Roma spelacchiata

Come nell’apologo di quello che guardava il dito che indicava la luna anziché guardare la luna, così i romani si sono fissati per tutto il periodo delle feste natalizie sull’ormai famoso “Spelacchio”, appassionandosi al destino dei suoi rami da salice piangente più che riflettere seriamente sul baratro dentro il quale sta precipitando Roma.

Mentre non riusciamo a capire quale sia realmente il piano industriale dell’AMA ed il piano strategico del Comune per raggiungere gli obiettivi della raccolta differenziata né i programmi  a medio e lungo termine per lo smaltimento dei rifiuti, si è presa la via dell’Abruzzo per portare quotidianamente a carissimo prezzo la nostra “monnezza” dopo aver rifiutato l’aiuto dell’Emilia Romagna per ragioni a noi incomprensibili.

Invece l’ATAC un piano industriale ce l’ha per poter arrivare ad un concordato che scongiuri la sua morte che, al momento attuale, sembra più evidente di quella accertata del povero Spelacchio. Ma per il momento questo piano industriale si percepisce soprattutto dal programma di vendita del patrimonio pubblico (l’azionista dell’ATAC è il Comune al 100%) costituito soprattutto dai monumentali ex depositi disseminati per la città da Trastevere, all’Appio, a Mazzini, a Ostiense. Un altro modo per trasformare dei luoghi identitari di grande valenza architettonica, da servizi socio-culturali per i quartieri a grandi centri commerciali o residenziali di lusso.

Nel frattempo altre operazioni edilizie stanno impoverendo il contesto urbanistico, storico ed architettonico della Città Storica. In nome e per effetto del Piano Casa della Regione (Piano che viene da lontano, iniziato dalla Giunta Polverini e completato dalla Giunta Zingaretti) c’è un lungo elenco di villini degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso in predicato di essere demoliti per far posto a brutti condomini di residenze di pregio che certamente non vanno a risolvere il problema della casa per i meno abbienti. Il Piano casa si è chiuso a giugno ed ora sono in via di realizzazione i progetti presentati di demolizione e ricostruzione senza che né la Soprintendenza né il Comune si preoccupino minimamente per attivare le loro competenze in materia che potrebbero quantomeno attenuare o orientare il fenomeno.

Ora il Piano Casa non c’è più anche se i suoi nefasti effetti si stanno manifestando proprio nelle parti più pregiate del tessuto urbanistico ed architettonico di Roma, ma è entrata in vigore la Legge Regionale sulla Rigenerazione ed il Recupero Urbano.

I Comuni potranno indicare strategie, obiettivi, prescrizioni, opere di mitigazione o compensazione ambientale, opere di pubblico interesse da realizzare, politiche pubbliche, programmi per la partecipazione civica, soggetti pubblici ed economici da coinvolgere, relazione di fattibilità economica. Inoltre i Comuni potranno individuare ambiti territoriali urbani nei quali consentire interventi di sistema di ristrutturazione edilizia e urbanistica o interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti. Come intende muoversi il Comune di Roma Capitale?

Sulla mobilità, a parte l’elenco di opere messe nel PUMS – Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, non si vedono né piani di fattibilità in atto né progetti. Alla crisi dell’ATAC che mette in discussione lo stesso concetto di servizio pubblico si accompagna una crisi di programmazione e di percezione da parte dei cittadini di un sistema di opere capaci di raggiungere quegli obiettivi che oggi sembrano lontani ed irraggiungibili. Ecco, sembra veramente che si campi alla giornata fra una funivia ed una pista ciclabile, tra l’annuncio di una decina di linee di tram scoordinate ed una discutibile bozza di delibera sui bus turistici bocciata dal primo Municipio,  senza costruire un vero mosaico di un sistema della mobilità generale romana con la certezza della fattibilità dei progetti, dei tempi e dei finanziamenti e soprattutto con una definizione trasparente e condivisa degli obiettivi da raggiungere nei tempi brevi, medi e lunghi.

L’esempio più eclatante è quello della metro C della quale si conosce solo l’incerto destino fino alla stazione Fori-Colosseo dove rischia di impantanarsi, ma non si conoscono né i progetti di proseguimento almeno fino a Clodio, né i tempi di realizzazione, né i finanziamenti. Né tantomeno si conosce qualcosa riguardo alla fantomatica metro D che da Montesacro dovrebbe raggiungere l’Eur intersecando la metro C a piazza Venezia. E queste sarebbero le opere strategiche?

Per non allungare troppo, citiamo solo la mancanza cronica di un piano serio di manutenzione del manto stradale e dei marciapiedi, l’assenza di un servizio di manutenzione programmata del verde pubblico e perfino  l’incapacità di affrontare strutturalmente il tema dei servizi alle persone in una città dove la presenza di migliaia di senza casa è vista come un fastidio da nascondere, allontanare,  da spostare da un punto all’altro o da trattare come problema di pubblico decoro e non come tragedia umana che avrebbe bisogno di politiche di accoglienza e di gestione duratura e non emergenziale con tanto di personale e di risorse. A cominciare dai bagni pubblici, programmati da tempo e mai realizzati.

Ma noi continuiamo a polemizzare su Spelacchio e sui sacchetti di plastica mentre ci tocca quotidianamente ascoltare  uno sproloquio di assurde promesse elettorali da venditori ambulanti di paese. Ma questa è un’altra storia …….

Paolo Gelsomini

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