Denaro e informazione, due snodi cruciali della democrazia (di Claudio Lombardi)

I problemi della democrazia sono tanti, ma i maggiori sono quelli dell’informazione e del denaro. Prendiamo la campagna elettorale negli USA. Un articolo di Alexander Stille pubblicato di recente su Repubblica ci ricorda che “dal 2008 l’industria finanziaria, che ha scatenato la crisi, ha speso 343 milioni di dollari per i lobbysti e 211 milioni nelle campagne elettorali per assicurarsi che le riforme per far ripartire l’economia non risultassero troppo onerose. I contributi sono andati sia ai democratici sia ai repubblicani. Il risultato è che abbiamo un partito (quello repubblicano) interamente al servizio di grossi interessi, i cui esponenti hanno votato contro qualsiasi riforma finanziaria. Mentre il partito democratico è colonizzato per metà: ha fatto una riforma finanziaria molto più debole di quanto serviva”

Ecco sintetizzato il paradosso di un regime che, fondato sull’eguaglianza e sulla libertà, in realtà non è in grado di impedire che minoranze aggressive e ricche di denaro lo conquistino e lo usino per accrescere il loro potere e le loro ricchezze distruggendo, di fatto, sia l’eguaglianza che la libertà. Il fatto che le misure contro le attività finanziarie speculative siano state deboli e che si sia preferito usare i soldi pubblici per soccorrere chi aveva causato la crisi senza, peraltro, adottare regole severe per impedire che accadesse di nuovo significa che lo strapotere del denaro ormai in grado di comprare partiti e politici può dettare le sue condizioni e mettere ai margini la stragrande maggioranza dei cittadini. Continua Stille: “i poveri votano molto meno dei ricchi. Circa l’80 per cento delle persone con un reddito di oltre 150.000 dollari votano, mentre solo il 40 per cento di quelli più poveri fanno lo sforzo di andare alle urne”.

Certo, ciò non ha impedito la vittoria di Obama, ma il peso degli interessi privati ha interessato anche lui e il partito democratico sia direttamente sia indirettamente con l’enorme capacità di formare l’opinione pubblica che hanno i detentori degli interessi più forti. Tutto si paga, dai giornalisti, alle televisioni, all’onnipresente propaganda. Un apparato gigantesco capace, per esempio, di inculcare nella testa dei cittadini l’assoluta necessità di ridurre le tasse ai ricchi e di eliminare l’assistenza sanitaria e sociale per i più deboli. Il bianco diventa nero e il nero bianco.

Qualcosa del genere abbiamo sperimentato anche noi in Italia. Il berlusconismo ha rappresentato la discesa in campo del denaro e del potere mediatico con la costruzione di una cultura civile ampiamente diffusa e condivisa fondata sulla prevalenza dei più forti e sullo sdoganamento della disonestà a tutti i livelli nel più assoluto disprezzo degli interessi della collettività a favore di quelli dell’individuo. Una cultura che è diventata, per quasi venti anni, il cemento che ha unito italiani e uomini dei partiti di governo del centro destra. Quanto questo abbia influito sui conti che adesso la maggioranza dei cittadini sta ripagando (ma non i ricchi, sempre esentati) è immaginabile, ma lo dice bene una sola cifra: 460 milioni di euro spesi dalla cricca della Protezione Civile per organizzare il G8 (mai tenuto) alla Maddalena. 460 milioni rubati, buttati, sprecati dissolti.

Come questo non sia stato capito dagli italiani e non abbia suscitato una ribellione capace di rovesciare il governo non è un mistero perché la formazione dell’opinione pubblica è stata il primo compito che hanno affrontato “scientificamente” i fondatori del nuovo ordine. Il possesso dei canali televisivi privati e di molti quotidiani e periodici e il controllo assoluto della TV pubblica hanno supportato la conquista e la gestione del potere. La corruzione con l’uso dissennato del denaro pubblico ha fatto il resto selezionando un personale politico e una burocrazia del tutto asserviti.

Due casi, quindi, nei quali la sostanza di un regime democratico è messa in mora dal potere del denaro e dal monopolio dell’informazione. Cosa possono fare coloro che non dispongono né dell’uno né dell’altra, ma hanno solo il loro diritto di partecipare alle decisioni politiche?

Questo, sempre più, appare il problema cruciale delle democrazie. E non si tratta di una questione formale, ma molto concreta. Gli strumenti classici della partecipazione o sono in crisi o non bastano più. I partiti sono in crisi non perché non abbia più senso l’esistenza di organizzazioni sociali che si occupano della selezione dei programmi politici e dell’organizzazione della partecipazione popolare di cui parla l’art. 49 della Costituzione. I partiti sono in crisi perché sono diventate macchine elettorali o comitati di affari. Non tutti, ma si può dire che i due aspetti sono presenti in misura diversa nelle formazioni politiche che riscuotono la maggioranza dei consensi.

Abbiamo avuto l’esempio di quello che era ritenuto un partito popolare, la Lega, che per molti anni non ha tenuto congressi e nella quale si è tentato di instaurare una successione ereditaria al vertice. Per non parlare del maggior partito di governo, il Pdl, che è stato sempre un partito di proprietà di Silvio Berlusconi.

Le elezioni non rappresentano più il momento solenne delle scelte democratiche perché non poggiano su una struttura sociale-istituzionale fondata sulla partecipazione. Spesso gli elettori votano sulla base di suggestioni, di illusioni e di disinformazione e non sono educati alla valutazione e alla selezione delle opzioni politiche  e programmatiche.

Questo il quadro. Per cambiare qualcosa bisogna partire dalle ultime righe, ma volte in positivo: informazione, educazione alla valutazione delle politiche e dell’attuazione delle scelte. Il fine è costruire una cultura civile condivisa che prescinda dagli schieramenti politici. Un esempio: pagare le tasse e non rubare i soldi pubblici sono valori e principi di base della convivenza civile, non sono scelte politiche che dipendono dagli schieramenti di partito. Su queste basi è realistico pensare di poter dar vita a nuovi partiti o di rinnovare quelli esistenti anche partendo da un ruolo inedito dell’opinione pubblica che utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione per conoscere i fatti, far circolare le informazioni, individuare e confrontare le soluzioni ai problemi di governo della società.

Claudio Lombardi

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