Il voto greco e la via d’uscita dalla crisi (di Claudio Lombardi)

I risultati delle elezioni in Grecia fanno tirare un sospiro di sollievo non tanto perché si sia risolto qualcosa – la situazione è esattamente la stessa della settimana scorsa – ma perché permettono di esigere una svolta nelle politiche europee con la consapevolezza che è stato rinviato il momento della disgregazione dell’Europa, non cancellato.

Mai come adesso le condizioni di vita di ogni cittadino europeo sono determinate dalle decisioni e dalle strategie politiche di chi detiene la leadership nei vari paesi. Ormai sono tanti ad attendere gli incontri dei capi di stato e di governo o a seguire i tassi di interesse dei titoli pubblici perché hanno capito che le conseguenze ricadranno direttamente su di loro.

Un punto fermo è che la caduta di fiducia nella moneta unica non supera, per ora, la paura del salto nel vuoto del ritorno alle monete nazionali. Per quanto si imprechi contro l’euro, per quanto ci si rifiuti di comprendere che sono state le scelte politiche conseguenti all’euro a portare alla situazione attuale, si intuisce che il ritorno alla lira o alla dracma o alla peseta sarebbe pagato a carissimo prezzo dalla gente comune. Questo è il significato più evidente del voto greco.

Per esemplificare un modo di procedere che va radicalmente cambiato aiuta un articolo di Luigi Zingales sul Sole 24ore di qualche giorno fa sull’aiuto concesso per salvare le banche spagnole.

Questo tipo di aiuto, secondo Zingales, è sbagliato perché “invece di assicurare i depositi e introdurre una procedura europea di amministrazione controllata delle banche in crisi che liquidasse le banche inefficienti, si è preferito firmare un assegno in bianco alla Spagna, che si trova così libera di coprire coi soldi europei gli errori delle sue banche.”

Zingales ricorda il controllo da parte dei politici delle casse di risparmio locali (dalle quali si è formata Bankia) in Spagna e i prestiti che “venivano fatti solo per amicizia”.

La scelta di diventare banche così grandi da assicurarsi un supporto politico fu strategica e lo dimostrò la presenza nei consigli di amministrazione di politici messi lì a garanzia dell’aiuto statale in caso di bisogno. I buchi aperti dalle casse di risparmio locali si sono trasmessi a Bankia e così si è arrivati ai 100 miliardi di euro del salvataggio europeo.

“Quella stessa Europa che non ha (o non vuole dare) i soldi per nessuna iniziativa di sviluppo, quella stessa Europa che (giustamente) richiama all’austerità fiscale i governi di tutta Europa, sembra avere risorse illimitate per salvare le banche.” Aggravando, per di più, i debiti pubblici dei paesi che vi contribuiscono.

Esisteva un’alternativa? Sì, afferma Zingales, “si poteva approvare un’assicurazione europea sui depositi, con un’appropriata procedura di amministrazione controllata per le banche in crisi. In questo caso si evitava la fuga dei depositi, ma non si lasciavano sopravvivere delle banche “zombie”. Soprattutto non si ricompensava (pagando interamente) chi aveva fatto del credito alle banche, senza valutarne le condizioni di rischio.”

Zingales ipotizza anche un ulteriore intervento: uno sconto,  a carico dei fondi europei, sui mutui immobiliari. In questo modo si sarebbero ridotti i crediti in sofferenza delle banche, ma anche i debitori in sofferenza, rimettendo in moto i consumi e dando un po’ di speranza agli spagnoli.
“Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo si ricompensano gli spagnoli che hanno comprato le case a dei prezzi assurdi. È vero, ma loro sono vittime della bolla immobiliare ben più delle banche.” In sostanza salvando le banche e non aiutando i singoli individui si confermano “i peggiori pregiudizi della gente che ci sia un’Europa delle banche con diritti diversi dell’Europa della gente.”

In sostanza Zingales propone una via d’uscita politica a livello europeo alla crisi della maggiore banca spagnola dopo un ragionamento nel quale compaiono tutti gli ingredienti della crisi: dissesto dei bilanci pubblici; scarico dei costi sulla fiscalità generale che grava sulla massa dei contribuenti a reddito fisso ben più che sulle grandi ricchezze; mancanza di una politica comune che governi l’Europa; scelte in emergenza capaci di dirottare risorse pubbliche destinate a soggetti privati svincolati da qualsiasi obbligo di utilizzo per risolvere i problemi degli istituti di credito e non per costruire sviluppo.

L’esempio della Grecia dimostra che questi ingredienti producono crisi. La via d’uscita è una Europa federale da fissare come obiettivo e da costruire iniziando subito ad avere politiche fiscali comuni e una banca centrale vera che possa stampare moneta nella misura necessaria a raggiungere gli obiettivi di sviluppo e di stabilità dell’Europa.

Non sarà facile, ma l’alternativa è la disgregazione

Claudio Lombardi

1 commento
  1. valdemaro dice:

    Mario Draghi va sostenuto politicamente se crediamo che l’euro sia veramente al sicuro !
    Non dimentichiamo chi lo ha voluto tenacemente a capo della BCE e chi lo ha contrastato cercando di favorire il ruolo della banca cntrale tedesca e dei falchi che sostengono il governo di Berlino.

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