Odio per gli ebrei. Odio per la diversità

Sono molto opportune le due belle interviste sull’antisemitismo che a Civicolab ha concesso un ebreo come Giovanni Terracina (https://www.civicolab.it/new/essere-ebreo-il-pregiudizio/ e https://www.civicolab.it/new/essere-ebreo-la-questione-di-israele/). Un esempio di tempismo, visto il periodo in cui viviamo.

Nel mese di dicembre del 2019 l’Espresso pubblicava un’inchiesta su questo spettro che è tornato ad aggirarsi in modo particolarmente virulento in Europa e negli USA, che miete vittime e produce distruzione dei simboli ebraici, molti dei quali legati alla memoria della shoah, ed anche una distruzione di civiltà. Non si tratta solo di atti di violenza sulle persone, o di insulti gridati sui soliti social da ignoti mascalzoni, o della devastazione di simboli ai quali sono legati affetti e storie indimenticabili. Si tratta anche di comportamenti apparentemente normali che stanno venendo avanti, come quello del sindaco di Predappio, Roberto Canali, leghista, che decide di sospendere il sostegno ai viaggi della memoria ad Auschwitz, perchè quei viaggi “sono di parte”. Secondo costui bisognerebbe dare la precedenza a viaggi verso “mete dove sono morti degli italiani”. Lui, che non ha il senso del ridicolo, non ha ancora capito che gli ebrei italiani sono italiani, come quelli francesi sono francesi, e così via, perchè l’essere ebrei è avere una religione, un orientamento culturale, non una specifica nazione, a parte l’attuale ruolo di Israele che, per altro, è un Paese laico e democratico come il nostro, con molte culture e religioni diverse che continuamente cercano di integrarsi.

A quel sindaco Matteo Salvini aveva detto “prima gli italiani” e lui, con l’inconsistenza di coloro che sono sospesi tra il nulla e il nulla, cerca di adattarsi. Ecco, è questo l’antisemitismo che più preoccupa oggi: quello di chi non sa di essere antisemita, perchè ha qualche problema con l’essere, e perchè convinto che ci sia sempre un’alternativa all’accettazione dell’altro. Allo stesso modo non sa di essere razzista, perché, quando sente questa parola, pensa subito, come il cane di Pavlov, agli incappucciati del Ku Klux Klan. In fondo è pensando a questo comportamento di persone che si ritengono normali e magari anche perbene, in linea con il senso comune, che Hannah Arendt conia l’espressione “banalità del male”.

La novità è che la Lega ha organizzato un convegno sull’antisemitismo, dopo che parecchi suoi sostenitori hanno sbraitato contro Liliana Segre quando ha proposto una commissione parlamentare d’indagine sull’odio e sull’antisemitismo: un mare d’insulti e di minacce ed ora vive sotto scorta. Ha fatto bene la Segre a ricordare alla Lega che l’antisemitismo è la matrice di ogni razzismo in occidente.

Nella prima intervista a Giovanni Terracina Civicolab ha intervallato le parole a fotografie di quadri di Chagall, nato a Vitebsk, nell’attuale Bielorussia nel 1887, presto emigrato a Parigi. I suoi quadri, visionari e nostalgici, descrivono scenari di villaggi come il suo, incendiato dai cosacchi proprio il giorno in cui nasceva, abitati solo da ebrei, molti dei quali spazzati via dai frequenti pogrom, come accadeva anche agli insediamenti dei Rom: veri e propri eccidi sconosciuti ai più in Occidente.

