Pubblica amministrazione: la semplicità va unita alla capacità

Pubblichiamo un articolo di Andrea Naldini tratto dal sito www.lavoce.info

l governo è in procinto di varare un decreto per la semplificazione della Pa. Ma i risultati ottenuti nella gestione dei fondi europei chiamano in causa la capacità amministrativa degli enti più che il quadro legislativo o il numero di dipendenti.

AMMINISTRAZIONI CON CAPACITA’ DIVERSE

Nelle prossime settimane il governo varerà un decreto per la semplificazione amministrativa per facilitare la ripresa. Bene: nessuno può essere contrario alla semplificazione. Ma, è sufficiente? È solo la complessità procedurale a generare inefficienze e tempi biblici nella nostra amministrazione? I programmi europei offrono importanti indicazioni sulla questione, in quanto finanziano una vasta gamma di interventi e coinvolgono tante amministrazioni diverse.

Limitandoci ad analizzare gli ultimi dati dell’attuale periodo di programmazione 2014-2020, le amministrazioni del Centro-Nord risultano più capaci di spendere le proprie risorse rispetto a quelle del Sud (tabella 1). Tra i ministeri, poi, l’efficienza di spesa varia spesso più che tra le regioni. La tabella 1 dice anche che, dopo oltre sei anni dall’avvio, nei prossimi tre – quelli che precedono la chiusura delle operazioni – le amministrazioni dovranno spendere in media il 70 per cento delle risorse. Se si aggiungono le nuove risorse Ue del periodo 2021-2027 e quelle che dovrebbero venire dal Recovery Fund e dal Transition Fund, si capisce che la sfida sarà notevole per tutti, ma soprattutto per le amministrazioni più deboli.

Tabella 1 – Impegni e pagamenti dei programmi Ue del periodo 2014-2020 (valori %; ranking calcolato sui pagamenti; programmi Fondo sociale europeo e Fondo europeo sviluppo regionale)

ProgrammiImpegni/risorse totali (%)Pagamenti/risorse totali (%)
AbruzzoMeno avanzato52%22%
BasilicataPiù avanzato61%35%
CalabriaMeno avanzato41%25%
Emilia RomagnaPiù avanzato99%52%
MarcheMeno avanzato51%21%
MolisePiù avanzato60%31%
PON Ministero InterniMeno avanzato23%17%
PON Ministero IstruzionePiù avanzato59%36%
PON Ministero Lavoro (Inclusione)Meno avanzato59%12%
PON Ministero TrasportiPiù avanzato72%38%
Programmi nazionaliTotale66%32%
Programmi Regioni meno sviluppate (a)Totale47%27%
Programmi Regioni più sviluppate (c)Totale65%37%
Programmi Regioni transizione (b)Totale54%29%
Totale GeneraleTotale58%31%

Note: a) Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Basilicata; b) Abruzzo, Molise, Sardegna; c) le altre regioni del Centro Nord.

Nonostante le perduranti difficoltà facciano pensare il contrario, in passato abbiamo perso poche risorse Ue. Ci siamo riusciti, però, al costo di depotenziare i programmi: riducendo gli investimenti nazionali collegati ai fondi europei e inserendo nei programmi Ue progetti già finanziati con risorse nazionali (progetti “retrospettivi”) invece di finanziarne di nuovi. A riprova delle maggiori difficoltà che si riscontrano nel Sud, il taglio delle risorse nazionali e il ricorso ai progetti retrospettivi sono stati qui più elevati. Se si somma una stima dei progetti retrospettivi pari al 20 per cento nella programmazione attuale alla caduta della spesa del fondo nazionale per lo sviluppo – passato da 6 miliardi nei primi anni Duemila agli attuali 1,5 miliardi nonostante la sua disponibilità – risulta che l’inefficienza è costata al Mezzogiorno circa l’1,5 per cento del Pil annuo.

I PROBLEMI DI PERSONALE

La riduzione dei pubblici dipendenti è spesso citata come l’altra grande causa dei ritardi. C’è del vero, perché negli ultimi 15 anni l’occupazione in ministeri e regioni è scesa quasi del 20 per cento, ma alcune regioni con personale limitato sono nel complesso efficienti, al contrario di altre (per esempio, la Sicilia) o di alcuni ministeri che di dipendenti ne hanno molti.

