Costruire cittadinanza per una politica nuova (di Fabio Pascapè)
La delicatezza della situazione delle nostre comunità è sotto gli occhi di tutti. Basta guardarsi nelle tasche. Basta guardarsi intorno. Basta considerare la qualità dei servizi che riceviamo a fronte della quantità di tributi e tasse che versiamo. Spesso e volentieri neanche i livelli minimi di garanzia e tutela dei diritti sono assicurati.
Una cosa è certa però: mai come in questo momento scegliere di essere cittadini attivi può veramente fare la differenza. E’ una presa in carico di responsabilità nei confronti della comunità ed in particolare di coloro i cui percorsi di cittadinanza sono resi difficili dalle condizioni di svantaggio economico, sociale, culturale, personale. Perchè un diversamente abile a cui sono negate le condizioni minime di accesso ad un mezzo pubblico è meno cittadino degli altri. Perchè un ammalato di SLA a cui è negato il comunicatore oculare è meno cittadino degli altri. Perchè un giovane a cui non sono garantite minime condizioni di ingresso nel mercato del lavoro è meno cittadino degli altri. Perchè un imprenditore che subisce la pressione del racket è meno cittadino di altri. Perchè una persona che vede sfumare i risparmi ad opera di un truffatore è meno cittadino degli altri.
Negare o limitare i diritti significa negare la cittadinanza così come rinunciare ai diritti significa rinunciare ad essere cittadini.
Il fallimento della politica ha consegnato nelle mani di un governo tecnico il delicato compito di realizzare riforme profonde e rapide in grado di salvare l’Italia dal fallimento economico. Siamo nel bel mezzo di un percorso delicatissimo nel quale la presenza partecipativa di cittadini attivi e responsabili diventa una imprescindibile garanzia perché al termine del percorso stesso siano garantite a tutti condizioni minime di accesso ad una piena cittadinanza.
Non è più possibile trincerarsi dietro un atteggiamento da semplici abitanti e, quindi, semplici fruitori passivi di servizi.
Occorre cambiare atteggiamento ed occorre che questo cambio di atteggiamento venga adottato da un numero sempre crescente di persone che scelgano da meri abitanti di diventare veri cittadini attivi, proattivi e responsabili. Attori, registi, animatori di cambiamento civico dunque.
Due le dimensioni dell’intervento civico che può vedere direttamente coinvolti noi cittadini attivi.
Da una parte dobbiamo fare i conti con un vero e proprio deficit di cittadinanza sempre più evidente e crescente che si è via via radicato nelle nostre comunità. Dimostrazione ne sia il sempre maggiore disimpegno del cittadino dalla vita pubblica, la sua distanza dalle istituzioni, la sua crescente sfiducia. Questo ci coinvolge direttamente in un’attività finalizzata ad evidenziare il senso e la utilità di una partecipazione civica qualificata come fondamentale collante in grado di rinsaldare i rapporti tra cittadino ed istituzione, laddove il cittadino partecipa attivamente a costruire le scelte dell’istituzione e ne monitora la realizzazione e gli impatti con strumenti, peraltro, già esistenti come, ad esempio, la valutazione civica e il bilancio partecipato.
Dall’altra le condizioni di accesso ad una piena cittadinanza sono messe in seria discussione da una crisi economica senza precedenti e, ancor più, da manager pubblici che non sanno fare altro che prendere atto dei tagli e ribaltarli sui servizi al cittadino laddove, invece, dovrebbero avere il coraggio di mettere mano agli sprechi ed alle diseconomie che affliggono la Pubblica Amministrazione senza se e senza ma.
Questo ci coinvolge direttamente a presidio degli standard minimi di qualità dei servizi pubblici sanitari, di giustizia, scolastici, di trasporto, di trattamento dei rifiuti, idrici.
Occorre, però, sfatare con fermezza due pericolosi luoghi comuni.
