Debito pubblico e riforma fiscale: dai cittadini il coraggio di una svolta (di Guido Grossi)

LʼItalia attraversa un momento delicatissimo. Sul fronte economico ma, prima ancora, sul fronte ben più delicato della coesione nazionale. Eʼ verosimile che la tensione crescerà mano a mano che si farà più acuto lʼeffetto cumulato dei troppi sacrifici imposti ai soliti noti – che sono le classi sociali più deboli dei lavoratori dipendenti e dei pensionati – per fronteggiare la crisi finanziaria ed economica.

In questo contesto lʼeconomia sommersa e la conseguente evasione fiscale sono un cancro che corrode il tessuto sociale. La dimensione – stimata dallʼISTAT in circa 250 miliardi di euro allʼanno – non lascia più adito a dubbi: va estirpato e rapidamente. Eʼ ormai intollerabile che la questione venga affrontata senza la dovuta convinzione e senza andare dritti alla radice del problema.

La nostra Costituzione – che è il Patto Sociale fondante la nostra comunità nazionale – allʼarticolo 53, recita: “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

La legge fiscale e le riforme che si sono succedute negli anni hanno però tradito i due principi fondamentali, concepiti dai padri costituenti per garantire giustizia sociale e solidarietà. La “capacità contributiva” richiede infatti che il reddito venga valutato al netto di tutte le spese necessarie al sostentamento della famiglia, solo allora è chiaro quanto un cittadino può sopportare il contributo alla collettività. La “progressività”, inoltre, implica che ai redditi dei ricchi vadano applicate aliquote più elevate (un tempo non lontanissimo lʼaliquota superiore era al 75%. NellʼAmerica prima di Reagan, era al 90%… Ed i ricchi potevano egualmente fare una vita da ricchi!).

Oggi, troppe persone benestanti – che non troviamo certo fra i lavoratori dipendenti ed i pensionati – o evadono totalmente, o pagano tasse in misura ridicola, mentre le imposte indirette (Iva, Accise etc,) colpiscono tutti in maniera piatta, e, quindi, in maniera ben più dolorosa e “regressiva” le persone più bisognose. Per finire, le spese che è possibile dedurre sono poche, si deducono solo parzialmente, nulla hanno a che vedere con la reale possibilità dei cittadini di sostenere il carico fiscale.

Ecco allora due proposte concrete che nascono dalla società civile, capaci di importanti sinergie che promettono di risolvere in maniera efficace il problema, restituendo finalmente agli Italiani quel diverso e prezioso senso di legalità, equità, solidarietà, di cui avvertiamo sempre più acutamente la mancanza e il desiderio.

LʼAssociazione articolo 53 propone, semplicemente, di applicare il dettato costituzionale. In questa maniera: si riuniscono tutte le fonti di reddito (da lavoro dipendente o autonomo, da capitale, da impresa, da terreni e fabbricati) in un unica voce riassuntiva. Da questa voce si sottraggono tutte le spese sostenute per il sostentamento della famiglia (abitazione, nutrimento, istruzione, salute, utenze, consulenze, etc.) che devono essere naturalmente documentate. Il risultato rappresenta la capacità contributiva del cittadino, che viene assoggettata ad una unica imposta sul reddito.

Esempio. Reddito complessivo 20.000 euro. Spese documentate 12.000 euro. Si pagano tasse solo su 8.000 euro. Reddito complessivo 250.000 euro, spese documentate 80.000, capacità contributiva di 170.000 euro. Alla somma così individuata si applicano scaglioni di aliquote aumentati di numero per garantire la progressività. Con aliquote più basse delle attuali per gli scaglioni più bassi, e aliquote sostanzialmente più alte per quelli più elevati.

Esempio. Fino a 10.000 euro aliquota del 10%; da 10.000 a 20.000 aliquota del x %…. Da 150.000 euro in su aliquota del 75 %.