Negli uffici che gestiscono i fondi europei la mancanza di personale è tuttavia un problema più serio perché, a parità di condizioni, pochi vogliono stare dove ritmi di lavoro e responsabilità sono maggiori. Vincoli contrattuali e sindacali impediscono di incentivare – o obbligare – il personale a spostarsi in quegli uffici. Si ricorre allora all’esternalizzazione di parti della gestione a società pubbliche o private, aumentando i costi e impoverendo l’esperienza del personale interno. D’altra parte, senza l’“esternalizzazione” (circa un esterno ogni quattro interni), molti programmi non potrebbero essere realizzati. In diverse amministrazioni manca infatti una “politica” del personale e dunque limitarsi ad aumentare i dipendenti senza sciogliere i nodi che ne impediscono l’uso efficiente non sarebbe una soluzione.

La velocità di spesa dei fondi europei varia tra amministrazioni e non dipende solo dal farraginoso quadro legislativo, uguale per tutti, o dal numero di dipendenti, ma anche dalla capacità amministrativa, cioè dall’abilità a organizzarsi per realizzare con successo quanto previsto dalle politiche pubbliche di competenza, in questo caso dai programmi Ue.

Politiche nazionali per la capacità amministrativa non sono mai state intraprese. Da oltre trent’anni riforme più o meno ambiziose della pubblica amministrazione hanno perseguito l’efficienza “per legge” introducendo qualche miglioramento, ma senza intaccare il funzionamento della macchina burocratica. E sono state realizzate molte azioni di formazione, spesso slegate però da un target di miglioramento per cui gli effetti sono stati, nel migliore dei casi, individuali.

L’ESPERIENZA DEI PRA

È nei programmi europei che è stata sperimentata, per la prima volta, una politica sistematica di rafforzamento della capacità amministrativa.

Dal 2015 un accordo tra Commissione europea e governo ha sancito che ogni amministrazione responsabile di un programma europeo deve avere unpiano di rafforzamento amministrativo” (Pra), senza il quale il programma non era finanziato. Il Pra ha una durata biennale, identifica una serie di azioni di rafforzamento e, soprattutto, definisce target, quantitativi e misurabili, di riduzione dei tempi procedurali. I piani di rafforzamento amministrativo, quindi, lavorano per obiettivi concreti e non per generici miglioramenti.

La prima generazione dei Pra ha dato risultati incoraggianti. Oltre il 70 per cento delle azioni previste è stato completato e vi sono stati miglioramenti tangibili in circa il 50 per cento dei target. Le amministrazioni lo hanno apprezzato e lo hanno utilizzato per pianificare interventi nuovi o altrimenti frammentari. I Pra hanno anche permesso di comprendere meglio i problemi di capacità e i possibili miglioramenti su cui lavorare (per esempio, la pianificazione annuale dei bandi o i tempi standard per alcune procedure).

Non sono comunque mancati i problemi. Lo scarso impegno del livello politico o dei funzionari apicali ha circoscritto i Pra all’interno dei fondi europei, rendendo più difficili le azioni sul personale o di coordinamento tra uffici. E si è dimostrata la necessità di una leadership più forte che sproni le amministrazioni con incentivi o sanzioni.

La semplificazione che ci si aspetta dal decreto governativo, la spinta all’informatizzazione proposta dalla task force di Vittorio Colao e le assunzioni di migliaia di dipendenti previste dal Piano Sud rischiano di essere un tavolo traballante senza la quarta gamba di un’autorevole e sistematica politica per la capacità amministrativa. Come insegnano i Pra, deve essere obbligatoria per tutti, ma più intensa nelle amministrazioni più deboli, focalizzata su procedure concrete, deve avere target quantitativi, monitorati e valutati pubblicamente, e poggiare su una leadership forte sia nazionale sia nelle singole amministrazioni.

Semplicità e capacità devono camminare insieme, una non può sostituire l’altra.

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