Processo lungo e prescrizione breve: la giustizia schiacciata (di Claudio Lombardi)

La giornata del 6 aprile può essere senz’altro annoverata fra quelle di più intenso lavoro parlamentare. Due sedute di aula al Senato e intensissimi lavori nelle commissioni permanenti, nella commissione giustizia in particolare. Alla Camera la seduta prosegue ad oltranza sull’odg che prevede la discussione del DDL 3137 sulla durata dei processi. Questo provvedimento è conosciuto come la legge sul processo breve mentre, in realtà, dispone un accorciamento dei tempi di prescrizione, cioè di cancellazione, del processo sulla base della condizione soggettiva dell’imputato. Nel caso di imputati incensurati il tempo necessario alla prescrizione viene ridotto, mentre, invece, nel caso di imputati recidivi il termine rimane immutato.

A questa intensa attività della Camera, si affianca quella della commissione giustizia del Senato con l’approvazione di un importante emendamento presentato da un senatore del PDL che stabilisce l’impossibilità del giudice di valutare l’ammissibilità dei testi citati dalla difesa che, quindi, debbono essere tutti ascoltati senza limite di numero. Inoltre, viene disposta l’inutilizzabilità di una sentenza passata in giudicato in un processo che derivi da quello già arrivato a sentenza.

Si tratta di due norme che oggettivamente portano ad un allungamento forzoso dei processi. La prima perché si espone alla possibilità di manovre degli imputati e dei loro collegi di difesa per intralciare l’andamento del processo con la convocazione pretestuosa di molti testimoni che non possono essere rifiutati dal giudice anche se manifestamente inutili ai fini processuali. Pensiamo all’esempio di testimonianze tese ad affermare il comportamento virtuoso di un imputato; anche se prive di elementi utili al giudizio possono essere ripetute per centinaia di volte condannando inevitabilmente il processo alla prescrizione.

Lo stesso effetto può determinare la seconda norma approvata. Infatti, non tenere conto di una sentenza definitiva significa ripetere tutte le fasi che hanno portato a quella conclusione pur essendo il processo successivo derivante da quello precedente. Anche qui pensiamo ad un esempio facile: se uno viene condannato per essersi fatto corrompere in qualità di testimone da una persona che ne ha tratto vantaggio, si perde solo tempo se, processando questa persona, bisogna ridimostrare da capo che il condannato nel primo processo è stato corrotto.

Ciò che è strano è che gli stessi che fanno di tutto per accorciare la prescrizione sostengono anche queste norme che allungherebbero a dismisura i tempi dei giudizi.

Ma vediamo, con ampie citazioni, cosa ne pensa, in un documento approvato il 6 aprile, il Consiglio Superiore della Magistratura.

Osservando che già la durata della prescrizione per i soli imputati incensurati era stata considerevolmente ridotta dalla l. n. 251/2005 (cd. legge Cirielli), ricorda che, in quel momento, fu effettuata dal CSM stesso, una valutazione sullo stato dei processi pendenti e sulle possibili conseguenze. Ecco cosa si scriveva nel 2005:

Se si tiene conto della durata media di un processo di merito si può ragionevolmente concludere che quasi tutti i processi per reati puniti con la pena della reclusione compresa nel massimo tra i cinque e i sei anni e la grande maggioranza di quelli per reati puniti con la pena della reclusione massima di otto anni sono destinati a sicura prescrizione… Non solo, ma una ricognizione effettuata recentemente dalla Corte di cassazione ha permesso di accertare che si situa attorno ai nove anni il tempo medio di durata dei processi per reati puniti con pena compresa fra cinque e otto anni che giungono al vaglio della stessa Corte: per la massima parte dei processi, dunque, il termine prescrizionale maturerebbe prima della sentenza definitiva, ma dopo la decisione di appello, e cioè in un contesto che comporta per il sistema giustizia il massimo spreco di energie. E’ evidente, dunque, che l’applicazione del nuovo regime ai processi in corso comporterà la vanificazione di gran parte del lavoro svolto dall’intero sistema giudiziario nel corso di alcuni anni”.

Oggi la valutazione di allora viene confermata:

“Allo stesso modo, è agevole pronosticare che l’impatto della modifica normativa da ultimo proposta sui processi in corso sarà notevole, atteggiandosi come una sostanziale amnistia. A ciò deve aggiungersi la preoccupazione per gli effetti negativi, a regime, sul sistema penale indotti da una ulteriore riduzione dei termini di prescrizione inseriti per tutti i processi futuri, a causa della prevedibile inefficacia dell’azione penale per numerosi reati.