Naturalmente è possibile graduare la deducibilità delle spese, in funzione della effettiva “necessità”. Esempio, il cibo si deduce integralmente. La barca da diporto solo al 5%. In questa maniera non solo si ripristina una reale giustizia sociale di cui cʼè assolutamente bisogno, ma si rende necessario “documentare tutte le spese”. E questa circostanza obbliga tutti i venditori allʼemissione sistematica di scontrini, ricevute, fatture.

Lʼuso di accorgimenti informatici può rendere automatico o semiautomatico il controllo incrociato fra le spese dedotte dai cittadini, e gli incassi registrati da imprese e professionisti.

La linfa vitale di cui si è nutrita lʼevasione e lʼeconomia sommersa si prosciuga dʼincanto.

Cosa succede alle imprese? Possono essere finalmente liberate da una pletora inutile, complessa e vessatoria di balzelli vari, mentre il vero risultato dʼesercizio confluirà nel reddito del titolare o dei soci.

Le imprese che oggi vengono spinte al fallimento dal sistema ingiusto basato sul reddito “presunto”, potranno tirare un enorme sospiro di sollievo, mentre quelle che dal metodo del reddito presunto traevano ingiustificati benefici saranno chiamate ad una più congrua contribuzione.

A livello complessivo, il carico fiscale si sposterà dai consumi al reddito, e dai redditi bassi ai redditi alti, dai poveri ai ricchi. Chi vorrà opporsi, non potrà nascondersi dietro un dito.

La seconda proposta, recentemente commentata e raffinata grazie al contributo degli amici dellʼassociazione ARDeP mira invece a colpire lo stock di ricchezza illegalmente detenuta allʼestero da innumerevoli cittadini italiani. Se lʼevasione in un anno è della dimensione indicata dallʼIstat, quante centinaia (o migliaia?) di miliardi ci sono nei conti svizzeri o in altri paradisi fiscali, accumulati negli anni? Di quelle risorse il paese ha un immenso bisogno, per crescere, per non dover più gravare sui deboli.

Lʼidea del condono va scartata con decisione. Se lʼobiettivo è quello di ripristinare la legalità, è infatti necessario garantire chiarezza e coerenza. La lotta tramite la Guardia di Finanza è necessaria, ma è sproporzionata di fronte al fenomeno. Eʼ possibile però invogliare i cittadini ad aderire spontaneamente ad una proposta dalla doppia faccia: carota, e bastone.

Si stabilisce che i titoli del debito pubblico italiano vengano resi sicuri, apponendo una garanzia reale sul patrimonio pubblico che opera esclusivamente a favore degli acquisti di Bot e BTP effettuati e mantenuti da cittadini residenti. Garanzia che assolutamente non deve operare a favore degli investitori esteri. Si invitano poi i detentori di capitali illegittimi a denunciare e rimpatriare i capitali. Si applica ai fondi rimpatriati una tassazione immediata del 10-15%. Si obbliga ad impiegare il 70% delle somme per lʼacquisto di speciali emissioni di titoli di stato con durata lunga o lunghissima (da 15 a 30 anni, o anche più lunga), che abbiano rendimenti inferiori ai tassi attuali di mercato ma che siano, come gli altri titoli acquistati dai cittadini, garantiti da patrimonio pubblico.

La tassazione immediata, la durata del titolo ed il suo rendimento possono essere calibrati

appositamente per assicurare che non si tratta di un condono. Non si concedono più sconti. Si può quindi offrire, a questo punto, la garanzia aggiuntiva che nessuna ulteriore imposta sarà applicata in tempi successivi sugli importi rimpatriati (senza la quale lʼadesione sarebbe giustamente scarsa o nulla).

La mancata adesione alla proposta costituisce novazione dellʼillecito, e configura un reato punibile con la multa pari almeno al 120% delle somme espatriate illegittimamente (che vuol dire confisca integrale e, in aggiunta, un ulteriore 20% ), e con la reclusione da 5 a 20 anni (con il massimo edittale sufficientemente lungo per garantire che il reato non possa prescriversi rapidamente).

