20 anni da Tangentopoli, ma la corruzione è sempre viva (di Vittorino Ferla)

Sono passati venti anni dall’inizio di Tangentopoli. Venti anni fa il sistema dei partiti che aveva animato la vita politica italiana nel dopoguerra è deflagrato. La causa principale fu la pervasiva occupazione delle Istituzioni da parte del ceto politico e la corruzione diffusa tra uomini di partito, amministratori e operatori pubblici.

L’impatto della corruzione sullo sviluppo del Paese

Purtroppo, però, negli ultimi venti anni, ben poco è stato fatto per fronteggiare fenomeni così gravi e ormai così visibili. Sono stati fatti, anzi, alcuni passi all’indietro con la depenalizzazione del falso in bilancio e con l’allungamento dei termini di prescrizione nel caso di processi per corruzione. Due decisioni che hanno avuto conseguenze gravi sulla vita dei cittadini.

Basti pensare che il danno erariale annuale causato in Italia dalla corruzione è pari almeno a 70 miliardi di euro (secondo una recente valutazione della Corte dei Conti). Una enorme quantità di risorse che potrebbero essere altrimenti impiegate.

Non solo, ma la burocrazia e la  corruzione quando sono intrecciate sbarrano il passo alla concorrenza (quella sana che porta l’innovazione) e impediscono lo sviluppo dell’economia.

Diversi studi internazionali, inoltre, indicano che la diffusione della corruzione inquina la spesa pubblica e porta a trascurare l’istruzione, i servizi sociali e l’assistenza.

In questo modo la corruzione colpisce direttamente sia la salute economica che i diritti dei cittadini e peggiora la qualità della vita.

La lotta alla corruzione non è ancora nell’agenda della politica

Alla luce di queste considerazioni, la sostanziale immobilità del Parlamento e delle Istituzioni è davvero sconcertante.

Un disegno di legge sulla corruzione presentato dal precedente governo giace in Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati. Si tratta di una proposta giudicata inadeguata e insufficiente dalla gran parte dei commentatori e il Parlamento è fermo in attesa di una nuova iniziativa del Governo,  ma anche della fine del condizionamento che alcune forze politiche fanno pesare non appena si parla di lotta alla corruzione.

“Strano” comportamento delle forze politiche su un problema drammatico che richiederebbe seri provvedimenti d’urgenza. Strano, ma non troppo a leggere le cronache giudiziarie degli ultimi anni.

Bisogna anche ricordare che il Parlamento non ha ancora ratificato la Convenzione penale sulla corruzione, elaborata e proposta dal Consiglio d’Europa nella sua versione definitiva il 27 gennaio 1999, convenzione ratificata, ad oggi, da 43 Stati (l’ultima l’Ucraina nel 2010): il ddl di ratifica giace ancora in Senato in attesa di approvazione.

Non basta. Dopo appena un anno e mezzo dall’approvazione, il dlgs 150 del 2009 (meglio noto come riforma Brunetta) – che introduce importanti novità in tema di trasparenza e performance delle istituzioni pubbliche e che offriva indirizzi importanti in termini di lotta alla corruzione e agli abusi di potere – resta sostanzialmente inapplicato. Mille resistenze a tutti i livelli, mentre il punto di vista dei cittadini viene sostanzialmente espulso perché non esistono strumenti di partecipazione effettiva.

L’ambiguo ruolo della CIVIT

A questo quadro già poco confortante bisogna aggiungere una doverosa valutazione del lavoro svolto fin qui dalla Commissione indipendente per l’integrità, la trasparenza e la valutazione delle amministrazioni pubbliche, la cosiddetta CIVIT.

Le speranze di quanti si aspettavano una energica iniziativa riformatrice della CIVIT si sono rivelate mal poste. I risultati sono assai deludenti. L’attività è meramente formale, legata all’adempimento di atti burocratici e alla approvazione di delibere su norme e regolamenti. Per di più si sono succedute le dimissioni dei suoi componenti tanto da far dubitare che la CIVIT sia ritenuta un organismo utile.

