Il senso delle sardine per la libertà

Ha cominciato lui. L’8 dicembre del 2018 Salvini, segretario della Lega, vice presidente del Consiglio e ministro dell’interno di fronte a migliaia di militanti leghisti pronunciò la fatidica frase : “chiedo il mandato di andare a trattare con l’Ue non come ministro, ma a nome di 60 milioni di italiani”. Otto mesi dopo in un comizio concluse il discorso: “chiedo agli italiani, se ne hanno voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo, senza rallentamenti e senza palle al piede (…) Siamo in democrazia, chi sceglie Salvini sa cosa sceglie”.

Più chiaro di così… Fu in quei momenti che nella mente di tante persone iniziò a farsi strada un pensiero molesto: possibile che nessuno faccia niente? Lui non può parlare anche a nome mio.

Intanto arrivavano le navi con 50, 100 migranti soccorsi in mare e lui li lasciava a galleggiare sulle onde per settimane esibendo la faccia feroce dell’uomo abituato a comandare. Frasi del tipo “finchè sto qui io in Italia non sbarca nessuno” accompagnavano i fari puntati di tutti i canali di informazione che per giorni si occupavano solo di quello. Una nazione intera e nemmeno tra quelle di minor peso clamorosamente distratta da altri problemi più seri restava appesa alla volontà del ministro degli interni.

E l’Europa? E l’euro? Ogni occasione era buona per minacciare sfracelli di deficit fregandosene delle conseguenze immediate e future. La baldanza nazionalista non riusciva però a nascondere l’assenza di soluzioni pazienti e costruttive. I capi del sovranismo stavano preparando tempi duri per il loro “popolo”.

Insomma tirava una brutta aria sull’Italia, ma a un certo punto, l’uomo dei pieni poteri dichiarò che il tempo era arrivato di riprendersi la propria libertà, far cadere il governo e indire nuove elezioni per essere investito dal popolo come suo unico rappresentante. Cioè, queste erano le sue illusioni. L’unica decisione che lui poteva prendere era togliere la fiducia al suo governo. Lo fece? No. Lo cacciarono gli altri perché lui restò aggrappato allo scoglio (la poltrona) fino alla fine. E poi le cose andarono in maniera diversa da come le aveva immaginate. Il Presidente della Repubblica fece le sue consultazioni, si formò un altro governo eccetera eccetera.

Però nella mente delle suddette “tante persone” il pensiero molesto continuava a rodere: possibile che nessuno ci chiami? Possibile che il popolo tanto nominato sia dato sempre per scontato e che al massimo ci si debba accontentare di gruppi di militanti organizzati (sempre i leghisti o i quattro gatti dei neofascisti tanto per cambiare) che recitano la parte del popolo? Vabbè alla prima occasione facciamo vedere che ci siamo anche noi.

L’occasione fu l’inizio ufficioso della campagna elettorale in Emilia Romagna. Già erano cominciati i comizi con la solita esibizione di popolo in formato famiglia al grido di “basta clientelismo rosso” e “parlateci di Bibbiano”. Non proprio argomenti di alto livello in una delle regioni meglio amministrate d’Italia. Però delle stupidaggini (o delle carognate) dette in piazza davanti al “popolo” assumono sempre un peso diverso.

Fu così che alcuni decisero che la misura era colma e che bisognava uscire allo scoperto. Nacquero le sardine. Da allora è stato tutto un dilagare. Ogni piazza è diventata la loro e tutti ad interrogarsi: ma chi sono? Ma che vogliono? Perché non fondano un partito? Quando si presentano alle elezioni? Da chi sono diretti?

Per strano che possa sembrare erano sempre loro: le “tante persone” che nessuno chiamava mai e che avevano deciso di chiamarsi da sole. Per fare cosa? Per far vedere che il popolo esiste ed è composto da tante, ma tante persone diverse e che nessuno può pretendere di parlare a nome di tutte. Questo è il primo punto fermo e bisogna dire ai professionisti dell’informazione che la smettano di chiedere a questo o a quell’organizzatore di manifestazioni delle sardine se hanno un programma di governo. Basta un punto, QUEL PUNTO e, se non è chiaro, ci si canta sopra pure “Bella ciao” tanto per far capire che il tempo in cui un uomo solo poteva dire di parlare a nome di un popolo ed esibire i pieni poteri è finito il 25 aprile del 1945.

Retorica? Non tanto viste le ripetute presenze di fascisti dichiarati e aggiornati ai tempi correnti che si ripetevano ad ogni occasione.

Già che c’erano, però, le “tante persone” ci misero anche dell’altro nella loro sporta della spesa: basta toni esagitati, basta far fesso il “popolo” con risposte immediate a problemi complessi purchè ci si affidi a un Capo, basta educare all’odio perché “non c’è niente da cui ci dovete liberare, siamo noi che dobbiamo liberarci della vostra onnipresenza opprimente, a partire dalla rete”. E poi “Crediamo ancora nella politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano, che pensano al proprio interesse personale solo dopo aver pensato a quello di tutti gli altri. Sono rimasti in pochi, ma ci sono. E torneremo a dargli coraggio, dicendogli grazie”. Così sta scritto nel manifesto delle sardine. E non è poco. Si fa appello alla buona politica e si chiedono a questa le soluzioni.

Non basta questo come programma? Non di governo, ma costituzionale. Dentro c’è il senso della libertà che è alla base del nostro essere Stato che ha scelto la democrazia regolata e partecipata.

I partiti dovranno fare la loro parte e lavorare per risolvere i problemi, ma, intanto, se uno si alza e dice “parlo io per tutti e voglio tutto il potere” è giusto dirgli “fermo lì, devi fare i conti con noi”.

Adesso che ci sono le sardine devono restare. Almeno per un pò. Dalle piazze alla partecipazione ragionata e consapevole c’è una bella strada da fare

Claudio Lombardi

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