Aperture e contagio. Inizia una fase delicata

Sta per iniziare la fase più delicata da quando a ottobre si è deciso di porre fine alla lunga illusione estiva che il virus stesse diventando inoffensivo. Le scuole hanno già riaperto. Tra una settimana in quasi tutte le regioni riapriranno bar e ristoranti (all’inizio solo all’aperto), palestre, cinema, teatri, musei. C’è stato e c’è un intenso dibattito su questa svolta. Il più duro è stato il prof Galli che ha attaccato direttamente Draghi per aver detto che si tratta di un rischio calcolato: “calcolato male” ha replicato Galli. Purtroppo i dati sui morti, sui contagi e sui ricoveri in ospedale non sono drasticamente calati come si sperava. Eppure i bar, i ristoranti, le palestre e anche le scuole erano chiusi. Insistere per le chiusure senza domandarsi la ragione di un andamento così sfavorevole sarebbe insensato. Si teme che possa riprendere la diffusione del virus che, in realtà, è continuata sempre. Vogliamo chiederci perché?

La vera domanda cruciale è questa. In questi ultimi mesi si è molto insistito sulle immagini di strade affollate, di parchi, di lungomare e di altri spazi pubblici. C’è stata indignazione ogni volta che queste immagini comparivano sui siti dei giornali, in tv e sui social. Non si è riflettuto sul fatto che la stragrande maggioranza delle persone indossava la mascherina e non si è dato il giusto rilievo alle evidenze scientifiche che fin dall’anno scorso attestavano l’estrema difficoltà di trasmissione del covid all’aperto. Ci si è concentrati sulla famigliola o sul gruppo di amici a spasso e ci si è dimenticati che quelle stesse persone al chiuso, nelle loro case potevano fare danni infinitamente maggiori. Nel diluvio di polemiche, di dibattiti, di interventi di medici e ricercatori di tutti i tipi non si è stati capaci di fare chiarezza su una elementare verità: il virus si trasmette da persona a persona innanzitutto al chiuso. E quale luogo chiuso meno sorvegliato di una casa?

Durante le feste (Natale, Capodanno, Epifania, Pasqua) era evidente a tutti che le riunioni familiari tra parenti e amici sono state l’unico momento di socializzazione a disposizione. Bastava andare nei supermercati a ridosso dei giorni di festa per constatare che i carrelli erano pieni di rifornimenti per pranzi numerosi e non per i quattro o sei menzionati in regole che quasi nessuno ha rispettato. E non si è trattato solo di alcuni giorni di festa, ma di tante altre occasioni di incontro nelle case che hanno inevitabilmente costituito occasioni privilegiate di trasmissione del virus. Lo schema è quello ormai consolidato: i giovani che si incontrano comunque e i colleghi di lavoro che non adottano precauzioni portano il virus nelle famiglie dove fa ammalare i più vulnerabili.

Si può dire: ma la gente non poteva agire con più responsabilità? La responsabilità individuale è importante, ma bisogna pure suscitarla e guidarla. Entra in campo qui l’informazione. Nell’ultimo anno siamo stati investiti da una valanga di informazioni che hanno riempito i programmi tv, i tg, i siti dei giornali e i social. Nei talk show televisivi c’è stata una sfilata continua di virologi, immunologi, pneumologi, epidemiologi che in innumerevoli interventi, tutti di poche decine di secondi, hanno fornito le loro spiegazioni di ciò che stava accadendo. Plotoni di giornalisti hanno creato negli studi tv il  clima adatto ad attirare i telespettatori e quindi toni accesi o allarmistici, ricerca della polemica e del contraddittorio, ritmo incalzante. L’effetto è stato quello di generare più confusione che conoscenza. Sapendo che la televisione è il primo canale di informazione e di formazione dell’opinione si può dire che la ricerca della visibilità sia delle reti tv che dei giornalisti ha nettamente prevalso su quella di dare un’informazione corretta e di orientare le persone. Nella prima fase della pandemia venivano trasmessi spot televisivi che davano indicazioni sui comportamenti da tenere. Poi non è più stato fatto.

Non è certo questa l’unica spiegazione di comportamenti delle persone che hanno sottovalutato il rischio del contagio. Hanno pesato anche le decisioni sui vaccini delle autorità di controllo e dei governi. Restano tuttora inspiegabili le sospensioni di AstraZeneca in Europa e di Johnson negli Usa. Un gran clamore per reazioni avverse rarissime che potevano essere esaminate senza coinvolgere l’opinione pubblica che nulla poteva fare se non rinunciare al vaccino.

Un effetto negativo lo hanno avuto anche gli interventi più volte evocati e mai realizzati nelle scuole e nei trasporti pubblici. I cittadini che hanno constatato come non seguissero i fatti alle analisi e alle enunciazioni potevano anche pensare che la situazione non fosse poi così drammatica. Sta di fatto che a distanza di oltre un anno e dopo lunghissimi periodi di chiusura la scuola riapre così come aveva chiuso con l’unica aggiunta delle mascherine. Niente distanziamento e niente sistemi di ricambio dell’aria nelle aule. Anche i trasporti pubblici sono più o meno gli stessi.

In conclusione ci sono molti motivi per pensare che questa fase delicata non sarà affrontata con la consapevolezza della scommessa che si sta facendo. Speriamo solo che la bella stagione e i vaccini facciano la loro parte

Claudio Lombardi

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