pound e il ripudio dell’antifascismo? Va bene pure questo. Non ci sono limiti perché il marketing è tutto. La scelta è sempre quella di esasperare i toni e di far leva sulla distinzione amico-nemico.

Quanto detto sul metodo Grillo non è però valido per il Movimento 5 Stelle i cui aderenti dimostrano una volontà di partecipazione vera fondata sul confronto, sulla ricerca e diffusione delle informazioni, sulla coerenza e sull’onestà. E allora perché la comunicazione pubblica monopolizzata da Grillo si svolge su un altro piano? E perché è accettata da tutti quelli che poi cambiano linguaggio nella loro pratica politica quotidiana? Il dubbio di quale sia il vero programma del M5S però rimane perché all’iperpresenza di Grillo non si sovrappongono proposte articolate e precise e perché lo stesso Grillo non si sottopone a confronti. Spesso l’aggressività della comunicazione e l’estrema semplificazione nascondono proprio l’indecisione e la vaghezza dei programmi e il rinvio delle decisioni vere.

Veniamo a Berlusconi. Qui il discorso è più semplice perché la comunicazione pubblica è tutta orientata all’esaltazione degli interessi individuali che verrebbero ostacolati dalla legalità e dallo Stato. Dietro alla ridicola riesumazione del “pericolo comunista” e alla lotta alla magistratura c’è solo questo. Messaggio molto semplice e molto fuorviante che propone alla massa ciò che si può realizzare solo per pochi. Pochi, spregiudicati e senza scrupoli.

Guidare uno Stato è difficile e le scelte che convengono a un ristretto ceto di affaristi in grado di sfruttare l’illegalità e l’assenza di regole e controlli non possono essere quelle con cui si gestisce la collettività pena un gigantesco spreco di risorse e una cultura civile improntata all’arrembaggio di tutti nei confronti delle risorse pubbliche. La conseguenza è che diventa inevitabile aumentare la pressione fiscale su quelli che pagano sia per coprire quelli che non pagano, sia per pagare servizi e apparati inefficienti e inquinati dalla corruzione. Se si mettono insieme corruzione, inefficienza, arretratezza e trascuratezza delle infrastrutture e degli spazi pubblici si ha un quadro rappresentativo del declino dell’Italia che parte da lontano, ma che si è esasperato, negli ultimi 17 anni, con l’ideologia e la pratica del berlusconismo. Tagliato su misura per gli interessi privati di pochi che sfruttano il potere per consolidare ed espandere le proprie ricchezze non può essere adatto a governare una collettività.

Eppure anche in questo caso la fascinazione esercitata dal messaggio primordiale del “capobranco” Berlusconi gli consente di smuovere un bel po’ di consenso. Irrazionale certamente perché messo al servizio dell’interesse privato di pochi, ma pur sempre consenso.

Uscire dal predominio dell’irrazionalità e dell’illusione dei messaggi di marketing politico è un obiettivo di medio-lungo periodo per chi crede nella democrazia. Il miglior antidoto è sicuramente l’esercizio della partecipazione perché forma la coscienza civica e permette al cittadino di conoscere, valutare e far pesare il suo punto di vista di membro della collettività. Ma è un esercizio che ha bisogno di tempo e di radicamento per produrre i suoi effetti. Bisogna crederci e bisogna che sempre più forze politiche, associazioni e movimenti lo assumano come loro obiettivo strategico.

Claudio Lombardi

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