Chiude «Italia Sicura». Un articolo di Gian Antonio Stella del 2018
Un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 18 luglio 2018. I risultati di quella scelta si vedono adesso in Emilia Romagna. I colpevoli imprecano contro il cambiamento climatico per mascherare il loro fallimento. Una ulteriore responsabilità ce l’hanno quei gruppi pseudo ecologisti che si oppongono a tutto paralizzando le opere pubbliche. Il disastro di oggi ha diversi responsabili in carne e ossa non certo il clima. (C. L.)
Ammesso che Matteo Renzi fosse l’«acqua sporca», vale la pena di buttar via anche il «bambino», cioè quel pezzo di Palazzo Chigi che cercava di affrontare finalmente i disastri «prima» e non solo «dopo»? Eppure questa pare la scelta del governo giallo-verde. Deciso a cestinare ciò che gli ultimi due esecutivi avevano messo in piedi per puntare, come capita nei Paesi seri, sulla prevenzione. Certo, la parola c’è anche nel contratto di governo Di Maio-Salvini: «Per contrastare il rischio idrogeologico sono necessarie azioni di prevenzione che comportino interventi diffusi di manutenzione ordinaria e straordinaria del suolo su aree ad alto rischio, oltre a una necessaria attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico». Tutto un po’ generico. Ma segno di buona volontà. Anche l’«edilizia scolastica», en passant tra le «classi pollaio» e le graduatorie, è fuggevolmente citata. Auguri. Il rischio di ricominciare tutto da capo, però, esiste.
I NUMERI
Quanto sia esposto il nostro Paese lo dicono i numeri. Sul fronte sismico abbiamo avuto negli ultimi sette secoli (dal 1315) ben 149 scosse superiori ai 5,5 gradi della scala Richter: una ogni cinque anni. Coi risultati denunciati dopo il sisma dell’Aquila (quelli in Emilia, nel Lazio, nelle Marche e in Abruzzo si sarebbero aggiunti poi) da un rapporto della Protezione Civile. La quale calcolava i danni causati da eventi sismici in Italia «pari a circa 147 miliardi e, di conseguenza, un valore medio annuo pari a 3.672 milioni di euro/anno». Quanto al rischio idrogeologico, spiega un dossier Ispra, «l’inventario ha censito ad oggi 614.799 fenomeni franosi», i due terzi di tutta l’Ue, «che interessano un’area di circa 23.000 km², pari al 7,5% del territorio nazionale». La stessa Ispra calcola «12.218 km quadrati (4% della penisola) a pericolosità idraulica elevata, 24.411 (8,1%) a pericolosità media e 32.150 (10,6%) a pericolosità appena più bassa». Ci vivono circa 8 milioni di italiani.
LA PREVENZIONE
Questo è il quadro. Allarmante, sia per l’accumulo di vittime (migliaia e migliaia solo negli ultimi decenni) sia per quell’ammassarsi di spese per decine e decine di miliardi. Tanto da spingere i precedenti governi ad accelerare finalmente sulla strada della prevenzione già annunciata (a chiacchiere) da vari governi di sinistra e di destra. Fu così che nacquero a partire dal 2014 due «cose» nuove. Vale a dire il «Dipartimento Casa Italia», affidato al rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone e al senatore a vita e archistar Renzo Piano, incoraggiati a mettere a punto prototipi e strategie e accorgimenti tecnici «facili e leggeri» per intervenire il più possibile, metodicamente, giorno dopo giorno, sul nostro patrimonio edilizio, per un quarto in condizioni «mediocri o pessime».
I LUTTI
Più ancora «operativa», ecco la Struttura tecnica di missione «Italia sicura», delegata a concentrare gli sforzi su due punti: i rischi idrogeologici e lo stato qua e là disastroso dell’edilizia scolastica. Un problema messo a nudo da troppi incidenti, anche mortali, e da sciagure come quella di San Giuliano di Puglia quando una scossa annientò 27 bambini e la loro maestra. Intervento obbligato. Come spiega Erasmo D’Angelis, che di «Italia Sicura» è stato il responsabile, «negli ultimi 70 anni ben 2.458 comuni in tutte le regioni sono stati colpiti da alluvioni e frane che hanno causato 5.556 morti, 3.912 feriti e 772 mila sfollati» eppure i fondi stanziati dallo Stato per tutto il territorio esposto a situazioni a rischio (si pensi a 52.000 chilometri di fiumi tombati sotto le nostre città: 27 solo a Messina) era tenuto d’occhio, si fa per dire, da 14 monitoraggi diversi: quattordici! Accorpati solo dopo una svolta radicale.
L’ANAGRAFE INCOMPLETA
Per non dire dei ritardi abissali dell’anagrafe degli edifici scolastici. Decisa ai tempi del primo governo Prodi, nel ‘96, proprio per aver finalmente un quadro completo, istituto per istituto, crepa per crepa, soffitto per soffitto, del patrimonio e delle priorità da dare alle scuole più a rischio. Anagrafe che, 22 anni dopo, è ancora da completare. Nonostante gli intoppi, dicono i dirigenti di Italia Sicura, «sono stati 1.445 i cantieri aperti su un fabbisogno di 9.397 opere del Piano nazionale per una cifra complessiva di circa 29 miliardi di euro e quasi 13 già ritagliati dal Mef al 2023». Di più: è stato «recuperato un tesoretto di fondi mai spesi». Ma soprattutto, sottolineano, quella struttura era riuscita a «tenere insieme su progetti concreti l’Ambiente e le Infrastrutture, l’Economia e la Ragioneria, i Beni culturali e l’Agricoltura e la Protezione civile, l’Ispra, l’Istat, il Cnr, le Regioni, l’Anci…».
TIMORI E DUBBI
Il nuovo governo, come dicevamo, non è convinto. E ha deciso di cambiare tutto. Svuotando «Casa Italia» e smantellando Italia Sicura con la «restituzione» delle competenze idrogeologiche al ministro dell’Ambiente e dell’edilizia scolastica a quello dell’Istruzione. Per carità, magari l’uno e l’altro faranno meraviglie, ma vale la pena di andare a smontare due strutture che, come dice Sergio Chiamparino, «avevano senso proprio perché unendo competenze diverse stavano lì, dove meglio si esercita la collegialità, cioè a Palazzo Chigi?». Lo ha chiesto per iscritto anche ai colleghi forzisti, democratici o leghisti delle regioni del Nord: «Credo che condividiate con me la preoccupazione per questa decisione che rischia di disperdere il proficuo lavoro svolto da Italia Sicura…». Qual è il timore del presidente piemontese? Che i soldi già «assegnati alle Regioni per gli interventi più urgenti» non vengano più erogati o «si complichino le procedure per la loro attribuzione». Insomma, ci vorrebbe un «ripensamento rispetto a questa decisione»… Tocchiamo ferro. Ma sarebbe davvero un guaio se il tema centrale della prevenzione finisse in un cassetto. Magari fino al prossimo spavento…
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