In proposito va segnalato che l’Italia è stata già raggiunta da una segnalazione negativa dell’Unione Europea proprio con riferimento alla durata eccessiva dei processi per corruzione con riferimento a termini troppo brevi di prescrizione che determinano frequentemente una ineluttabile estinzione di un così grave reato.” ………………………

“La giurisprudenza della Corte di Strasburgo va in direzione opposta rispetto alla proposta riduzione dei termini di prescrizione del reato che si risolve in un meccanismo che ostacola l’accertamento sul merito della questione dedotta in giudizio……………..

Invero, il diritto consacrato dall’art. 6 della Convenzione, e prima di essa dagli articoli 24 e 111 della nostra Costituzione, è anzitutto che il processo ci sia e che sia un processo che si concluda con una decisione di merito. In secondo luogo che sia un processo di durata ragionevole ed improntato agli altri principi descritti dalla norma costituzionale. Ciò che si chiede all’ordinamento italiano è, cioè, di trovare gli strumenti per accelerare lo svolgimento dei processi facilitando l’accertamento giudiziario, non certo di favorire l’espunzione dei reati prima ancora che ci sia una decisione nel merito………..

Si osserva, inoltre, che le nuove norme proposte in tema di prescrizione appaiono confliggenti con le previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003.

La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace. Non vi è dubbio, pertanto, che rientrano nell’ambito della Convenzione anche le figure di reato individuate dagli Stati aderenti al fine di contrastare il fenomeno corruttivo.

Tanto premesso, si osserva che l’art. 29 della Convenzione ONU contro la corruzione, stabilisce che “..ciascuno Stato Parte fissa, nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”. ……. Rafforza il convincimento rilevare che l’art. 30 della Convenzione in esame raccomanda agli Stati di adottare le misure necessarie al fine di “ricercare, perseguire e giudicare effettivamente” i responsabili di fatti corruttivi (art. 30, comma II).

Orbene, la previsione della estinzione anticipata del reato – che ben può riguardare anche i delitti di corruzione, come sopra chiarito – quale effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati brevi limiti temporali, sembra allora porsi in netto contrasto con i principi sanciti dalla richiamata Convenzione contro la corruzione, ai quali l’azione degli Stati firmatari dovrebbe ispirarsi.

……………. Un raffronto con i sistemi in vigore negli altri paesi relativamente alla prescrizione, dimostra come la nostra disciplina sia unica in Europa e sia destinata a determinare inevitabilmente un gran numero di estinzione dei reati per prescrizione.

……………. L’intervento normativo in esame, infatti, riducendo ancora la prescrizione per molti reati, non potrebbe che determinare un ulteriore aumento delle prescrizioni dichiarate (attualmente circa 150.000 all’anno).

Esso finisce per costituire un ulteriore traguardo premiale che incentiva ulteriormente atteggiamenti dilatori e soprattutto allontana un impianto processuale finalizzato al rispetto dei principi della efficienza e della ragionevole durata del processo.

…………… Sarebbe peraltro assurda la previsione di una sanzione che non colpisse il responsabile del ritardo, chiunque esso sia, ma vanificasse il processo, lasciando al solo imputato di scegliere se consentire il completo accertamento dei fatti, posto che il diritto dell’imputato di rinunciare alla prescrizione è costituzionalmente garantito.

…………… D’altro canto il DDL in discussione non dispone alcun intervento suscettibile di produrre ricadute positive per l’accelerazione dell’andamento dei processi penali, ma incide solo sul termine massimo di prescrizione dei reati. “

Qui finisce la lunga citazione del documento del CSM e sorge spontanea la domanda: ma l’interesse generale e di ogni singolo cittadino dove sta? Se si vuole accelerare la giustizia come è assolutamente necessario perché non si danno i mezzi adeguati e non si riscrivono le procedure per farli veramente i processi e non per condannarli a morte certa solo che lo vogliano imputati ricchi e potenti? E poi: perché il Parlamento e il Governo non lavorano ad oltranza per affrontare il problemi del Paese e si mobilitano solo quando sono in gioco gli interessi del Capo del Governo?

Claudio Lombardi

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