Che fine far fare alle mascherine?

Come al solito la gente si preoccupa per quello che vede e non si preoccupa per quello che non vede e che invece meriterebbe molta più attenzione proprio perché è invisibile.

E cosa sta vedendo in questi giorni? Mascherine, guanti, camici e tute, tutto materiale “disposable” cioè usa e getta.

Giustamente ci si domanda: questo materiale inquina? Invece di gettarlo dove capita o nella spazzatura indifferenziata non si potrebbe riciclare?

No e no.

Ovvero non inquina; no non si può riciclare.

Se parliamo di inquinamento cominciamo col dire da quali materiali sono composte queste protezioni sanitarie.

Mascherine

Possono essere fatte da molti materiali differenti, tra l’altro l’enorme richiesta di questi giorni ha fatto sì che giungessero in Italia mascherine prodotte in quasi ogni parte del mondo, quindi da produttori diversi che utilizzano materiali differenti, seguendo normative diverse.

Fondamentalmente le mascherine sono fatte da tessuti di cotone, cellulosa, tessuto non tessuto, gomma (elastici). Il tessuto non tessuto è il materiale prevalente e anche questo può essere composto da differenti polimeri: poliesteri, polipropilene, poliacrilati, nylon.

Guanti

Qui la situazione è più semplice perché sono fondamentalmente di tre tipi: quelli bianchi in lattice, quelli blu in gomma nitrilica e quelli trasparenti in polietilene.

Camici e tute

I camici “usa e getta ” sono prevalentemente di tessuto non tessuto, lo stesso delle mascherine, mentre le tute bianche sono di polipropilene al 100%, esclusa la cerniera e gli elastici.

Se la domanda è: questi materiali inquinano? La risposta è no, o meglio, se abbandonati nell’ambiente, a parte il cotone e la cellulosa che si decompongono totalmente in una decina di anni, tutti gli altri sono polimeri molto resistenti che non si degraderanno per centinaia di anni rimanendo inalterati senza rilasciare particolari sostanze nocive nell’ambiente. Ovviamente sporcano, sono brutti da vedere, ma non inquinano per come si intende la definizione standard di inquinamento cioè non si fondono con altri elementi naturali (terra, aria, acqua) alterandone le caratteristiche. Per i guanti blu e trasparenti vale lo stesso discorso dei tessuti; quelli in lattice, invece, essendo il lattice una gomma naturale, tenderanno a decomporsi nel tempo, ma con tempi più lunghi della cellulosa.

Il problema per questi materiali è sempre e solo uno: l’inciviltà delle persone. Questi materiali diventano un problema quando la gente li abbandona in giro, nelle strade, sui prati, nei campi, nei boschi. Se raccolti correttamente e trattati come rifiuti urbani indifferenziati non danno alcun problema.

E veniamo all’ultimo aspetto: la possibilità di riciclare. Il riciclo è una parola rassicurante. Se sappiamo che un materiale si può riciclare ci sentiamo più in pace con la nostra coscienza perché opponiamo riciclo ad inquinamento. O l’uno, o l’altro. Altri utilizzi dei materiali di scarto non vengono considerati. Riciclare, però, ha un senso quando sono soddisfatte contemporaneamente due caratteristiche: la facilità di separazione dei singoli materiali  e l’economicità del processo. Un paio di parole su quest’ultimo punto. Qualcuno potrebbe pensare che, per il bene del pianeta, non si dovrebbe proprio prendere in considerazione il parametro dei costi. In realtà, quando si parla di economicità di processo sono coinvolti tre aspetti: i costi per i dipendenti, i costi per i macchinari necessari e i costi energetici. I macchinari, una volta ammortizzati, incidono poco, e con quelli giusti, di dipendenti non ne servono molti di più. I costi energetici, invece, sono i più rilevanti: serve energia elettrica per i forni, per gli estrusori, per i separatori meccanici, per tutti i macchinari coinvolti ed energia vuol dire attualmente produzione di CO2, visto che è ancora prevalentemente prodotta con energie fossili, quindi per poter riciclare di più spesso si va ad inquinare di più. E dunque il gioco non vale la candela.

Per quanto riguarda la facilità di separazione valgono anche qui le stesse considerazioni che si fanno per i rifiuti urbani indifferenziati. Se i prodotti non sono progettati e costruiti per essere riciclati, e  quindi costruiti con un solo materiale, il riciclo diventa impossibile. Tra i materiali di cui abbiamo parlato prima, il riciclo potrebbe funzionare solo per i guanti nitrilici blu, ben distinguibili dal resto e per le tute bianche in polipropilene, materiali questi che sono utilizzati solo in postazioni sanitarie e quindi facilmente selezionabili. Per tutto il resto, vista la mescolanza di materiali non è possibile eseguire una separazione e, in ogni caso, il materiale che si otterrebbe, sarebbe di qualità infima, inutilizzabile per produrre qualsiasi cosa.

L’unica soluzione rimane, quindi, lo smaltimento in termovalorizzatore e il recupero energetico. Si sa che per molti il termovalorizzatore è un tabù. Eppure è un macchinario che ha raggiunto livelli di neutralità per l’ambiente altissimi e produce energia. Proprio quella che ci serve e che produciamo in modi diversi. Si tratta di accettare che uno di questi modi è trarre dai rifiuti non riciclabili la porzione di energia che possono fornire. Se lo si fa la risposta alla fine che devono fare mascherine, guanti e camici diventa molto semplice e razionale nonché ovvia

Pietro Zonca

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