Disastro della sanità del Lazio: tagliare una classe dirigente (di Claudio Lombardi)
La sanità pubblica costa. Da anni se ne parla quasi solo per denunciare casi di malasanità, sprechi, scandali e per indovinare i tagli di spesa più efficaci. Poco si dice del fatto che ancora un cittadino può ricorrere all’assistenza pubblica senza che nessun gli chieda i dati della sua carta di credito o della sua assicurazione sanitaria privata. Valutazioni internazionali collocano per questo e per la qualità del servizio il servizio sanitario nazionale ai primi posti nel mondo. Quanto ai costi parlano le statistiche dell’Oms sul totale delle spese: negli Usa si spende il 17% del Pil, in Italia il 7, 5, il 9,7 in Germania, il 10 in Canada, l’ 8,6 in Gran Bretagna e Francia. Da notare che negli Usa nei quali prevale la sanità privata 43 milioni di cittadini americani non sono assistiti, mentre altri 87 milioni devono ricorre a polizze con coperture limitatissime e spesso incerte. Per di più vi sono ogni anno 600 mila cause per malasanità.
Adesso andiamo a Roma fuori da uno dei pronto soccorso balzati sulle prime pagine dei giornali perché le ambulanze restano bloccate per il “sequestro” delle barelle. Ebbene i problemi della sanità sono tanti e complessi, ma tutta la catena di comando e di responsabilità che va dal responsabile di unità operativa al Capo del Governo non è riuscita a decidere nemmeno l’acquisto di letti da parcheggiare al posto delle barelle. Eppure un anno fa si era verificata la stessa situazione.
Quindi la sanità è solo un problema di costi? Non sembra proprio. Vediamo il caso del Lazio. Il debito appare come un pozzo senza fondo e una causa di emergenza permanente. ma il debito è una calamità naturale o il prodotto di scelte assunte per molti anni?
Sia chiaro nel caso del Lazio si può parlare di disastro finanziario. Una montagna di debiti la cui quantificazione risale alla fine della giunta Storace nel 2005: 9,9 miliardi di euro. Anche qui : si tratta di spese a favore dei cittadini che oggi possono goderne i frutti? Obiettivamente NO. Un impasto di inefficienze, corporativismi, cattiva gestione e malaffare. Un impasto in cui rientrano strutture private accreditate senza necessità, reparti creati per distribuire primariati, ricoveri inappropriati, esami specialistici senza limiti (500 mila TAC e risonanze magnetiche solo nel 2005), spesa farmaceutica oltre i tetti imposti, ma anche Asl che non presentano i bilanci, manager incapaci e funzionari corrotti.
Per esemplificare basti ricordare il caso di Anna lannuzzi, meglio conosciuta come Lady Asl, che ha potuto rubare oltre ottanta milioni di euro di rimborsi per prestazioni mediche mai effettuate in una clinica fantasma. E questo è solo un esempio.
In questo quadro che comprende tutti gli aspetti citati i costi della sanità sono diventati insostenibili e oggi il conto lo pagano i cittadini non le centinaia di responsabili amministrativi e politici che hanno prodotto lo sfascio ricavandone, molto spesso, lauti guadagni. Da ultimi i consiglieri e i membri della giunta uscente che hanno tranquillamente governato per accaparrarsi una fetta di soldi pubblici il più grande possibile. Da ultimissima la Polverini costretta dai giudici e dal governo ad indire le elezioni dopo 5 mesi in cui ha continuato a spendere soldi pubblici e a nominare dirigenti anche con contratti quinquennali senza alcun controllo e senza vergognarsi.
&Ebbene prima ancora di parlare di tagli alle spese e ai servizi bisogna tagliare questa classe dirigente. Senza questo taglio nessuna politica può funzionare, nessuna razionalizzazione può andare a buon fine e sprechi, inefficienze e ruberie si riproporranno sicuramente.
Ovviamente è un taglio che devono fare i cittadini con il voto innanzitutto, ma è necessario anche che si attivi un controllo civico sui servizi che apra porte e finestre sulle scelte gestionali e politiche. Anche la magistratura deve fare la sua parte e il governo nazionale deve farsi promotore del superamento di un’autonomia regionale che ha prodotto degenerazioni più che efficienza. I sindacati poi hanno una grande responsabilità perché forse stanno toccando con mano gli effetti nefasti di una difesa corporativa frammentata e spesso sorda agli interessi generali.
Per questi motivi è assurdo affrontare la sanità solo in termini di costi da tagliare o puntando ad una ripresa della spesa pubblica fondata sul debito. Sono entrambe posizioni illusorie inutili, inefficaci e dannose anche se l’emergenza porta sempre al taglio dei servizi e la strada del debito è bloccata. Basta entrare in qualunque ospedale romano per accorgersi che il sistema è in tilt: non si fanno investimenti, non si riparano le apparecchiature, non si acquista più nulla.
Occorre una svolta radicale, deve partire dalla ribellione dei cittadini.
Claudio Lombardi
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!