Il primo è quello per il quale i tagli si ribaltano attraverso i diversi livelli della Pubblica Amministrazione dallo Stato alle Regioni, dalle Regioni alle Province, dalle Province ai Comuni e da questi ai servizi erogati ai cittadini. Spesso tutto ciò accade con una semplice alzata di spalle da parte del manager di turno. Non è e non può essere così. In realtà dobbiamo pretendere che il trasferimento dell’effetto dei tagli sulla quantità e sulla qualità dei servizi al cittadino avvenga solo a condizione che sia stata rivista l’organizzazione e l’intero ciclo erogativo del servizio nel senso di eliminare gli sprechi e le diseconomie e, quindi, la sola parte restante gravi, eventualmente e salvo verifica con le scelte politiche, sulle spalle del cittadino.
Il secondo luogo comune da sfatare è quello per il quale i decisori si trincerano dietro all’alibi del contenimento della spesa quando praticano tagli generalizzati ed indifferenziati.
Occorre dire a chiare lettere che i cd.”ragionieri” sono necessari per analizzare una spesa pubblica ormai fuori controllo ma non sono loro che decidono. La decisione e la scelta di cosa, come e quanto tagliare spetta ai decisori politici. E’ a loro che è affidato il delicato compito di individuare le priorità ed a noi quello di presidiare i livelli minimi di applicazione delle nostre carte dei diritti al di sotto dei quali non dobbiamo consentire di scendere.
Questo è il compito più importante della politica che nessuna antipolitica potrà mai smentire. La politica vera, però, quella la cui responsabilità spetta a tutta la collettività che decide da sé come governarsi.
In questo momento di crisi economica l’azione della cittadinanza attiva può assumere valenze che fino a poco tempo fa erano inimmaginabili. Prendiamo ad esempio i cosiddetti “costi occulti da disservizio”.
Se potessimo fruire di servizi sanitari pubblici efficienti, efficaci e nei tempi giusti non avremmo bisogno di ricorrere all’intramoenia, oppure alle prestazioni specialistiche private. Se i servizi scolastici fossero pensati a misura dei nuclei familiari o comunque dei genitori non dovremmo ricorrere a baby parking, baby sitter, etc.
Se i servizi di sicurezza al cittadino funzionassero non dovremmo ricorrere alle porte blindate, alle serrature di sicurezza, agli antifurti o non dovremmo sostenere i danni derivanti dai reati contro il patrimonio (furti, borseggi, rapine, scippi, etc.).
Se i servizi di trasporto pubblico funzionassero a dovere non saremmo costretti a mantenere un’automobile che costa mediamente tra i 4.500,00 euro e i 5.000,00 euro l’anno.
Se politiche di sicurezza efficaci allentassero la pressione che il racket e l’usura esercitano sui prezzi di mercato tutti ne trarremmo giovamento a partire dai consumatori per finire ai dettaglianti.
Questo è il campo di azione di una politica nuova basata sulla cittadinanza attiva e non sui corpi separati degli apparati di partito o delle istituzioni che comandano e non governano.
Diventiamo, dunque, attori di un processo che includa anche il sostegno dei redditi attraverso il recupero di servizi di qualità che aiutino le persone a fronteggiare questo momento di crisi economica.
Riappropriamoci del nostro diritto di scegliere in quanto cittadini che sono titolari di diritti perché sono innanzitutto responsabili nei confronti della comunità civica.
Riappropriamoci dei nostri territori ed affermiamo che non siamo disposti a farceli strappare da chi, con l’inganno o con la violenza, pretende di esserne il dominatore.
Scegliamo di non rinunciare e di restare e di metter su famiglia scommettendo su un futuro per i nostri figli. Creiamo “presidi di resistenza civica per i diritti” intorno ai quali costruire “filiere civiche” che abbiano la capacità di mettere insieme tutti i “costruttori di cittadinanza”.
Non accettiamo che attraverso la negazione dei diritti e del potere di scegliere si neghi la sostanza della cittadinanza.
Fabio Pascapè Cittadinanzattiva Napolicentro
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