Dalle elezioni ai referendum, un mutamento in corso (di Claudio Lombardi)

[Ora che si conoscono i risultati elettorali possiamo dire che la riflessione che segue è ancora più necessaria. Il nuovo protagonismo dei cittadini (attenzione: non solo elettori chiamati a delegare altri) è parte della rinascita e del rinnovamento della democrazia italiana che speriamo si sia messa in moto. Ben più che l’affermazione di uno o più partiti (comunque un punto di partenza necessario per il ricambio) è questa la posta in gioco per il futuro se vogliamo liberarci dei limiti e dei problemi di un passato che va molto oltre il periodo berlusconiano.]

La campagna elettorale è terminata e lo scrutinio dei voti è ancora in corso. È il momento per una riflessione libera dai giudizi, doverosi e inevitabili tra poche ore, sui risultati elettorali e concentrata solo sulle elezioni come strumento di rilevazione della volontà popolare.

Che sia stata una vera campagna elettorale per il rinnovo dei sindaci e delle amministrazioni locali non lo si può proprio dire. Tutti abbiamo assistito al consueto “spettacolo” di un confronto a tratti esasperato, sempre molto polemico e aggressivo, disorientante per chi volesse stare al tema, quello delle proposte di governo di città grandi e piccole raffrontate con ciò che è stato fatto concretamente negli anni precedenti da chi ha avuto in mano il governo degli enti locali.

Non ci meravigliamo di ciò perché si tratta di uno “spettacolo” al quale siamo ormai abituati. Quando urgono problemi concreti che sollecitano scelte innovative, originali e anche coraggiose basate sulla chiarezza di idee, sulla trasparenza e sulla lealtà nei confronti delle istituzioni e delle regole che le governano troppo spesso, tanti che detengono l’iniziativa politica (al Governo, in Parlamento, nelle Regioni, negli enti locali o nei partiti), rispondono con slogan e con manovre diversive che nascondono la realtà di ciò che veramente si fa e di ciò che si vuole.

L’elettore o, meglio, il cittadino non sa come stanno le cose ed assiste alla rappresentazione di qualcosa che lo porta fuori strada e lo trasforma in spettatore passivo che non può giudicare sia perché non gli vengono dati gli strumenti per farlo, sia perché non viene coinvolto nei processi decisionali e nell’attuazione delle decisioni.

In uno scritto recente Habermas osserva che “oggi la politica in generale sembra degenerare verso una condizione che è quella della rinuncia a guardare al futuro con una volontà costruttiva. La crescente complessità delle materie da regolamentare costringe i politici a reazioni di breve respiro” che li inducono al “copione opportunistico di un pragmatismo del potere, guidato dalle rilevazioni demoscopiche”. In questo modo “la politica condiziona tutto il suo agire all’imperativo di trovarsi in sintonia con gli umori del pubblico, rincorrendoli da un’elezione all’altra”. Così la democrazia perde di significato perché “il senso del voto democratico non è quello di fotografare la gamma delle opinioni quali si manifestano allo stato brado, bensì di riflettere il risultato di un processo pubblico di formazione dell’opinione”.

Ed ecco il centro del ragionamento di Habermas: “il voto espresso nella cabina elettorale acquista il peso istituzionale di una compartecipazione democratica solo in relazione ad opinioni articolate pubblicamente, formatesi attraverso la comunicazione e lo scambio di informazioni, motivazioni e posizioni pertinenti ai singoli temi”.

Esattamente ciò che avviene in misura così ridotta in Italia, attraverso l’opera di un gran numero di associazioni e comitati ed anche di qualche organizzazione di base di partito, da non essere nemmeno riconosciuto come partecipazione alla politica degna di essere portata come esempio dai mezzi di comunicazione di massa.

Sappiamo che la situazione nostra è ancora più grave poiché da molti anni le decisioni che contano vengono prese in sedi nelle quali agisce una ristretta oligarchia che pensa prima di tutto ai suoi interessi e che si guarda bene dal far trasparire la verità sulle motivazioni e sugli effetti delle sue decisioni. La cosa non riguarda solo la politica, ma anche chi, grazie alla politica, vede avallati e difesi i suoi comportamenti nel vasto mondo degli apparati istituzionali e amministrativi nonché nelle tante aziende dove la proprietà pubblica delle azioni dà un potere sufficiente per una diffusione di usi e costumi deleteri.

A fronte di questa realtà sta la rappresentazione di ciò che viene proposto al “grande pubblico”. L’esempio più eclatante è quello della giustizia presa “per i capelli” e portata in giro in base agli interessi del Presidente del Consiglio e delle imputazioni per le quali viene chiamato in giudizio. Il “grande pubblico” viene distratto con la sceneggiata dei “giudici comunisti” e gli si nasconde la verità che è fatta di una feroce lotta di potere per avere le mani libere sullo Stato e sulle risorse pubbliche con la licenza di violare le leggi e commettere reati.

Per tornare allo scritto di Habermas, vi si rileva l’assenza di motivazioni per cui “non si riesce più a riconoscere un obiettivo, a capire quale sia la posta in gioco al di là del prossimo successo elettorale. I cittadini si rendono conto che questa politica svuotata di contenuti normativi li sta defraudando”.

Sì bisogna riconoscere che è così. Per questo speriamo che il risultato delle elezioni inizi a modificare questa realtà e segni l’ingresso di un nuovo protagonista sulla scena politica: il cittadino padrone di casa della Repubblica. Attenzione, non è uno slogan: è una strategia, un programma che richiede molteplici azioni per realizzarsi e un mutamento di cultura civica.

Ce la possiamo fare con piccoli passi e momenti cruciali come sono queste elezioni e, tra un mese, i referendum.

Claudio Lombardi

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