25 settembre: non votare chi mette in crisi l’Italia
“Triumphs and laments” è una straordinaria opera dell’artista William Kentridge realizzata a Roma lungo i muraglioni del Tevere e lunga 500 metri. Narra le glorie e le tragedie che hanno segnato la storia di Roma. Se assumiamo i due termini – glorie e tragedie o anche successi e disastri – come i confini della narrazione che viene fatta dell’Italia di oggi abbiamo una dicotomia abbastanza netta: nella comunicazione pubblica prevalgono i disastri; nei dati oggettivi dell’economia i successi. In mezzo c’è la finanza pubblica espressione di uno Stato che spende ormai quasi mille miliardi di euro a fronte di un Pil di 1800 miliardi. Non si sbaglia dicendo che i problemi dell’Italia stanno tutti qui, nell’enorme impiego di risorse pubbliche e nei pessimi risultati che vengono restituiti alla società.
Prevale una “narrazione” da parte di quasi tutte le forze politiche, della Chiesa, di molti intellettuali, del mondo dell’informazione: il problema dell’Italia è la povertà. Non è così e mettere al centro dell’attenzione generale la povertà rischia di portare fuori strada facendo dimenticare tutto ciò che l’Italia è realmente e percepire un disastro che non esiste. L’effetto è attirare l’attenzione sulla spesa assistenziale e dispensarsi dall’elaborare serie idee di sviluppo. Insomma invento il Reddito di cittadinanza e penso di aver assolto al mio dovere di governo. La sintesi corretta, invece, dovrebbe essere un’altra: Italia paese ricco, ma amministrato male.
Se non ci si fa un’idea della forza economica dell’Italia non si riesce a capire per quale motivo sia ancora un protagonista nel gruppo del G7 che raccoglie i paesi con le economie più sviluppate del pianeta (Usa, Canada, Giappone, Italia, Francia, Germania, Regno Unito) o in Europa dove è collocata subito dopo la Germania tra le più forti economie manifatturiere .
Significativa la previsione del FMI sulla diminuzione delle stime di crescita del Pil nel 2022 delle maggiori economie mondiali a causa della guerra in Ucraina. L’Italia è nella posizione migliore (-0,8% rispetto ad -1,2% della Francia o ad -2,6% della Germania) a conferma di un’economia dotata di maggiore capacità di resilienza.
Marco Fortis economista e docente dell’Università Cattolica di Milano da anni insiste nel mettere in luce le qualità del sistema economico italiano. Basta fare una ricerca sul Sole 24 Ore per rintracciare numerosi interventi su questo tema. In una recente intervista ( QUI) parla di una trasformazione realizzata negli ultimi 15 anni che muterebbe l’Italia da lumaca a possibile lepre d’Europa. Una trasformazione che non si è verificata spontaneamente, ma soprattutto grazie ad alcune scelte politiche particolarmente efficaci nell’ultimo decennio che hanno saputo incentivare gli investimenti delle imprese segno che quando la guida politica è competente, seria e determinata riesce ad essere anche efficace.
Dopo lo choc del 2020 il 2021 è stato un anno di grandissima ripresa, andata ben oltre alle previsioni (dal 3% al 6,6%). Uno slancio che viene confermato anche nel 2022 con un dato già acquisito del 2,3%, superiore a quello dei partner europei. Nonostante la guerra che ha portato ad un taglio delle esportazioni italiane verso la Russia e verso la Cina c’è stata una consistente crescita nel primo quadrimestre del 2022 (+20%) e un valore assoluto nel 2021 pari a 516 miliardi di euro.
Tornando ai “triumphs and laments” eravamo sulla strada giusta con un governo che, grazie alla guida di Draghi, aveva portato credibilità e autorevolezza all’Italia, ma alcuni partiti (M5s, Lega, Forza Italia) hanno pensato bene di combinare un disastro mettendo fine a questa esperienza. Ciò che si prospetta con le elezioni del 25 settembre è molto preoccupante. La coalizione data per vincente si è già fatta ben conoscere nel corso degli anni. All’insegna del recupero di sovranità si punta alla crescita del debito contando sull’interesse dei partner europei a non far crollare l’Italia. Quindi, sovranità, ma pagata dall’Europa. È il modello Orban applicato su grande scala. Ma poi spesa pubblica per cosa? Per migliorare i servizi sanità e istruzione? Per ponti, argini, acquedotti e strade? Non sembra proprio. Le parole chiave delle destre sono sempre pensioni anticipate, taglio delle tasse e condoni fiscali.
Mentre la BCE sancisce la fine degli acquisti di titoli pubblici e l’aumento del costo del denaro l’Italia si presenta sulla scena europea e internazionale come una nazione politicamente instabile che ha un bisogno vitale di piazzare titoli del debito per centinaia di miliardi ogni anno. Logico che lo spread cioè il tasso di interesse differenziale con la Germania sia in netta crescita. E se in autunno un ipotetico governo sovranista dovesse fallire gli obiettivi del PNRR facendo saltare i versamenti europei che succederebbe?
Purtroppo non ci sono segnali che facciano presagire un avvicinamento dei due estremi, successi e disastri, nel nome di una politica rinnovata e capace di assumere la guida di una spesa pubblica che sia fattore di sviluppo e non di distruzione di risorse, finanziarie, economiche e anche umane (la fuga dei cervelli, la denatalità).
Tuttavia non si sbaglia se il 25 settembre si adotta un criterio guida: non si vota chi ha messo in crisi l’Italia
Claudio Lombardi
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