Il futuro dell’Italia nasce nel presente

Fine anno, tempo di bilanci e di auguri per il futuro. Perché il nuovo sia migliore del vecchio non aspettiamoci miracoli o grandi balzi. Passato e presente si sovrappongono e i cambiamenti arrivano a piccoli passi. Chi prova a fuggire dalla realtà crea problemi e fa danni.

Come se la passa dunque l’Italia? Bene e male. Bene perché, a dispetto della narrazione che ci ha pervaso negli ultimi anni, non siamo ridotti alla povertà. Gli italiani sono stati spinti all’autocommiserazione da chi aveva impugnato la bandiera della povertà per dare addosso agli avversari. I poveri esistono, ma non sono tutti italiani cioè non sono il prodotto di un impoverimento generale della società italiana. Molta povertà è stata generata da un’immigrazione disordinata e dal fallimento dell’integrazione. Ai datori di lavoro (quasi tutti italiani) è stata “regalata” mano d’opera a prezzi stracciati e senza diritti. Questa, insieme agli immigrati regolarizzati, ha costituito una prima linea di lavoratori molto vulnerabili ai ricatti e alle crisi che facilmente varcano la linea della povertà. Un problema che il Rei aveva iniziato ad affrontare, ma che il reddito di cittadinanza ha cancellato per andare in direzione contraria. Una specifica forma di impoverimento nasce anche dalle retribuzioni troppo basse che approfittano dello scarso potere contrattuale dei lavoratori e della grande disponibilità di manodopera non qualificata.

I numeri smentiscono la narrazione di una società ridotta in miseria. In realtà la stragrande maggioranza degli italiani gode ancora di una ricchezza accumulata di enorme consistenza valutata 10 mila miliardi di euro (8,4 volte il Pil). Certo, ci sono le disuguaglianze e ci sono i ricchi. Tuttavia c’è anche un ceto medio che resiste e occupa una posizione centrale nella scala dei redditi. Venti milioni di persone che detengono il 47% del reddito. Evasione fiscale ed economia sommersa, inoltre, fanno intuire l’esistenza di una vasta area di benessere truccato da malessere. D’altra parte in Italia vengono spesi in videopoker, slot e gratta e vinci 106 miliardi l’anno. Non proprio una manifestazione di povertà.

Il fisco non restituisce la fotografia del Paese reale. Se guardiamo all’Irpef vediamo che la progressività dell’imposizione funziona e preme esclusivamente sui redditi medio alti. Basti pensare che il 5,3% dei contribuenti (2 milioni di persone) che dichiarano più di 50 mila euro l’anno paga il 40% dell’imposta. Mentre 13 milioni di italiani non pagano tasse. In compenso lo 0,093% che ha redditi oltre i 300 mila euro l’anno paga il 6% del totale. E poi i redditi più bassi sono destinatari di vari tipi di bonus e di agevolazioni. Insomma la perequazione funziona anche se nasconde molteplici ingiustizie.

Cosa c’è allora che non va? Innanzitutto, come già detto, evasione e sommerso. Centinaia di miliardi fantasma che sfuggono a tasse e contributi ( si parla di 109 miliardi la prima e 210 il secondo, con una notevole presenza di doppi lavori).

C’è poi lo spreco colossale di un sistema pubblico che non funziona. Lo testimoniano lo stato degli edifici scolastici, le liste di attesa nei servizi sanitari, lo stato delle strade urbane e provinciali, la gestione dei rifiuti, le perdite degli acquedotti, le carenze dei trasporti pubblici. E anche gli stanziamenti messi a bilancio e che non vengono spesi o i fondi europei spesi poco e male. Sullo sfondo di questa vasta inefficienza del settore pubblico il problema dei problemi resta la frattura tra un Paese che marcia veloce a ritmi nordeuropei e un altro che procede in senso inverso. Nord e sud innanzitutto e poi le nuove fratture generate dalla differenza di opportunità e di servizi che si diffondono nelle zone suburbane, nelle periferie delle grandi città, nelle campagne.