La manovra va accompagnata con misure molto drastiche nei confronti dei paesi che assicurano ancora il segreto bancario e con la previsione di un rito abbreviato che vieti il patteggiamento. La scelta a favore dellʼadesione, a quel punto, dovrebbe essere sufficientemente e ragionevolmente incentivata, pur senza concedere sconti a chi ha violato la legge.

Anche questa proposta contribuisce a far emergere naturalmente lʼeconomia sommersa, e si sposa perfettamente con la precedente. Insieme, garantiscono una migliore impostazione per lʼequità presente e futura ma consentono, anche, di fare giustizia degli errori del passato.

Lʼeffetto congiunto, oltre ad assicurare finalmente una diversa equità, offre vantaggi enormi sul fronte della sostenibilità del debito pubblico, contribuendo a liberarci dalla precarietà attuale.

1. Lʼemersione dellʼeconomia sommersa produce contemporaneamente due benefici: aumenta il PIL nominale ed aumentano le entrate fiscali, portando ad una rapida riduzione del fatidico rapporto Debito/PIL (potrebbe scendere dal 120 al 100%).

2. Diminuiscono i tassi che lo stato deve pagare sui suoi titoli, sia per effetto delle speciali

emissioni, sia per lʼeffetto generale dovuto alla prestazione di garanzia.

3. Le risorse utilizzate per la riduzione del debito non vengono sottratte al sistema produttivo, perché attualmente sono occultate allʼestero. In tal modo non si causa ulteriore recessione che altre forme di prelievo comporterebbero.

4. Il debito pubblico viene sottratto in parte rilevante dai portafogli degli investitori istituzionali, specialmente esteri, che rappresentano una continua grave minaccia per la sostenibilità e per la stabilità dei prezzi.

5. Il patrimonio pubblico viene messo al sicuro, sottratto alla tentazione di quanti vorrebbero venderlo ai privati.

6. La sostanziale ridistribuzione della ricchezza a favore delle fasce meno abbienti favorisce – oltre ad un impagabile senso di giustizia sociale – il sostegno della domanda e la ripresa economica.

7. Lʼeliminazione di una serie molto numerosa di imposte più fastidiose che utili, resa possibile dallʼemersione dellʼeconomia sommersa, potrà liberare anche risorse sul fronte dellʼamministrazione finanziaria, che potrà concentrarsi con più efficacia nella lotta allʼevasione residua.

Per finire, lʼadozione di una tassa patrimoniale da applicare periodicamente ai patrimoni più elevati potrebbe dare lʼulteriore contributo necessario alla definitiva messa in sicurezza del debito pubblico.

Liberiamo con coraggio le risorse di cui abbiamo enorme bisogno per dare speranza a tutti

di un futuro migliore, e certezza di una società più giusta, solidale, sostenibile.

Se i politici non trovano il coraggio per attuare riforme semplici ed efficaci, per la cui attuazione manca solo la volontà, che sia la società civile, a far sentire la sua voce.

Eʼ in corso di valutazione la possibilità di costituire un Comitato Promotore per tradurre queste idee in proposte di legge di iniziativa popolare. Se i partiti tradizionali non avranno il coraggio di sostenerle, ci saranno al loro posto i numerosi movimenti che la società civile in rinnovato fermento sta esprimendo e milioni di cittadini, stanchi di essere sfruttati e ignorati, desiderosi e capaci di decidere le proprie sorti.

Il contributo di tutti i cittadini di buona volontà e tutte le associazioni che hanno a cuore le

sorti del paese, può essere prezioso.

Non è più tempo di lamentarsi: bisogna agire.

Guido Grossi

1 commento
  1. roberto dice:

    BRAVO GUIDO! QUESTA E’ LA SOLUZIONE ED E’ SCRITTA NELLA NOSTRA COSTITUZIONE DA OLTRE 66 ANNI! NON RESTA,FINALMENTE, CHE APPLICARLA INTEGRALMENTE!!! CARI SALUTI, ROBERTO

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