Reddito minimo garantito, non un’utopia (di Toni Castellano)

Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista  a Luca Santini presidente del Bin Italia (Basic Income Networking) che riunisce sociologi, economisti, filosofi, giuristi, ricercatori, liberi pensatori che da anni studiano, progettano e promuovono l’introduzione di un reddito minimo garantito. L’intervista è tratta da www.lib21.org

Cosa si intende per Reddito minimo garantito?

Si tratta di una dotazione di risorse, erogata sia in termini monetari, sia con prestazioni di servizi, che si propone di dotare l’individuo che ne sia privo di un ammontare di risorse sufficienti a garantirne la partecipazione alla vita pubblica o comunque a fronteggiare le condizioni di maggiore privazione. Il reddito minimo garantito mira ad assicurare la persona dal rischio di esclusione sociale, sempre più diffuso nelle società contemporanee.

Quanto costerebbe metterlo in pratica nel nostro Paese?

La stima sui costi di una misura del genere è uno degli esercizi di scienza delle finanze più complessi che esistano, perché la predisposizione di stime accurate si scontra con l’indisponibilità di dati certi sui redditi degli italiani e perché soprattutto il costo complessivo della misura dipende da una quantità di variabili demandate alla decisione politica.

Ipotizzando però una misura di sostegno in linea con le indicazioni europee (cioè pari al 60% del reddito mediano) destinata a tutte le persone prive di altri redditi, si può immaginare un impegno per le finanze pubbliche nella misura di 35 miliardi di euro. Questo costo lordo non tiene conto dei risparmi che ci si possono attendere dal riassorbimento di misure assistenziali che non avrebbero più ragione di esistere (gli assegni sociali, i sostegni ai nuclei familiari numerosi, alcune prestazioni di invalidità), né dei ritorni in termini di maggiori entrate dovuti all’aumento dei consumi (e della produzione).

Più che di veri e propri costi, si dovrebbe parlare di redistribuzione delle ricchezze esistenti. E’ bene comunque ricordare che l’Agenzia delle Entrate ha stimato di recente in 120 miliardi l’ammontare annuo dell’evasione fiscale nel nostro Paese, e che secondo la Corte dei Conti ammonta a 60 miliardi ogni anno il costo della corruzione nel settore pubblico. Dunque l’ordine di grandezza indicato pone la proposta del reddito minimo garantito su un piano di concretezza e di praticabilità, anche se ovviamente non ci si può nascondere che si tratterebbe di una riforma economico-sociale di vasta portata, che potrebbe richiedere un tempo abbastanza lungo per la sua completa attualizzazione.

Quali “scogli” si trova a fronteggiare il vostro movimento? Quali sono gli argomenti di chi avversa l’introduzione di un Reddito minimo garantito nel nostro Paese e come ribattete a queste critiche?

L’ostacolo principale all’introduzione di una misura di garanzia del reddito è dipeso in passato da una sorta di “ideologia del lavoro” che accomunava le principali forze politiche e sociali del Paese. Si pensava (e talvolta si sostiene ancora oggi) che l’unico modo “degno” di partecipazione alla vita pubblica dipendesse da una mediazione con il lavoro, e che tutto ciò che fosse fuori da questa sfera della produzione meritasse l’epiteto di “assistenzialismo”. Di fronte alla falcidia di posti di lavoro che la crisi economica internazionale sta provocando, e ancor prima di fronte all’emergere di una precarizzazione di massa del lavoro, queste posizioni conservatrici paiono destinare a cedere.

Si fa strada sempre più ampiamente la consapevolezza che alle vecchie tutele “del lavoro”, occorre associare delle nuove tutele “del cittadino lavoratore”, del soggetto cioè inserito nel mondo produttivo, anche se spesso in condizioni di inattività forzata, oppure di autoimpiego, oppure ancora in continua transizione da un impiego all’altro.

Oggi in verità l’ostacolo più impervio all’introduzione o al rafforzamento degli schemi di reddito minimo è dato dal vento di austerità che si è abbattuto sull’Italia e sull’Europa. Le politiche restrittive attualmente in auge rischiano di vedere sacrificati i diritti sociali sull’altare della competitività. A questo ritorno di fiamma del neoliberismo va contrapposta un’opzione forte per la difesa del modello sociale europeo, che ha fatto della tutela della persona e della sua dignità uno dei punti qualificanti del suo successo.

Quali sono i vantaggi di questo sistema di sostegno per chi si ritrova senza reddito? In che modo l’introduzione del reddito minimo garantito potrebbe essere motore di una nuova forma di partecipazione alla res pubblica?

Il reddito minimo è una misura a favore della cittadinanza attiva. La sua introduzione rafforzerebbe il senso di appartenenza alla collettività (che non può ridursi a un fatto meramente psicologico). Determinerebbe inoltre un allentamento della presa del lavoro sull’esistenza e favorirebbe la nascita o il consolidamento di modalità alternative di produrre e di vivere. Si instaurerebbe un clima sociale meno esasperato, meno competitivo, più disponibile alla cooperazione.

Guardando al panorama europeo, dove il reddito minimo garantito è molto diffuso, sebbene con formulazioni differenti, quale ritenete sia “esportabile” in Italia?
Non esiste probabilmente un modello europeo direttamente esportabile in Italia. L’Italia avrà ampia possibilità di orientarsi al fine di prescegliere una strada originale, forte anche dell’esperienza altrui.

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