Tagli ai servizi locali? Sacrifici per la crisi? e per i derivati chi paga? (di Claudio Lombardi)

Il male oscuro dei derivati si aggira negli scenari della vita e delle attività degli enti locali e delle regioni dei prossimi anni. O decenni, addirittura. Eh sì perché nel gran parlare che si fa di federalismo fiscale, di costi standard, di tagli alle finanze degli enti locali e delle regioni e di assoluta necessità di frenare la deriva del debito pubblico poco ci si ricorda di due linee di ragionamento: la prima è quella che non accetta di vivere alla giornata e, quindi, di stupirsi se i conti dello Stato vanno male perché non è cosa che si è verificata dall’oggi al domani e i responsabili delle scelte sbagliate del passato, recente e remoto, dovrebbero almeno dirlo che si sono sbagliati; la seconda è che, fra le scelte sbagliate, ci sono anche quelle di stipulare i contratti derivati con le banche. Simili a scommesse questi contratti consistono in uno scambio di ipotesi di tassi di interessi fra banca e acquirente che dovrebbe produrre, apparentemente, una situazione di equilibrio fra le due parti e di rischi condivisi. In realtà, come molti analisti si sono preoccupati di dimostrare, questo equilibrio non c’è mai e la banca o intermediario che stipula il contratto riesce a riservare per sé un rischio molto minore di quello che si accolla l’altra parte, di solito un privato che vuole coprirsi dal rischio dell’aumento dei tassi o un ente pubblico che ha bisogno subito di denaro e che non vuole pagare alti tassi di interesse.

Che la cosa sia una mina vagante lo attesta adesso la Banca d’Italia che in una valutazione sulla situazione dei contratti derivati stipulati da privati e da enti pubblici italiani ha evidenziato che il valore del debito potenziale è salito dai circa 48 miliardi di euro dell’ultimo trimestre 2009 agli oltre 57 miliardi del primo trimestre 2010. In pratica chi volesse o dovesse disfarsi di questo contratto oggi pagherebbe una cifra molto più elevata di quella che avrebbe dovuto pagare nel 2009. Senza aver ricevuto nulla in cambio, ovviamente, soltanto per aver perso quella specie di scommessa che sono i derivati.

Banca d’Italia stima che la perdita potenziale per le amministrazioni pubbliche ammonti a 2,5 miliardi di euro, ma resta il dubbio, richiamato dagli analisti, che la perdita effettiva sia ben maggiore con la copertura di gestioni fuori bilancio o di altri meccanismi che occulterebbero un aggravio per i bilanci pubblici nettamente superiore. Anche se fossero “solo” 2,5 miliardi, però, già sarebbero troppi per le finanze locali.

Il fatto è che sembra che i derivati stipulati con le banche non risentano della discesa dei tassi di interesse e che il recupero delle perdite sia sempre molto più lento delle perdite stesse. Gli analisti parlano dell’effetto delle commissioni occulte caricate su questi contratti e di altri meccanismi che gravano sempre sugli stipulanti e non sulle banche. Ma che strano!

Che dire? È banale chiedere che sia fatta piena luce sulle disastrose scelte di centinaia di amministrazioni locali che adesso e per gli anni a venire saranno pagate a caro prezzo dai cittadini in termini di tasse e di tagli ai servizi? I responsabili potrebbero almeno avere la decenza di ammettere di aver sbagliato o la cosa rientra fra i segreti inconfessabili che troppi politici non vogliono rivelare?

A Roma, per esempio, c’è una richiesta di accesso agli atti ad opera di un’associazione di cittadini che vorrebbe conoscere il contenuto esatto dei contratti derivati nei quali è impegnato il comune. Purtroppo la richiesta non ha avuto esito positivo e l’associazione “Antigene” ha presentato un’esposto alla Procura della Repubblica ipotizzando il reato di truffa. E per questo è bastata la lettura della Relazione della Sezione Regionale per il Lazio della  Corte dei Conti    sul “ Controllo sulla gestione finanziaria del Comune di Roma per gli esercizi 2004 – 2007, con proiezione all’esercizio 2008 “- Parte  IV Contratti Derivati.

Tutto si basa, infatti, sulle informazioni contenute nella relazione della Corte dei Conti nella quale emerge la valutazione di rischi di esposizione per il Comune sul pagamento di flussi finanziari crescenti e senza alcun limite su “vere e proprie scommesse  allestite  sui bilanci pubblici”. Alla  Corte Dei Conti, in sintesi, “non pare che la complessa gestione delle operazioni di finanza derivata poste in essere dal Comune abbia rispettato gli obiettivi fissati dalla legge di riduzione del costo finale del debito e di riduzione dell’esposizione ai rischi di mercato”.

In pratica poco si sa sui vincoli contrattuali che tengono legato il Comune fino al 2050 e che potrebbero esporlo al pagamento di interessi altissimi mentre sembra mancare una specifica iniziativa  delle forze politiche di maggioranza e di opposizione in consiglio comunale per far luce su una simile situazione.

Che si tratti di una situazione piena di rischi sulla vita dei romani è evidente perché sicuramente i debiti e le perdite ricadranno sui bilanci comunali e qualcuno dovrà pagare il conto. E chi sarà? Ovviamente i contribuenti ignari della spericolatezza dei propri amministratori che tra, l’altro, possono cambiare ad ogni elezione. Ma i debiti restano. Per ora sembra che solo l’associazione Antigene e la Rete Romana del Mutuo Soccorso abbiano preso a cuore la cosa e si stiano adoperando per far luce, ma è auspicabile che altri si uniscano a questo sforzo.

Sarebbe bello se i bilanci pubblici fossero trasparenti e se le scelte dei politici che dirigono gli enti locali fossero assunte alla luce del sole e spiegate ai cittadini. Perché se non possono essere spiegate e sono tenute nascoste è già un indizio di pericolosità che deve allarmare.

Ecco la lezione da trarre da questa vicenda: i politici non siano ipocriti e dicano la verità sui loro errori e sui motivi per i quali si fanno certe scelte e non altre. E non ci vengano a fare la predica per farci digerire scelte che non sono mai oggettive, ma, appunto, scelte fra opzioni differenti.

E poi, qualche volta, siano chiamati a rispondere per le responsabilità che si sono assunti.

Claudio Lombardi

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