Ballottaggi: vincerà il migliore?
Domenica si voterà per i sindaci e per i consiglieri comunali che andranno ad amministrare alcune fra le città più importanti d’Italia: Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna innanzitutto. L’ideale sarebbe fare un augurio ormai fuori moda: che vinca il migliore. Non è forse sempre auspicabile che i rappresentanti dei cittadini, quelli che avranno il compito di gestire le istituzioni (locali, regionali e nazionali) che prendono le decisioni di comune interesse e che le devono attuare (assemblee elettive, amministrazioni, governo) siano selezionati fra i migliori? Lo sarebbe, ma, purtroppo, non è così.
Di questi tempi la faziosità, la litigiosità e un’applicazione esasperata di una vecchia e malintesa massima machiavellica( “il potere giustifica i mezzi”) hanno reso difficile la vita a chi volesse ragionare tenendo conto solo di un pò di obiettività e dell’interesse generale.
D’altra parte il mondo è così pervaso di violenza che ad essere moderati nei ragionamenti e nella loro comunicazione pubblica si rischia di fare la figura dei perdenti. E così ogni competizione politica rischia di sfociare nello sfogo di rabbie di varia natura. Sia chiaro: la rabbia è un sentimento spesso giustificato dagli innumerevoli casi di cronaca nei quali si è manifestato un sistema di potere che ha origini lontane nel tempo e che corrisponde ad una cultura civica e nazionale che non si sono mai veramente consolidate. La frammentazione degli interessi da noi si è messa al posto di comando ed è diventata la vera norma-madre non scritta alla quale tutti noi ci siamo, con infinite sfumature, volenti o nolenti, uniformati.
Il problema è che questa rabbia nasce non solo per il ripetersi di abusi dei potenti, ma anche, e, forse, soprattutto, per la crisi economico-finanziaria che ha tolto risorse da redistribuire e per l’instabilità politica che ha ridotto le capacità decisionali della classe dirigente. L’appartenenza ad una unione economica e monetaria ha fatto il resto togliendo sovranità in cambio di stabilità finanziaria priva però della condivisione del potere politico.
Insomma ce n’è abbastanza da provocare una crisi di nervi fra i cittadini che si sentono minacciati da più parti e che pagano i prezzi maggiori di questa situazione. Di qui la profonda sfiducia contro chiunque rappresenti il potere. “Sono tutti uguali”, “tutti rubano”, “bisognerebbe metterli tutti in galera”, “cacciamoli via tutti”. Chi dice “tutti” senza ulteriori specificazioni ha già rinunciato a ragionare e vuole solo sfogarsi manifestando la sua paura per aver perso le vecchie certezze senza capire cosa gli si offra in cambio.
Di tutto questo bisogna tener conto anche ragionando di governo delle città. Sarebbe bello poter dire che c’è stata una campagna elettorale tutta dedicata ai temi locali che non sono affatto ristretti, ma, specie nel caso delle grandi città, hanno un respiro nazionale se non europeo e mondiale. Si pensi al caso di Roma il cui solo nome evoca una storia e una ricchezza di cultura che non eguali al mondo. Possiamo pensare che occuparsi di questa città voglia dire confinarsi nei temi esclusivamente locali? Ovviamente no.
Eppure molto più presente nella campagna elettorale è stato il tema del destino del governo e di Renzi in particolare. Praticamente nessuno, anche trattando di temi locali, ha trascurato di aggiungere gli effetti attesi o auspicati a livello nazionale. Dare addosso a Renzi è diventata una specie di fissazione che ha unificato in una sola battaglia una specie di “santa alleanza” che ha unito la destra estrema alla sinistra estrema passando per le molte variazioni dell’opposizione all’attuale maggioranza.
Nulla di male, le opposizioni fanno il loro mestiere, ma, anche se ottenessero il risultato massimo da tutte auspicato – cacciare Renzi e il governo – cosa proporrebbero di fare? Nulla di concreto perché ogni gruppo in campo ha la sua linea e nessuna maggioranza alternativa si intravede all’orizzonte. Un groviglio di NO, di rabbia, di sfiducia, di insoddisfazione. Questo sarebbe il risultato della vittoria delle opposizioni. E l’Italia andrebbe a picco.
Non è questa la strada che può portare qualcosa di positivo, anzi, è oggi il rischio maggiore cui andiamo incontro: tanti gruppi che uniscono le forze, abbattono il governo magari usando la leva del referendum costituzionale e partendo da una sconfitta del centro sinistra a queste amministrative e poi si mettono a litigare tra di loro per dividersi il potere.
Dunque è molto difficile dire “vinca il migliore”. Ma bisogna dirlo lo stesso. La situazione è piuttosto chiara in verità. Fra i vari ballottaggi a Roma la situazione più emblematica. Una giovane consigliera comunale, Virginia Raggi, con un’esperienza di tre anni in Consiglio si propone di diventare sindaco. È evidente che è legittima la sua aspirazione, ma nel voto dei suoi elettori non può esservi la consapevolezza che lei è la migliore in campo. Prevalgono, invece, la rabbia e il desiderio di colpire il Pd e indirettamente Renzi. Dunque è abbastanza chiaro che il migliore è Roberto Giachetti che ha esperienza anche se è indebolito dalla pessima reputazione del Pd romano della quale lui, però, non ha alcuna responsabilità.
In generale votare per punire più che per costruire può servire a dare un segnale, ma poi bisogna pur domandarsi che succede dopo aver rotto un equilibrio. Purtroppo l’esperienza dice che il cittadino arrabbiato spesso non arriva a porsi questo interrogativo e non sa quale nuovo equilibrio possa formarsi. Potrebbe scoprire, a sue spese, che rompere è più facile che costruire
Claudio Lombardi
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