Il bersaglio grosso del caso Boschi
Bisogna riconoscere che ci sanno fare. La campagna mediatica scatenata contro Maria Elena Boschi ormai si è trasformata nel “caso Boschi”. Le elezioni sono vicine e l’occasione per mettere in crisi il gruppo dirigente del Pd fa gola a molti. È stata un’ingenuità mettere in funzione a fine legislatura una commissione di inchiesta sulle crisi bancarie pensando che avrebbe fatto chiarezza sulle cause e sulle responsabilità della sottrazione ai risparmiatori di decine di miliardi di euro. È bastato un appiglio ed è stata costruita una montatura mediatica sul nulla. Di fatto il dramma di migliaia di persone che sono state truffate e lo scandalo di un sistema di potere che lo ha permesso sono stati usati per scatenare una campagna contro il Pd e il suo gruppo dirigente.
Qualunque osservatore intellettualmente onesto non può che convenire che i colloqui di Maria Elena Boschi non c’entrano niente con le crisi bancarie arrivate dopo molti anni di mala gestione e di connivenze che l’hanno permessa e coperta e dopo che è stata approvata in sede europea e recepita nell’ordinamento italiano una normativa che fa pagare i fallimenti bancari anche a correntisti (sopra i 100mila euro), azionisti ed obbligazionisti. La commissione parlamentare doveva servire a fare luce sulle inadeguatezze dei controlli e sulle carenze normative che hanno permesso la degenerazione delle banche locali. Probabilmente il materiale raccolto in oltre 40 sedute sarà utile nei prossimi anni per chi avrà la volontà politica di porre mano a qualche cambiamento. Ciò che conta è che adesso la commissione è servita a sostenere la montatura mediatica che ha prodotto il caso Boschi. Direttori di giornale, redazioni, reti tv, singoli giornalisti si sono gettati di slancio in un’opera di depistaggio e di disinformazione che ha usato le crisi bancarie per indirizzare la rabbia e l’indignazione contro il Pd.
A vantaggio di chi? Mettiamo insieme due notizie. La prima è che Luigi di Maio dichiara che se il M5S fosse il partito più votato potrebbe discutere di programmi con la sinistra e persino con un Pd depurato da Renzi e dai suoi più stretti collaboratori. La seconda è che il direttore di Repubblica scrive un articolo di fondo per chiedere che la Boschi si faccia da parte e non si ricandidi, cioè che si concluda la sua carriera politica nel Pd. Che significa?
Semplice: che molti soggetti collocati nei piani alti della società a tutti i livelli stanno puntando sulla fine politica di Renzi e sulla caduta del Pd. La campagna contro la Boschi è stata preceduta da anni nei quali il Pd è stato additato come il principale responsabile di tutte le storture e le degenerazioni del sistema politico. Gradualmente, ma costantemente le destre si sono rifatte una verginità tanto che oggi si commenta con ammirazione la longevità politica di Berlusconi e Salvini ha fatto dimenticare i lunghi anni di governo della Lega. C’è quindi una convergenza oggettiva tra diversi soggetti, politici e attivi nel campo dell’informazione o nell’alta burocrazia, nell’attacco al gruppo dirigente del Pd. Depotenziare il Pd è conveniente per le altre formazioni politiche, di destra, di sinistra e indefinite come il M5S. In gioco non ci sono solo i voti che potrebbero abbandonare il partito di Renzi, ma anche quelli degli sfiduciati e dei delusi. Se riesce la campagna che bolla il Pd come principale responsabile dei mali d’Italia la scommessa è che gli elettori tornino a votare per quelli che lo attaccano.
D’altra parte la politica è spietata con chi perde e Renzi oggi appare (e viene fatto apparire) un perdente. Bisogna riflettere sul fatto che il suo disegno strategico è stato stroncato dal referendum costituzionale. Le riforme sociali e gli interventi nell’economia, pur essendo costate molto alle finanze pubbliche, non hanno ampliato il consenso per l’opera del governo e non hanno disinnescato la minaccia del rancore (ne ha parlato il Censis nel suo ultimo rapporto). Inoltre Renzi non è riuscito a tenere unito il suo partito che si è molto indebolito e che difficilmente sarà quello più votato nelle prossime elezioni.
È invece probabile che il più votato risulterà il M5S che rappresenta la principale valvola di sfogo politico degli elettori arrabbiati, sfiduciati o delusi dagli altri partiti.
Con questi elementi si può intravedere un cambio di disegno strategico da parte di alcuni che pure avevano sostenuto l’ascesa di Renzi. Crisi del gruppo dirigente e indebolimento del Pd, ascesa del M5S che ne faccia il perno di una nuova maggioranza con Liberi e uguali e pezzi del Pd come sostenitori/subordinati. Il disegno sarebbe quello di assorbire le spinte antisistema portandole al governo e tentare così di arrivare ad una stabilizzazione del sistema politico italiano nel quadro di una sostanziale conservazione degli equilibri esistenti e di un recupero del consenso sociale. Le prove di governo a Roma e a Torino hanno mostrato sì l’incapacità, ma anche l’inoffensività del M5S e la sensibilità all’influenza di soggetti che conoscono e manovrano i meccanismi del potere.
La scommessa è rischiosa perché un M5S alla guida del governo dovrebbe fare qualcosa di più che dichiarare il cambiamento, ma non praticarlo come ha fatto a Roma e a Torino. Debito pubblico, vincoli europei, moneta comune, struttura dell’economia italiana, arretratezza del sud sono bocconi duri da digerire per chi si è affacciato da poco alla politica sull’onda della protesta.
I giochi ancora non sono fatti, ma è chiaro che il bersaglio grosso del caso Boschi è abbattere Renzi per aprire la strada a un nuovo soggetto politico forte che proclami di cambiare tutto. Il resto si vedrà
Claudio Lombardi
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