Autostrade: il gioco delle parti e i pasticci dei politici (di Claudio Lombardi)

Piccola riflessione sull’aumento del canone dovuto all’ANAS dai concessionari autostradali e sull’introduzione del pedaggio per le autostrade gestite dall’ANAS entrambi disposti dalla manovra del Governo. Il fine è, evidentemente, incrementare le entrate per l’ANAS senza alcun aggravio per il bilancio dello Stato. La modalità di realizzazione è l’aumento dei pedaggi autostradali e l’introduzione dei pedaggi dove, finora, non c’erano (Grande Raccordo Anulare di Roma, per esempio) entrambi pagati, ovviamente, da chi utilizza queste strade. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano se non per il fatto che si impone agli utenti di pagare qualcosa in più per un servizio del quale, molto spesso, non si può fare a meno.

Si può, quindi, inserire la misura disposta dalla manovra del Governo sotto la voce “aumenti di tariffe”. Non si tratta di un prelievo fiscale in senso stretto, ma un po’ ci si avvicina dato che gli spostamenti con mezzi privati totalizzano una percentuale nettamente maggioritaria rispetto a quelli con mezzi pubblici. In una città come Roma, ad esempio, far pagare la percorrenza sul GRA e sull’Autostrada per l’aeroporto di Fiumicino significa colpire una bella fetta di utenti “pendolari” che vengono a Roma per lavorare o che dalla città si spostano per lo stesso motivo. Considerando che lo stato del trasporto pubblico, ferroviario e su gomma, non è, spesso, una valida alternativa e che i tagli che colpiscono enti locali e regioni incideranno molto su questo settore non sembra strano che l’aumento dei pedaggi sia percepito come una nuova tassa.

C’è, però, un aspetto particolare da non trascurare e riguarda i pedaggi autostradali.

Nel presentare l’ultima relazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Presidente Catricalà, denunciava che “in campo autostradale concessioni a scadenza lontana, associate alla debolezza strutturale della vigilanza, pregiudicano l’affermazione della concorrenza.”

Traducendo dal linguaggio misurato del Presidente dell’antitrust ciò significa che gli utenti pagano più di quanto dovrebbero grazie ad un sistema di regolazione debole.

Nel caso delle autostrade e della Società Autostrade per l’Italia, in particolare, bisogna ricordare che la legge 101 del 2008 ha approvato le convenzioni relative alle concessioni autostradali e lo ha fatto interrompendo una procedura preparatoria complessa, ma necessaria per definire schemi di riferimento e linee guida appropriate. Nel caso di Autostrade per l’Italia, il maggiore concessionario esistente, la convenzione approvata con legge stabiliva una durata di circa 35 anni con regole predefinite per stabilire le tariffe per l’intero periodo. Ecco a cosa si riferiva Catricalà nel suo discorso.

Dovrebbe essere evidente che una regolazione che dura per più di 30 anni e stabilisce incrementi tariffari costanti e non prevede un frazionamento temporale per verificare e modificare i patti tra società concessionaria e Stato non va bene e non fa certo l’interesse degli utenti che, in questo caso, non hanno alcuna possibilità di far pesare il loro parere. Veramente non ce l’avrebbero nemmeno se la regolazione tariffaria e della qualità del servizio durasse 5 anni, ma le cose potrebbero cambiare e la loro valutazione potrebbe essere inserita fra i requisiti per procedere alla regolazione.
Con quasi 35 anni di durata, come è stabilito dalla legge 101/2008, questa possibilità non esiste.

Ecco perché “l’affare” autostrade è un gigantesco meccanismo per far guadagnare ad Autostrade per l’Italia S.p.A. tanti soldi senza verifiche, controlli e ridiscussioni varie. E questo grazie ad una legge che ha bloccato gli organismi tecnici che non avranno più voce in capitolo fino al 2038.

Tra l’altro esistono valutazioni da parte di chi si occupa di regolazione e di autostrade in particolare che dicono che le tariffe pagate oggi ancora incorporano i costi dell’investimento iniziale di quando le autostrade furono costruite e questo perché, semplicemente, da allora non sono mai diminuite. In pratica è come se gli utenti pagassero un mutuo che non finisce mai.

Qualcuno potrebbe dire che le autostrade sono state vendute dallo Stato e pagate dagli acquirenti che adesso riscuotono le tariffe e pagano i canoni di concessione. Certo, ma ci sono tecnici che si sono presi la briga di studiare i numeri e hanno concluso che le società che gestiscono le autostrade, pur avendole pagate e dovendole gestire, ci guadagnano lo stesso un mucchio di soldi e questo grazie al “mutuo che non finisce mai”.

Ecco perché pesa una convenzione approvata con legge che dura più di 30 anni.

Ed ecco perché anche il piccolo aumento deciso con la manovra del Governo da’ fastidio.

Per finire bisogna pensare che vendere, di fatto, la rete autostradale non era l’unica soluzione possibile per chi aveva deciso la privatizzazione. Ce n’era un’altra: il mantenimento della proprietà della rete e l’affidamento in concessione con gare pubbliche e per singole tratte alle migliori aziende di gestione. Ci avrebbero guadagnato lo stesso, ma almeno il controllo sarebbe rimasto nelle mani pubbliche e la concorrenza tra gestori ci sarebbe stata.

Alla fine i politici (di entrambi gli schieramenti oggi in Parlamento) hanno deciso, ma chi ci ha guadagnato? E quali problemi sono stati risolti?

Claudio Lombardi

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