Il disorientamento del dopo Brexit

A qualche settimana dal referendum britannico che ha visto prevalere il leave l’incertezza regna sovrana.  Il dopo Brexit è contrassegnato dal disorientamento dei leader che danno l’impressione di non sapere bene che fare.
A Londra si registra un vero e proprio sconvolgimento politico: Il premier conservatore Cameron si è dimesso, il nazionalista Farage ha lasciato la guida del suo partito, il leader laburista Corbyn e’ stato sfiduciato dai suoi parlamentari e due big conservatori in prima linea per il leave, Gove e Johnson non correranno per prendere il posto di  Cameron.
referendum Regno UnitoIl referendum e’ stato utilizzato per fare una guerra di posizione nel partito conservatore, con Cameron che voleva dimostrare alla destra di essere il più forte e i politici dell’ala destra del partito che volevano dimostrare ai britannici di essere molto bravi a rubacchiare qualcosa a Bruxelles brandendo l’arma del referendum.
Oggi in prima linea per la successione a Cameron è rimasta solo Theresa May, donna allergica ad ogni trattato internazionale  soprattutto se relativo ai  diritti umani, ma che, pur tenendo un profilo basso, era dalla parte del remain.
Se, come ha fatto intendere Boris Johnson, l’obiettivo dei conservatori più estremisti e’ portare Londra fuori dall’UE, ma facendola rimanere attaccata al mercato unico la destra britannica sta facendo una guerra puramente simbolica e potenzialmente molto costosa. L’adesione allo spazio economico europeo in sostituzione di una membership dell’Ue con opt out su tutte le questioni politiche e’  un cambiamento poco rilevante sotto il profilo economico ottenuto però dopo un percorso tortuoso con impatti potenzialmente disastrosi e irreversibili su stabilità e crescita.
Dall’altra parte della Manica però non è che le cose siano molto più chiare. In sintesi si può dire che c’è una “Unione divisa” e non è certo una novità.  Come sempre c’è una Commissione Europea che (bene o male) vuol provare a sintetizzare un interesse comune e i governi nazionali che provano a difendere l’interesse nazionale o ancor peggio provano a cavalcare l’euroscetticismo per ottenere qualcosa in più.

Merkel HollandeIl “ventaglio” delle posizioni dei leader degli stati più importanti è significativo. La signora Merkel ha una posizione attendista: la Gran Bretagna è un partner commerciale importante per la Germania e la cancelliera vuol fare tutto il possibile per non pregiudicare l’accesso di Londra al mercato interno. Hollande ammonisce che senza la Gran Bretagna non si potrà mai parlare di esercito europeo. Evidentemente trascura il fatto che gli inglesi non vogliono che l’Europa divenga un superstato ed un esercito europeo sarebbe proprio una conferma della sua esistenza. Tanti altri premier europei sembrano come Merkel e Hollande più interessati a preservare rapporti politici e commerciali con Londra che a immaginare quei cambiamenti istituzionali e di politiche economiche che il voto del 23 giugno ci dice essere ormai improcrastinabili ma che in verità e’ evidente fossero auspicabili già dieci anni fa. Così il presidente della Commissione Juncker dice che Londra ha votato e che bisogna fare in fretta a definire la nuova situazione sulla base del principio “chi è dentro e’ dentro, chi è fuori e’ fuori”. Il presidente del Parlamento europeo, il tedesco Schulz con una riflessione sull’economia lapidaria e incontestabile si accoda a Juncker: l’instabilità fa male, quindi occorre chiudere subito il dossier Brexit.

crisi EuropaLa questione si complica ancora guardando ad est. Alcuni capi di governo di paesi accusati di opportunismo da Juncker perché interessati solo a rastrellare fondi comunitari, ma non a dare risposte comuni a questioni epocali come quella dei migranti, vogliono la testa del presidente della Commissione europea e cercano una sponda in Angela Merkel. Tra l’altro il presidente della Commissione in questo momento non può contare nemmeno sull’appoggio di tutti gli uomini delle istituzioni UE, con il presidente dell’eurogruppo l’olandese Dijsselbloem che non si e’ mai distinto per brillantezza ma adesso e’ completamente sparito ed il presidente del Consiglio Europeo, il polacco Tusk che dovrebbe facilitare la sintesi di posizioni tra i governi dell’Unione ma continua ad attaccare Merkel, Hollande e Juncker ed a stigmatizzare ogni proposta di riforma dell’Unione per cercare di guadagnare qualche consenso tra l’elettorato polacco che si e’  ormai affidato alla destra conservatrice ed euroscettica. Non abbiamo quindi un presidente dell’eurogruppo ma abbiamo trovato in Tusk il presidente de facto del no-eurogruppo che si candida a rappresentare  gli interessi dei paesi politicamente periferici. Il ruolo di Tusk era stato pensato per sbloccare le situazioni di stallo e oggi il polacco invita tutti a stare fermi sullo status quo.
Serve quindi una riforma profonda dell’Unione Europea che deve essere fatta con il coinvolgimento del popolo e non con un trattato di compromesso e poco comprensibile, tuttavia dobbiamo sapere che senza una classe dirigente degna di questo nome e con politici che usano le elezioni europee come sondaggi ed i referendum come terreno di battaglia interna al partito non c’è futuro per il vecchio continente.

Salvatore Sinagra

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