Covid e scienza: una questione di metodo

Era dai tempi della conquista della luna che non si vedeva un’attenzione, un interesse ed una fiducia così grandi verso la scienza. In questi tempi terribili la gente si sta rivolgendo alla scienza nella speranza che trovi dei rimedi al virus. Sperare è legittimo, ma bisogna sapere che la scienza non è un jukebox dove metti dentro i soldi e ottieni la musica che hai richiesto (un’espressione della senatrice Elena Cattaneo).

Non è detto, però, che questo orientamento (di una parte) dell’opinione pubblica duri a lungo. La pandemia è ancora qui e dovremo conviverci ancora per molto tempo. Si corre il rischio dell’assuefazione, della delusione e della sfiducia.

Oggi la stragrande maggioranza si rivolge alla scienza. Nel passato, invece, in tanti credevano nella magia, nei miracoli o in strani sistemi di segni sopranaturali. Tutti erano alla ricerca di spiegazioni che rendessero il mondo meno ostile e sconosciuto e permettessero di intervenire sugli eventi. Chi ci credeva non chiedeva conferme nei fatti perché pensava bastasse la propria fede.

Oggi alla scienza si chiedono soluzioni tempestive, affermazioni certe, risposte semplici ed univoche senza distinguo o ambiguità. E, invece, cosa succede? Abbiamo vissuto tutti l’esplosione della pandemia in diretta e abbiamo visto incertezze, disaccordi, interpretazioni e soluzioni differenti tra gli esperti. Le principali misure adottate – quarantena, distanziamento e mascherina – non erano molto diverse da quelle che si usavano in epoche passate. Soprattutto abbiamo visto la scienza non in grado di dare certezza sulle cure e sui tempi di sviluppo dei vaccini.

Se non in grado di dare soluzioni certe ed efficaci a cosa serve la scienza? Questo l’interrogativo che si è insinuato nella mente di tanti senza arrivare ai non pochi negazionisti e “no mask” eredi della fiducia nelle magie e nella lettura dei segni sopranaturali del passato. Allora qualche precisazione ci vuole.

Anche solo prendendo come riferimento gli ultimi cento anni (più o meno dalla “spagnola” ad oggi) numerose rivoluzioni scientifiche hanno stravolto la fisica e la biologia e prodotto la miriade di soluzioni tecnologiche che troviamo tutti i giorni nelle nostre case, nel lavoro e, per fortuna, anche nella sanità.

Ben pochi, però, sono in grado di dire come funziona uno dei tanti oggetti che popolano le nostre vite (e spesso ce la salvano) e dei quali non potremmo fare a meno. Sappiamo solo che si tratta di scienza, di tecnologia, non di magia, ma il nostro atteggiamento, molto spesso, è ancora quello dell’ignoranza: ci aspettiamo che le cose funzionino e basta come se qualcuno le avesse trovate già fatte così come le conosciamo noi. Quando la ricerca scientifica arriva a realizzare applicazioni di ampia diffusione ed entra nel quotidiano si perde la cognizione di cosa c’è dietro e quanto è stato lungo e tortuoso il percorso che ha portato al risultato.

E come mai si sentono tante opinioni discordanti tra gli esperti? Perché la scienza procede per tentativi ed errori accumulando conoscenza e mettendola alla prova anche per fenomeni nuovi. Quale è la risposta scientifica che per prima viene data di fronte a qualcosa di nuovo? Non lo sappiamo, bisogna indagare, studiare, provare.

Così è accaduto per il Covid. Lo abbiamo vissuto giorno per giorno tutti insieme. Gli scienziati lo hanno scoperto con noi e non potevano avere già delle soluzioni pronte.

La ricerca scientifica e tecnologica è composta da un fitto intreccio di competenze e di specializzazioni. Così è anche per la lotta al Covid. Ecco perché sentiamo i pareri dei virologi, dei clinici, degli epidemiologi, degli operatori sanitari e di altri portatori di competenze specialistiche. Non possiamo aspettarci da ciascuno UNA soluzione globale. Ed è sbagliato e fuorviante il messaggio veicolato dalle tv e dagli infiniti dibattiti televisivi nei quali si chiede ad UN esperto di dare una spiegazione e una ricetta onnicomprensiva.  Il punto di vista multidisciplinare è necessario e non ci deve stupire se un illustre clinico ha una diversa visione dello stato della pandemia da un virologo e da un epidemiologo. In realtà anche la scienza ha un aspetto sociale e, quindi, il dialogo tra esperti, anche se non concorde ed univoco, è fondamentale.

In quanto alle certezze di avere risultati in tempi brevi la scienza non funziona così, non c’è niente di automatico, di inevitabile, di ovvio. Potrebbe anche accadere che non si riesca a trovare un vaccino per questo virus anche se sappiamo come farli e ne abbiamo fatti a centinaia (infatti non c’è ancora un vaccino definitivo per Ebola o per l’HIV o per il semplice raffreddore). Una conclusione difficilmente accettabile da chi non sa come funzioni la scienza.

Ciò che è decisivo ed irrinunciabile è il metodo scientifico e la fitta trama di infrastrutture organizzative sulle quali si regge a partire dall’istruzione. Una fra le più importanti lezioni da trarre dalla pandemia è che gli esseri umani sono ciò che sanno e che il più importante investimento a vantaggio della società dovrebbe essere questo.

Claudio Gasbarrini

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