Decenni di politiche basate sulla spesa pubblica non hanno risolto nulla. Il Sud resta indietro e soffre di alcune eredità delle politiche e degli interventi pubblici del passato. L’Ilva di Taranto ex Italsider ne è l’emblema, ma soprattutto lo è la subcultura della spesa pubblica assistenziale e l’uso delle amministrazioni pubbliche come dispensatrici di posti di lavoro improduttivi. L’esempio massimo è forse quello della Regione siciliana, probabilmente il più grande datore di lavoro del Sud che non ha prodotto alcuno sviluppo. D’altra parte mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita sono più presenti che mai e hanno messo radici in tutti i settori di attività inclusi gli apparati pubblici e nelle rappresentanze territoriali. Il Sud è tuttora la principale base operativa dalla quale si organizzano e si dirigono i traffici in tutta l’Europa. Di quale sviluppo si può parlare in questa situazione?

L’Italia ha tante altre fragilità. In pochi anni sono arrivate al fallimento (scongiurato dal Fondo interbancario e dai soldi pubblici) 11 banche territoriali. Come sia potuto accadere è semplice: sono state saccheggiate da chi le dirigeva con il coinvolgimento di una rete di interessi e di favori che toccava la maggior parte di ciò che si può chiamare classe dirigente locale. Altra fragilità: l’intervento della vigilanza bancaria non è riuscito a prevenire la crisi e ad intervenire prima del crollo. Ma nemmeno la Consob è riuscita a fare nulla. Così a pagare finora sono stati solo i piccoli azionisti che hanno perso i loro soldi perché nessuno si è interessato alla vendita di azioni non commerciabili mascherate da investimento per piccoli risparmiatori. E chi ha ottenuto prestiti dalle banche fallite senza ripagarli ha perso forse qualcosa? Non sembra. E allora che immagine se ne ricava? Quella di un Paese che in parte campa di ruberie e truffe che difficilmente vengono bloccate e punite e che appare, quindi, altamente inaffidabile.

Aggiungiamo la lentezza della giustizia civile, il peso delle burocrazie e otteniamo il dato generale di una gestione dei poteri pubblici che non riesce ad impedire le degenerazioni e, quindi, diffonde sfiducia e spreca risorse. Una zavorra alla quale fa capo una spesa che vale la metà del Pil. Nulla di cui stupirsi se poi anche in ambito economico il dato generale è quello di una crescita lenta e di un allontanamento dagli altri paesi europei.

La grande industria è quasi scomparsa. L’Italia è sì la seconda manifattura d’Europa, ma si fonda su una miriade di piccole e medie imprese che non hanno la possibilità di fare ricerca e innovazione come le grandi. In un mondo nel quale la competizione è tra aree economiche gigantesche il nostro Paese rischia di diventare sempre più fragile e sempre più terreno di conquista per chi voglia impossessarsi dei suoi “pezzi” pregiati.

A tutto ciò si aggiunge l’invecchiamento della popolazione. In uno studio di Bankitalia si stima che tra venti anni ci saranno 1,2 milioni di residenti in meno e 6 milioni di pensionati in più con un crollo del Pil del 15% e del reddito pro-capite del 13%. Poco potrà fare l’immigrazione perché la sua componente più dinamica e qualificata non vuole fermarsi in Italia. Come fanno del resto molti giovani italiani laureati che si trasferiscono all’estero.

Da tutti i punti di vista l’Italia appare una nazione in declino: molto passato, poco presente, niente futuro. Chi riscuote un grande consenso nell’opinione pubblica sa solo diffondere un messaggio di chiusura cercando di tornare a tempi passati senza nemmeno averne una visione critica. Purtroppo per molti italiani è più importante dare risposte sbrigative a problemi complessi trattando la costruzione del futuro del proprio Paese con meno attenzione di quella che si dedica alla scelta dell’ultimo modello di smartphone. Non c’è quindi da stupirsi se il confronto tra i politici e il dibattito pubblico (al quale partecipiamo tutti in qualche modo) si svolgano sulla superficie dei grandi problemi nei quali siamo immersi e facciano molta fatica a produrre minimi effetti. Ciò che conta è l’impressione che si trasmette ad un’opinione pubblica spesso distratta e inconsapevole, pronta ad inseguire emozioni e che non vuole riconoscere il mondo per quello che è. Per fortuna esiste un’Italia diversa che stenta però a farsi sentire

Claudio Lombardi

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *