Proprietà pubblica delle aziende sì o no? Dal referendum sull’acqua a Cottarelli

Grande interrogativo se sia meglio la proprietà pubblica delle aziende che gestiscono i servizi oppure se sia meglio quella privata. Fermo restando che compito dei poteri pubblici è porre delle regole nell’interesse generale (con particolare attenzione all’uso delle infrastrutture di rete) la questione se sia meglio il pubblico o il privato si ripropone periodicamente.

Chi propose il referendum cosiddetto sull’acqua pubblica una sua risposta la diede. (Cosiddetto perché il quesito referendario non riguardava la proprietà dell’acqua bensì la gestione di tutti i servizi locali tornando molto utile sbandierare l’acqua pubblica per raccogliere voti). Oltre al referendum elaborò una sua proposta secondo la quale i servizi avrebbero dovuto essere esercitati non più attraverso aziende, bensì tramite enti pubblici sotto il completo controllo degli enti locali.

Benissimo, questa può essere una soluzione. Ma a quali problemi?

L’indagine di Cottarelli per la spending review ci porta proprio in questi giorni interessanti notizie che, in parte, si conoscevano già, ma in parte sono vere sorprese. Per esempio che buona parte delle aziende locali sono in passivo oppure che molte si occupano di attività non proprio riconducibili a un servizio pubblico (tipo gestire il Casinò di Venezia) oppure che hanno meno dipendenti che consiglieri di amministrazione (a che servono? A far guadagnare politici e clientele varie è ovvio). Una delle star delle aziende peggio gestite (per esperienza degli utenti e bilanci alla mano) è l’ATAC di Roma che gestisce il trasporto locale e che è balzata nelle cronache per assunzioni clientelari, traffici di biglietti falsi, ruberie e amenità di questo genere oltre che per l’incapacità di far viaggiare i romani.

Ebbene ATAC al pari di tantissime altre aziende è interamente di proprietà pubblica sicchè dovrebbe soddisfare la condizione che i paladini del “tutto pubblico” pongono come fondamentale. Eppure è conciata come i romani sanno benissimo.

È un caso, ma il discorso potrebbe continuare con mille altri esempi. La domanda di fondo però è questa: perché una parte della sinistra non riesce mai ad affrontare le cose con schemi non ideologici, ma pragmatici? Perché non pone come prima condizione di fare piazza pulita di ogni genere di ruberie, clientelismo, spreco chiunque siano i beneficiari (categorie di lavoratori e sindacati o politici di sinistra inclusi)?

Continuando a far finta che non siano quelle le priorità darà l’impressione non solo di una posizione ideologica astratta, ma anche di una sostanziale connivenza con chi sfrutta nel suo interesse privatissimo la proprietà pubblica. Che poi sarebbe il problema dei problemi ben più importante della proprietà delle aziende

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