Atene e Roma, democrazie al tramonto (di Salvatore Aprea)
Il “paradigma” nel linguaggio comune è un modello di riferimento, un termine di paragone. La parola deriva dal greco antico paràdeigma, che significa esempio. Proprio la Grecia, con la sua storia recente, sta offrendo un eccellente paradigma sul modo di distruggere progressivamente una democrazia o far sì che non nasca mai, descritto con cura dallo scrittore greco Petros Markaris. Perché ci interessa il modello ellenico? Perché molte degenerazioni somigliano alle nostre e osservare da lontano chi ci somiglia può aiutarci a capire chi siamo diventati. D’altronde, tanto per abusare dei luoghi comuni, “italiani e greci, una faccia e una razza”……
Il paradigma greco
Da decenni il parlamento greco è avvolto da un apparato parallelo di potere composto da due fazioni che Markaris definisce il “partito del Moloch” e il “partito dei profittatori”. A quest’ultimo appartengono tutte le aziende che negli ultimi trent’anni hanno beneficiato del sistema clientelare, a incominciare dalle imprese edilizie che si sono arricchite grazie alle Olimpiadi del 2004, aggiudicandosi commesse pubbliche a cifre stellari. Tra i profittatori vi sono anche gli evasori fiscali – soprattutto professionisti con redditi alti, verso i quali le autorità hanno sempre mostrato grande tolleranza – e le aziende che riforniscono gli enti pubblici, come le ditte che vendono farmaci e apparecchiature mediche agli ospedali. Recentemente il ministero della salute di Atene ha costituito un ufficio per l’acquisto di medicinali con aste via internet, mettendo a disposizione per i primi acquisti 9.937.480 euro, pari alla spesa storica del settore. Comprando i farmaci online il ministero ha speso solo 616.505 euro, il 6,2 per cento della somma assegnata, così i greci hanno scoperto quanti soldi ingoiava il vecchio sistema. Il denaro pubblico sperperato finora, ovviamente, non è finito tutto nelle tasche del partito dei profittatori perché i partiti hanno intascato colossali contributi e anche perché le imprese corrotte hanno finanziato le campagne elettorali dei deputati e assicurato ai loro familiari posti di lavoro ben retribuiti. Lo stretto legame dei profittatori con il partito al governo e i suoi ministri – e il suo costo per la collettività – è sempre stato di dominio pubblico negli apparati dello stato, ma coperto da una coltre di silenzio.
L’occupazione dello stato
Il partito del Moloch – nome usato non a caso per designare un’organizzazione che assorbe grandi risorse come se fossero sacrifici ad una divinità – arruola i suoi militanti nell’apparato dello stato e nelle imprese pubbliche ed è diviso in due correnti: i sindacalisti da un lato e gli impiegati e i funzionari pubblici dall’altro. È questa la fazione esterna al parlamento su cui fa affidamento il partito di governo del momento ed è il garante del sistema clientelare, essendo formato per lo più da quadri e funzionari di partito. I dipendenti pubblici del partito del Moloch, ovviamente, non sono tutti uguali. Una parte dei suoi militanti sono, per esempio, funzionari che si sono guadagnati il posto di lavoro con un concorso e non tramite protezioni politiche. Sono gli unici dipendenti pubblici che lavorano, svolgendo anche il lavoro degli altri e quindi diventando loro stessi vittime del sistema. Gli altri, invece, hanno stretto un’alleanza non solo con i partiti al governo, ma anche con il partito dei profittatori.
L’origine di questa fazione risale agli anni cinquanta, dopo la guerra civile, quando i nazionalisti si impadronirono dell’intero apparato statale, collocando ovunque uomini di loro fiducia come premio per la lealtà agli ideali nazionalistici e monarchici. Nel 1981, dopo l’ingresso della Grecia nella CEE, per la prima volta andò al governo il partito socialista, il Pasok, e trasformò il metodo dei nazionalisti in una tradizione politica. Inizialmente la prassi fu giustificata con motivi condivisibili dagli elettori. Per il Pasok, dopo la lunga egemonia delle forze di destra, l’apparato statale era divenuto pregiudizialmente ostile alla sinistra. I socialisti per poter governare, quindi, dovevano mettere uomini di fiducia nei posti chiave dell’amministrazione. Ben presto tutto l’apparato statale fu occupato dagli uomini del Pasok. Quasi la metà degli iscritti al partito fu premiata con un posto nella pubblica amministrazione. Da allora e fino all’ultima crisi tutti i governi greci hanno applicato questo meccanismo. Per trent’anni, grazie ai sussidi europei i soldi non sono stati una preoccupazione e quando non sono più bastati, sono stati presi in prestito.
