Altro che plebisciti e capi, pensiamo al futuro
Andrea Riccardi e Francesco Giavazzi in due recenti articoli sul Corriere della Sera affrontano questioni cruciali sulle quali è bene soffermarsi: chi decide, come si decide e per quali fini lo si fa. Fanno il punto sul presente per parlare di futuro.
Riccardi si sofferma su due delle parole della politica che ricorrono più spesso: «popolo» e «poltrone». Il popolo sovrano da una parte e, dall’altra, l’accusa ai politici di essere accaparratori di poltrone. La versione che viene accreditata è quella che vorrebbe dare più potere al popolo e ridurre le poltrone. Non è un caso se oggi Salvini strepiti contro quelli che ambirebbero alle poltrone sostituendo la Lega al governo. Quella che è l’unica logica del sistema di governo vigente e cioè la formazione di accordi politici che diano luogo a maggioranze di governo viene fatta passare come una pratica deteriore.
La legge elettorale e l’assetto istituzionale attuali non prevedono plebisciti che investano un capo e non concedono pieni poteri a nessuno. Questa concezione non appartiene alla democrazia italiana. Bisognerebbe che ogni politico lo spiegasse ai cittadini invece di continuare ad avvalorare un modello alternativo fondato sul collegamento diretto tra popolo e leader che non ha alcuna legittimità costituzionale. Il tentativo di Salvini di andare a nuove elezioni dopo appena 18 mesi di legislatura risponde esattamente a questa logica extra costituzionale.
Anche il disprezzo per le «poltrone» fa parte di questo schema. Se l’investitura la riceve un capo ogni incarico trae da lui la sua legittimità. Chi ne è fuori può essere solo a caccia di una “poltrona”. Nel nostro sistema costituzionale esistono responsabilità ed incarichi che vengono assegnati secondo le procedure previste dalla Costituzione e dalle leggi e che sono essenziali per il funzionamento dello Stato. Il popolo, sovrano «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (articolo 1), ha bisogno di chi occupa le poltrone, anzi deve esigere da loro un servizio responsabile.
Sarebbe l’ora di rimettere le cose a posto tornando alla realtà dopo lo sbandamento di questi anni. E già questo sarebbe un contributo alla nostra identità nazionale.
È importante fare chiarezza e rimettere i piedi per terra perché stiamo vivendo tempi difficili. Tempi nei quali si mettono le basi per l’Italia che saremo nel futuro. Non quello lontano, ma quello più vicino. Osserva Giavazzi che quando si terranno le prossime elezioni 10 milioni di cittadini non potranno partecipare perché troppo giovani. Eppure sono proprio quelli che saranno toccati dalle scelte che si compiono adesso. In sostanza stiamo decidendo per loro. Quale sarà la nostra eredità dunque?
Giavazzi riporta alcune domande che gli ha rivolto una studentessa quindicenne: «Professore, perché dovremmo farci noi carico dei debiti accumulati dalla vostra generazione? Quelle spese vi hanno consentito di vivere al di sopra dei vostri mezzi, mentre noi non ne abbiamo tratto alcun beneficio. Né ci avete lasciato, ad esempio, edifici scolastici o impianti sportivi più moderni». Forse la studentessa sapeva già che la crescita economica dovrebbe essere superiore a quella del debito per non cadere nella trappola di un incremento inarrestabile. Oppure immaginava che buona parte della spesa sociale è destinata agli anziani e che questa tende ad allargarsi come è dimostrato dalla legge sulla cosiddetta Quota 100 che aumenta il nostro «debito pensionistico» (differenza fra le pensioni che lo Stato si è impegnato a pagare in futuro e i contributi che lo Stato incasserà da chi lavora). Oggi questo debito è circa il doppio di quello «pubblico» composto da Bot, Btp etc. e Quota 100 lo ha aumentato di quasi 100 miliardi. Questa è la realtà con la quale bisogna fare i conti e che non segue le logiche della propaganda. Serve ancora aggiungere che aumentare il debito per investire sul futuro è un conto e aumentarlo per comprare il consenso è un altro? No lo sappiamo tutti.
L’eredità si compone già di due debiti, ma ce n’è un altro che incombe: il deterioramento del clima e dell’ambiente che avrà sicuramente costi economici elevati e peggiorerà le condizioni di vita.
Vista dalla prospettiva dei giovani e alla luce dei debiti che erediteranno dalle generazioni precedenti la paura del futuro diventa qualcosa di concreto che impone scelte responsabili e coraggiose. I debiti cui si è accennato corrispondono ad altrettanti snodi cruciali che già oggi stanno facendo scivolare indietro il nostro Paese. Compito della politica è mettere questi snodi al centro della sua attenzione e le deviazioni verso modelli di democrazia plebiscitaria ed illiberale o il disprezzo per le competenze e per la complessità delle decisioni che governano la nostra società aumentano la velocità dello scivolamento.
Alla visione agitata ed estremizzata che si è diffusa in questi anni dovrà sostituirsene una concreta che assuma il futuro prossimo come suo traguardo. Far finta che non esistano i problemi ed inventare nemici contro i quali indirizzare la rabbia e il malcontento è solo deleterio e ci danneggia. Se l’Italia è l’ultima fra i paesi della zona euro è perché da troppo tempo c’è la consapevolezza dei nodi strutturali che occorre affrontare, ma vengono sempre rinviati perché comportano dei prezzi da pagare. Non si tratta di fare dei sacrifici, ma, anzi, di smettere di farli per coprire le lacune. Ora è il tempo non solo di cambiare governo, ma di mutare mentalità e atteggiamento. Prima si comincia a farlo meglio è
Claudio Lombardi
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