Sicuramente non è utile per combattere la corruzione (come vorrebbe il disegno di legge Alfano fermo alla Camera) dato che è un organismo per niente indipendente, ma di diretta emanazione governativa e, quindi, soggetto alle sempiterne logiche lottizzatrici della politica nazionale. Come dovrebbe essere evidente, infatti, la lotta alla corruzione non può essere fatta sotto il controllo dei partiti.

Ovviamente di partecipazione di rappresentanti dei cittadini nemmeno se ne parla, ma questo è scontato quando si tratta di lottizzazione.

Partecipazione dei cittadini: gli strumenti di civic auditing

La trasparenza è un antidoto alla corruzione si sa. Ma non basta soltanto l’incremento delle informazioni; ci vuole anche la reale partecipazione dei cittadini e delle loro organizzazioni nei processi di definizione, implementazione e valutazione dell’azione amministrativa; e per questo ci vuole l’accesso dei cittadini a tutte le informazioni rilevanti.

Occorre quindi che la nuova disciplina contro la corruzione scommetta e faccia leva anche sulla capacità della iniziativa civica di promuovere e curare la pubblica amministrazione intesa come un grande bene pubblico.

A questo proposito ci sono nodi irrisolti nelle norme attuali. Per esempio, non c’è traccia della presenza di rappresentanti delle associazioni dei cittadini sia nei nuclei di valutazione dei dirigenti, sia all’interno dell’organismo centrale di valutazione. La stessa CIVIT, d’altro canto, non prevede la partecipazione di rappresentanze dei cittadini negli organismi di valutazione di cui ogni amministrazione dovrebbe dotarsi. Sembra quasi che la partecipazione dei cittadini sia vista come una minaccia.

Invece, nel dibattito pubblico, ormai, alcune parole chiave come trasparenza, valutazione e benchmarking (confronto o comparazione) sono diventate di uso comune. Comincia a riconoscersi il tema del civic auditing, largamente utilizzato nei paesi nord-europei e negli Usa, per migliorare la trasparenza e l’efficienza delle strutture pubbliche. Comincia a diffondersi la percezione che i sistemi di valutazione interni vanno incrociati con quelli esterni, per assicurare che l’offerta di servizi sia conforme agli standard internazionali di qualità, e rendere pubblici gli obiettivi e i risultati raggiunti, sia del rendimento dell’organizzazione sia di quello personale, in nome della trasparenza totale.

A ciò si aggiunga la necessità di utilizzare meglio internet per agevolare l’accessibilità ai dati e per attivare forme appropriate di confronto pubblico annuale sulla valutazione interna e la valutazione esterna per ciascuna amministrazione (specie a livello regionale e locale), e sugli obiettivi di miglioramento, con la partecipazione, oltre che di studiosi qualificati e organi di informazione, anche delle associazioni di consumatori o utenti. Anche così, permettendo ai cittadini di leggere tra i numeri dei bilanci pubblici, sarà possibile scovare le situazioni di illegalità.

Confisca e uso sociale dei beni dei corrotti

Un’ultima considerazione riguarda i proventi delle attività illecite derivanti dalla corruzione. Alcuni anni fa fu approvata una norma su impulso di Cittadinanzattiva per la confisca e l’uso sociale dei beni dei corrotti con la quale si disponeva il sequestro e la confisca dei beni derivanti dalla corruzione e la destinazione del ricavato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato in egual misura al finanziamento degli interventi per l’edilizia scolastica e per l’informatizzazione del processo.

Si tratta di una norma sostanzialmente inapplicata, ma dalla quale deriverebbero perfino delle risorse per il bilancio dello Stato. C’è da chiedersi per quale motivo nessuna istituzione nazionale competente si sia posta il problema di monitorare lo stato attuazione della norma e di favorirne l’applicazione.

Vittorino Ferla

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