Marchionne, la FIAT e il bianco perlato della 500 (di Michele Pizzuti)

Cittadinanza attiva… Civico Lab… Apparentemente potrebbero bastare queste due parole per poter dire qualsiasi cosa. Cioè: io sono un cittadino attivo. Io sono una persona civile. Io sperimento idee in questo laboratorio. Sono vostro ospite.

Perciò dico a tutti voi che leggete: siete degli incompetenti. Anzi dei cretini. Sommessamente e senza boria ripeto: siete incompetenti e cretini. E non vi dico neanche le ragioni del mio ardire. Fatti miei. E’ il prezzo della libertà.

Bene. Un approccio di questo tipo meriterebbe una bella reazione. Liberi va bene, ma offendere… Civili (anzi Civico) sì, ma una reazione me l’aspetto. Mica siete babbei.

Fermi. Scherzavo. E’ il contesto che mi interessa. Anzi mi interessa un’altra cosa, la parola. Una parola (cretino o incompetente è lo stesso) non fa la storia di un laboratorio civile se la storia, anzi il laboratorio, non guarda al futuro.

Ecco perchè dico che la parola “sindacato”, se il sindacato continua a guardarsi allo specchio, non significa per nulla quello che significava quando, davvero, il padronato era il padrone delle ferriere.

Ricatto? Quello di Marchionne è un ricatto? Forse. Anzi, si. Formalmente lo è. Bello e buono. Ma dietro a Marchionne (e Marchionne si fa forza di questo dietro) rimbomba vigoroso il grido di dolore disperato di tanti medi e piccoli imprenditori che non reggono più alle regole nazionali. Ai diritti sempre e comunque. Non reggono più alle “sregole” della globalizzazione. Anzi non reggono più al disastro di un paese per vecchi, che non riesce a modernizzarsi. Per colpa di una classe politica insipiente. Per i veti delle lobbies. Ed ai quali (ai quali imprenditori) va tutta la mia considerazione. Si vabbè, tutte cose risapute. Ma davanti a Marchionne che c’è? Il Danubio o il Po?

Beh, andiamo con ordine. Intanto, davanti a Marchionne  c’è la Punto EVO e la Panda. Mica una Mercedes. C’è pure la 500. Carina. Davvero carina la “cinquecento”. Ma 1.000 euro per il bianco perlato, dove li mettiamo? Sulla carrozzeria? Tutta qui la nuova FIAT? Mah ! Togliamo 10 minuti di pausa anche ai progettisti e ai manager. Perché una cosa è certa: un piano industriale automobilistico ha successo se le vetture sono competitive. E belle. E con il bianco perlato a misura di portafoglio.

Poi c’è il contesto. Che mi interessava approfondire. Ecco il contesto: un vuoto di infrastrutture e un insieme di difficoltà burocratiche. E quindi abbiamo capito che c’è il Po e non il Danubio. E sullo sfondo del Po, verso il Monviso, c’è Mirafiori. E la catena di montaggio. E gli operai. Che fino a ieri credevo non esistessero più. Che nessuno ne parlava più. Neanche De Gregori.

Allora, se per stringere una vite basta un cinese analfabeta, come deve trasformarsi l’operaio italiano per non farsi infinocchiare da un cinese che studia? Da quello che ho visto in TV – e vi confido che seppur amo poco il cachemire, non ho mai visto da vicino una catena di montaggio (sono laureato e intellettuale) – penso che il futuro della catena prevederà azioni più complesse di quelle di ieri (la vitarella) o di oggi (una serie di azioni standardizzate che dopo un addestramento tecnico possono essere eseguite senza eccessive difficoltà anche dal cinese appena citato), ma una serie di azioni in cui la parte umana (purtroppo tendente alla marginalizzazione, ma su questo siamo impotenti) possa avere ancora un ruolo operativo significativo.

Significativo. Ecco, qui c’è la differenza. Quella capacità che fa del nostro popolo, un gruppo di uomini e donne capace di adeguarsi ai cambiamenti e di guardare al futuro. Per questo i contratti saranno sullo sfondo. E il sindacato con loro. Mentre la forza lavoro dovrà assolutamente modernizzarsi all’interno di un contesto che, se non si arricchirà di infrastrutture che permettano loro una maturazione ed una crescita capace di battere la globalizzazione, invece di farlo vivere, questo popolo maledetto, lo farà morire.  

Insomma, sì. Ci riempiamo la bocca di speranze. Ma chiudiamo le orecchie al suono del futuro. Diciamo che c’è la globalizzazione ma non ne prendiamo atto. Ne parliamo solamente. Ma non l’abbiamo capita. Non abbiamo neanche la minima idea di quello che sta succedendo. Altro che riscaldamento globale. Mi chiedo. Il modello è diventare schiavi come i cinesi nelle sartorie di Prato e nelle Miniere (fa sempre effetto accennare alle miniere)? Certo che no. Ma se domani i cinesi, i brasiliani, gli indiani produrranno a prezzi competitivi anche manifatture di qualità, chi gli starà dietro? La Fiom? Certo che no. Lo so, lo so. Il problema è complesso. E non mi va neanche di semplificarlo. Ma se il sindacato non si modernizza, permettetemi di dire che sono degli incompetenti. Anzi dei veri e propri cretini. Con il rispetto dovuto. Modernizzarsi. Lo devono fare per i lavoratori. Ed anche per il paese. Ma i lavoratori non possono rimanere “estranee singolarità”. Unici a difendere ciò che esiste. Ormai, si è capito, non si tratta di più di difendere e basta. Ormai è ora di prendere in mano le redini di uno sviluppo nuovo. E qui, davvero, i sindacati non bastano mica, e nemmeno i lavoratori. Ci vuole un Paese intero che intraprenda questo percorso ed un leader che lo guidi saggiamente. Che sappia dove andare e ci faccia partecipi di questo percorso. “Damose da fà”, lo diceva un quasi Beato. Tutto dipende anche da noi, dal nostro orientamento. Cretini che non siamo altro.

Michele Pizzuti

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