Hitler seguirà in maniera metodica quella strada con la Shoà, una tragedia dalle dimensioni metafisiche che riguarda ogni essere vivente. La giustificazione ideologica dello sterminio era stata anticipata dal falso storico dei “I Protocolli dei Savi di Sion” costruito dalla polizia segreta zarista nel quale gli ebrei venivano descritti come una specie di “Spectre” mondiale. Prima ancora, nella Spagna cattolica del millecinquecento, fresca di scoperte e conquiste di nuovi mondi, erano ancora gli ebrei, con l’aggiunta dei musulmani, a diventare i “capri espiatori” di una voglia di “purezza” religiosa e culturale della classe dirigente cattolica, estesa a tutto il popolo che era diventato un coacervo di delatori. Fu una tragedia continentale, forse mondiale, perchè quegli ebrei, ed in parte quei musulmani, fuggirono ovunque. Tra questi, un po’ più tardi, Spinoza, uno dei più grandi filosofi della Storia dell’Occidente, che fuggì dal Portogallo per arrivare ad Amsterdam. Fu in quell’occasione funesta che i più avveduti si accorsero del paradosso che in Occidente ancora oggi colpisce gli ebrei, e chiunque venga considerato un corpo estraneo (per questo è giusto affermare che l’antisemitismo è la matrice di ogni razzismo, cioè di una mentalità che esclude l’altro da sé e lo trasforma via via in un “capro espiatorio” da abbattere). Gli ebrei venivano invitati a convertirsi al cattolicesimo per integrarsi nella società spagnola e più tardi anche in quella portoghese, pena la morte, o l’esilio forzato dopo la confisca di tutti i beni. Ma i “conversi” venivano bollati come “marrani” (sanguemisti spirituali), e non venivano mai accettati del tutto in quanto sempre sospettati d’essersi convertiti per convenienza, o per non morire. Si riferiva a questo Zygmunt Bauman, prima di lasciarci, quando scriveva, allargando il discorso, che “la modernità ha introdotto una perversa dialettica fra inclusione ed esclusione. A coloro che sono considerati diversi viene richiesta la piena integrazione, l’adozione dei costumi della maggioranza, la rinuncia alla particolarità. Però appena ciò accade, appena l’ebreo si integra, ecco che qualcuno cerca di espellerlo, di ricordargli che egli non appartiene al salotto buono”.

Tornando all’intervista su civicolab, quanto devono lavorare, quanto devono studiare gli ebrei, sembra chiedere Terracina, per essere considerati alla stregua degli altri? Alcuni di loro fanno anche molto di più, rispondo io, poi si accorgono che la loro distanza dagli altri, quelli integrati dalla nascita, è aumentata a dismisura. E a quel punto può scattare l’invidia, mascherata da disprezzo, altra causa d’esclusione e di persecuzione.

Il cerchio, come si vede, è proprio vizioso. Jean-Luc Nancy invece non si ferma alla modernità, ma risale all’antichità, e nella parte finale di un libro difficile da leggere, “Escluso, l’ebreo in noi”, emerge la sua tesi più complessa. L’odio per l’Ebreo non è altro che l’odio dell’Occidente per se stesso. L’Occidente porta in sé il germe dell’autodistruzione, il germe del razzismo. L’Occidente, dice Nancy, si forma doppio: greco ed ebraico. I greci introducono il principio dell’autonomia: la legge è fatta dai cittadini della polis. Gli ebrei invece hanno il principio dell’eteronomia: la legge è data da Dio. Una legge è immanente, l’altra è trascendente e siamo quindi di fronte ad un conflitto interno ad una civiltà. Che con il cristianesimo, che deriva sia dall’ebraismo, sia dall’ellenismo, si traduce in un conflitto all’interno del soggetto. Ciascuno di noi porta dentro di sé ambedue i principi: immanenza e trascendenza. Il razzismo nasce così, dalla nostra paura di riconoscere l’altra parte di noi stessi. E da questa paura traggono la loro forza i fautori di identità univoche, ostili all’idea che dentro di noi convivano tante personalità e infinite potenzialità. Mi ricorda gli studi di Ronald Laing sulla personalità schizoide (“l’Io diviso”, ed Einaudi), che ho compiuto più di quarant’anni fa. Mah, continueremo a discuterne. Gli ebrei saranno contenti di farlo, secondo Terracina, abituati come sono a spaccare un capello in quattro.

Ma io che, insieme a molti altri, sono un cultore dell’empatia, non posso accettare senza muovere un dito nuove fabbriche di “capri espiatori”, che siano ebrei, rom, immigrati d’ogni colore, o semplicemente dei “diversi”. Io, come molti altri in questo Paese, sono proprio come loro. Ed ogni giorno, non solo il 27 gennaio per me, continuerà ad essere il giorno della memoria. La memoria dell’olocausto soprattutto, ma anche di tutte le tragedie causate dal pregiudizio, dall’odio, dall’ignoranza, dalla stupidità di chi non sembra avvertire che siamo tutti uguali di fronte all’eterno ed all’infinito.

Lanfranco Scalvenzi

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