Il Pasok è anche responsabile della nascita della seconda componente del partito del Moloch, quella dei sindacalisti. Andreas Papandreou, fondatore del Pasok e primo presidente del consiglio socialista, dal 1981 al 1989 governò il paese come un monarca e mantenne il potere affidandosi a un’aristocrazia. Nacque così una specie di nobiltà di corte, composta da ministri e dirigenti di partito. Al suo fianco c’era un’aristocrazia cittadina, formata da funzionari del sindacato e del partito collocati nell’apparato dello stato e nelle sue aziende, affiancata a sua volta da un’aristocrazia nazionale, costituita da funzionari che elargivano agli agricoltori i sussidi stanziati dall’Unione europea. Le istituzioni democratiche, in queste condizioni, in qualche modo funzionavano lo stesso, anche se chi godeva della benevolenza del re poteva ricevere poteri illimitati, mentre il notabile che cadeva disgrazia perdeva il posto con una sola parola del sovrano.
L’accordo con il partito al governo ha enormemente accresciuto il potere e i privilegi dei sindacati della funzione pubblica. I sindacati greci non hanno potere sui lavoratori del settore privato, ma hanno un potere pressoché illimitato nel settore pubblico, che permette loro di proclamare uno sciopero in qualsiasi momento, mobilitando una decina di migliaia di dipendenti pubblici. Le aziende non osano opporsi ai sindacati, temendo la collera dei partiti al governo.
Oggi la Storia sta presentando il conto ad Atene.
Tramonti romani
Il quadro del proprio paese dipinto da Markaris è impietoso. Raffigura il simulacro di una democrazia che dovrebbe farci riflettere. Somiglia, infatti, a ciò che noi siamo diventati negli ultimi 30 anni. In fondo il sistema greco di collocare uomini di fiducia del governo in carica nei posti chiave in cosa differisce, se non nel nome, rispetto allo spoil system nostrano? Non basta disporre del diritto di voto per ritenere di vivere in un paese realmente democratico. D’altronde anche nella Russia di Putin viene esercitato il diritto al voto, ma chi definirebbe quella russa una democrazia? Anche durante il ventennio mussoliniano i cittadini furono chiamati alle urne, nel 1929 e nel 1934, ma quei plebisciti di tipo bulgaro non hanno nulla da spartire con la democrazia. I partiti attuali, governati da un leader e dai propri colonnelli, hanno ben poco di democratico al loro interno: se i principi della democrazia non fanno parte del loro dna, come è possibile ritenere che i partiti siano in grado di applicarli al loro esterno?
L’agonia della prima repubblica dura ormai da vent’anni, un tempo in cui in troppi abbiamo accettato di essere progressivamente retrocessi da cittadini al rango di consumatori, ripiegandoci sempre più nella sfera privata. Riacquistare la nostra capacità critica verso ciò che accade intorno a noi è il primo passo per tornare ad essere cittadini. Non possiamo più accettare di ascoltare dichiarazioni inutili di sedicenti leader politici che hanno ampiamente dimostrato di non avere nulla da dire e dare ascolto a dei mezzi di comunicazione che troppo spesso si riducono a fare da megafono. Cominciamo a cercare le informazioni da tutte le fonti che possono consentirci di riflettere sul nostro passato e sul futuro che ci attende. Scrive Markaris, rivolto ai propri connazionali: “…saremo vittime della crisi: nel migliore dei casi per due generazioni e nel peggiore per tre. I veri perdenti di oggi sono i giovani. Ma domani sarà tutto il paese a crollare, perché nel giro di pochi anni mancheranno forze nuove”. Tutto ciò vale anche per il nostro paese: lasciare che tutto scorra non si può più.
Salvatore Aprea da www.lib21.org
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