Decisioni lente e veloci in tempi di covid

Nel celebre libro “Pensieri lenti e veloci” il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman analizza le modalità con cui prendiamo le nostre decisioni sia nella vita di ogni giorno sia in situazioni più importanti come le scelte di acquisto o di investimento. Alla base della sua esposizione pone la distinzione tra i “pensieri lenti” dove opera il ragionamento logico, il comportamento razionale e i “pensieri veloci” governati dall’istinto che ha le sue radici negli schemi mentali derivati dall’evoluzione della nostra specie e assolutamente non adeguati a trattare situazioni complesse.

Se si osserva la fitta sequenza di provvedimenti che il governo e gli enti locali hanno emesso recentemente per fronteggiare la pandemia l’impressione è che si sia seguita la logica delle “decisioni veloci”, ovvero ispirate dalle sensazioni, dal desiderio di non contraddire il comune sentire, dalle risposte puntuali all’emergenza piuttosto che delle “decisioni lente” fondate su dati di fatto e su analisi costi/benefici.

Speriamo si tratti solo di una impressione anche se i lunghi incontri notturni, le vivaci interlocuzioni del governo con i governatori delle regioni, i sindaci e le parti sociali, le modalità di comunicazione delle decisioni portano a credere che la parte istintiva dell’intelletto abbia giocato un ruolo rilevante.

Perché continuiamo a navigare a vista, producendo 4 DPCM in un mese? Qualcuno sostiene che è necessario reagire rapidamente e con flessibilità. Ma forse manca la capacità previsionale che ci consentirebbe di governare la situazione piuttosto che inseguirla.

Perché abbiamo invece bisogno di “decisioni lente”?

Siamo in presenza di una situazione nuova, complessa, su una scala geografica senza precedenti. Non possiamo limitarci a raccontarla giorno per giorno. Chi ha il compito di decidere e agire per la collettività deve soprattutto studiare e prevedere per anticipare gli eventi. Il semplice cittadino può limitarsi ad inseguirli, non chi ha responsabilità di governo.

Se è vero che in generale “tendiamo a sopravvalutare le nostre conoscenze sul mondo e a sottovalutare il ruolo del caso negli avvenimenti” (D. Kahneman) questo accade a maggior ragione ora.

Anche se si può discutere della capacità di questo o quel politico e, come al solito, tirare in ballo la burocrazia che getta sabbia negli ingranaggi, ci sono motivi più profondi che ci spingono a cadere in questa trappola dalla quale non sono sfuggiti anche altri paesi.

Siamo naturalmente portati a dare più peso a situazioni specifiche per cercare relazioni di causa-effetto invece che basare le nostre analisi su correlazioni statistiche che spesso conducono a risultati controintuitivi.

Abbiamo difficoltà a comprendere l’andamento di alcuni fenomeni: assumiamo che il rapporto tra grandezze sia naturalmente lineare, proporzionale, deterministico, mentre nella realtà sono assai più frequenti situazioni con andamento esponenziale, sensibili al caso e correlati a molti fattori. Si cercano certezze assolute senza considerare che solo utilizzando le probabilità si riesce a governare il caso.

Per questo sono necessari modelli in grado di considerare queste situazioni, ma, come spesso accade quando si incontrano cose poco note, si guarda con sospetto o scetticismo ad ogni analisi che parta dai dati e che con tecniche adeguate sia in grado di fornire delle previsioni probabilistiche.

Si ignora però che questi metodi sono impiegati quotidianamente in economia, nelle previsioni del tempo, nel regolare il traffico su internet e, soprattutto, nel marketing digitale che subiamo più o meno coscientemente tutti quanti.

Abbiamo quindi necessità di fatti, dati che devono essere utilizzati come base per le nostre decisioni. Da tempo si susseguono le raccomandazioni come quella della associazione italiana di epidemiologia per raccogliere in maniera sistematica informazioni su come procede l’epidemia. Quante discussioni si sono fatte su teatri, ristoranti, scuole, anziani, trasporti senza mettere prima sul tavolo i dati e si è invece partiti da foto, filmati, impressioni o sensazioni, o interviste a chi, pur competente, aveva una visibilità limitata al suo ambiente di lavoro?

Occorre inoltre avere la consapevolezza che dovremo convivere con la pandemia per mesi, forse per più di un anno, quindi ogni intervento sia sul piano sociale sia sul piano economico deve essere pesato e modulato considerando un ampio lasso di tempo.

Questo vale per le iniziative in campo sanitario, ma anche per i necessari interventi volti a compensare le categorie più colpite. Saremo in grado di continuare così per lunghi periodi? L’assistenza è l’unica soluzione o bisogna mettere in campo la necessaria inventiva per rimodulare l’attività di alcuni settori? Anche se il dopo non dovesse essere diverso dal prima quante aziende, modi di produzione o servizi riusciranno a sopravvivere nel frattempo?

Le istituzioni, ma anche i media, la stampa hanno il dovere di raccontare e spiegare a che punto siamo veramente e come e perché gli interventi proposti o attuati possono aiutarci. Perché non utilizzare grafici, animazioni, metodi didattici per questi scopi? Meglio questi che tante parole lette su un foglio per commentare un DPCM.  Se si vuole la condivisione degli sforzi gli appelli potrebbero non bastare.

Purtroppo molte di queste considerazioni erano valide a maggior ragione anche in primavera quando ci sarebbe stato molto più tempo per le “decisioni lente”,

Claudio Gasbarrini

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