Tre euro per un’ora di lavoro (di Ilaria Donatio)

Ieri mattina ho saputo che C., amica “di cani”, che frequenta lo stesso nostro parchetto, ha lavorato per un mese, a tre euro l’ora e dunque in nero, nel minimarket di quartiere: faceva la cassiera e sostituiva la compagna del proprietario. Quando ha saputo che avrebbe iniziato a lavorare, era raggiante: il negozio è un ‘no logo’ ed ha molta merce di provenienza romena, è economico e, di questi tempi, sempre affollato. C. si sentiva una bella responsabilità e sperava che quella sostituzione diventasse qualcosa di più.

C. è una ragazza transessuale ed era così grata con chi l’aveva scelta, da passare sopra e scusare l’estrema vaghezza circa il compenso che sarebbe andata a percepire: “sai, pensavo almeno sette-otto euro, escludevo una cifra inferiore”. Possiamo darle torto?

Ieri l’ho trovata al parco, seduta sulla panchina, con lo sguardo un po’ assente. Sembrava imbarazzata. E quando le ho chiesto subito, sorpresa, “che ci fai qui? non dovresti stare al market?”, lei ha risposto che la sostituzione era finita, che però “il proprietario mi ha detto che sta per aprire un altro minimarket a San Giovanni e che mi chiamerà certamente”. A me pareva comunque una bella notizia e non comprendevo quella tristezza così insolita per lei: C. è una chiacchierona, ha sempre da dire, e sembra che il sorriso non la abbandoni mai. Poi ho capito.

Quando ha detto, senza preamboli: “Tre euro l’ora, mi pagherebbe tanto”. “T-r-e e-u-r-o”, ripeto come tra me e me. Faccio un calcolo veloce: ho pensato che anch’io ero sottopagata, o non pagata affatto, oppure pagata in ritardo.

Ma dare a un essere umano tre euro per ogni ora di lavoro, è riduzione allo stato di schiavitù. Insomma, abbandoniamo regole, legalità, stato di diritto, persino, questa dimensione temporale – la contemporaneità – e torniamo indietro nel tempo, quando gli uomini non erano tutti uguali, c’erano gli schiavi e i liberi, e anche la vita aveva un prezzo che si poteva pagare.

Ho pensato subito ai raccoglitori di pomodori, alle loro rivolte, al rumore che avevano fatto, ai proclami politici, alle urla di scandalo: proprio l’altro giorno avevo riletto un reportage di Peacelink. Diceva che loro, almeno i più “fortunati”, prendevano quattro euro per ogni ora lavoro.

Ecco: di cosa stiamo parlando?

Perché il punto è questo e sono stata così vigliacca da non riuscire a trovare le parole con C.: mentre qui ci gingilliamo su questioni “cruciali”, quando la politica affronta il tema delle regole, quello della trasparenza e della legalità, ci sono persone come noi che, pur di lavorare, accettano l’idea e il fatto che il proprio lavoro possa valere tre miseri euro ogni ora.

“Lo sai”, mi dice C. che ormai aveva rotto il ghiaccio, “che la signora romena che chiede l’elemosina fuori dal market, arriva a cinquanta euro ogni giorno? Pensa, io solo alla metà per stare in cassa!”. Non ho detto a C. quello a cui ho subito pensato: se mi fossi presentata io dal tizio del negozio e gli avessi chiesto se cercavano qualcuno, lui mi avrebbe detto certamente no.

Perché siamo arrivati a questo punto: c’è sempre un essere umano, oggi, che è messo così male, da accettare meno di te, da dire sì a qualsiasi discriminazione, sfruttamento, violenza psicologica, pur di campare. C. lo è: “ora ho messo l’annuncio come donna delle pulizie, ma anche qui c’è una concorrenza spietata”.

Dobbiamo fare qualcosa, le ho detto piano, sotto voce, perché intanto, pensavo a cosa: cosa potevo fare io? cosa possiamo fare noi?

Poi, ho iniziato a gridare a C. che lei doveva avere coraggio, che doveva denunciarlo, non arrendersi. Lei mi ascoltava e stava muta. Ho capito che mi stavo rendendo ridicola ai suoi occhi: “parli facile tu”, avrà pensato. Ora mi sono messa in testa che qualcosa deve accadere, che le parole e l’indignazione non bastano, ché da quando lo so, se non facessi nulla, mi renderei complice. Siamo tutti complici: la nostra libertà è anche quella degli altri: se C. è meno libera di quanto lo sia io, anche la mia libertà è monca. E io ne sono responsabile.

Ilaria Donatio

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