Due notizie: Lodo Alfano e corruzione. Un fatto: i soldi sono finiti. L’Italia bloccata (di Claudio Lombardi)
Ogni giorno porta le sue novità. Oggi sono negative. La commissione giustizia del Senato, sensibile ai problemi degli italiani e alle loro richieste pressanti, ha deciso che ”i processi nei confronti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio, anche relativi a fatti antecedenti l’assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare”. Questo nell’ambito del cosiddetto “Lodo Alfano” cioè del disegno di legge costituzionale che dispone la sospensione dei processi per i massimi vertici delle istituzioni. Siamo nel 2010 e, nel corso di più di 60 anni di vita della Repubblica, nessuno aveva mai sentito il bisogno di una norma così sfacciatamente dalla parte di chi ha qualcosa da temere perché ha grossi guai con la giustizia. Certo, prima c’era l’immunità parlamentare, che proteggeva i membri del Parlamento. E di quella si abusò a tal punto che dovette essere cancellata. Però è anche vero che mai l’Italia ha avuto un capo del Governo imputato o indagato, nel corso degli anni, per reati comuni che vanno dalla frode fiscale, all’appropriazione indebita, alla corruzione di magistrati e di ufficiali della Guardia di finanza, alla corruzione di testimoni ecc ecc. e che conduce da anni una sua guerra personale contro la magistratura inseguendo la sua personale immunità.
Non spetta a noi giudicare se Berlusconi sia entrato in politica per salvare se’ stesso dai processi e per accrescere i suoi guadagni o per assolvere una missione nell’interesse del Paese. I fatti dicono che quest’ultima non sembra essere stata la motivazione principale visto che i problemi degli italiani sono lontani anni luce da quelli di Silvio Berlusconi e che di questi il nostro Presidente del Consiglio si occupa molto poco tutto preso come è dai problemi che ha con la giustizia e dalla cura dei suoi affari economici. In effetti oggi è più ricco che mai e più che mai presente nelle cronache per i reati nei quali sarebbe implicato. Sta di fatto che da troppo tempo abbiamo un capo del Governo che passa il suo tempo ad aggredire la magistratura, che pretende dal Parlamento leggi sempre più astruse per la sua sicurezza personale e che è più famoso per le barzellette e per le avventure con ragazze di tutti i tipi che per il suo impegno nel guidare il Paese. Sicuramente si tratta di una situazione che ci allontana dai paesi più evoluti e ci avvicina ai sistemi fondati sul dispotismo di un capo che fa della sua volontà la legge suprema.
Da anni Berlusconi e la sua maggioranza parlamentare sono ossessionati dal tema giustizia. Ma cosa hanno fatto finora? Niente per gli italiani; tutto il possibile per i processi di uno solo. Questo è un fatto dato che l’Italia è stata collocata da una statistica della Banca Mondiale al 155° posto su 178 per l’affidabilità della giustizia civile. Cioè quasi all’ultimo posto su 178 nazioni! E cosa c’è di più distruttivo per la convivenza civile e per le attività economiche di una giustizia civile inesistente? Questa è una vera emergenza, ma il Governo di questo non si occupa perché il tema urgente è sempre ottenere l’immunità per Silvio Berlusconi.
L’altra notizia è che il nuovo Presidente della Corte dei Conti ha denunciato l’invasività della corruzione e la dissipazione delle risorse pubbliche che questa determina. Veramente non è una novità perché sono anni che regolarmente proviene questa denuncia dai vertici della Corte dei Conti e sono anni che la corruzione ruba denaro allo Stato. Qualcuno si ricorda dello scandalo Protezione civile e delle collusioni con affaristi e faccendieri? Ed è lecito mettere in relazione quelle ruberie con la scarsità di risorse che affligge gli interventi dello Stato nell’istruzione e nei servizi? Sembra proprio di sì perché non sono mondi separati: sempre di Italia si parla e di soldi degli italiani.
La nuova finanziaria, che adesso si chiama legge di stabilità, sembra confermare tutti i tagli della manovra di luglio e la risposta del ministro dell’economia è sempre la stessa: i soldi non ci sono.
Si tratta di una constatazione e non serve scaricare le responsabilità sulla cosiddetta prima Repubblica perché il debito è aumentato anche in questi ultimi anni e così la spesa corrente.
Ciò che colpisce, però, è che, a fronte di questo fiume di denaro, non si vedono i risultati. Le scuole cadono a pezzi come denuncia ogni anno Cittadinanzattiva con il suo rapporto sulla sicurezza scolastica, la polizia deve ridurre le sue attività di prevenzione e controllo del territorio, le opere pubbliche, piccole e necessarie, si rinviano sempre (tranne il Ponte sullo Stretto magnificamente superfluo oggi e qui in Italia), di riduzione della pressione fiscale e del costo fiscale e contributivo del lavoro non se ne parla nemmeno, l’inefficienza dei servizi in ampie zone del Paese è impressionante (in Sicilia il problema è ancora avere l’acqua tutti i giorni e in tutte le case!). È ovvio domandarsi dove sono andati i soldi e che gente è quella che li amministra.
Non solo, bisogna anche domandarsi perché non si va a prendere i soldi da chi ne ha di più, invece di inventare scudi e condoni che servono per premiare i furbi e i disonesti.
E bisogna domandarsi cosa vuole fare e dove vuole andare chi ha avuto il voto per governare e sembra vagare nel nulla delle polemiche e degli scandali.
Lo stato dell’Italia preoccupa per l’evidente incapacità dello Stato di far funzionare la società. Si sommano troppe crisi: crisi della convivenza civile che porta all’individualismo aggressivo; crisi del lavoro che si trova solo quando è sottopagato e senza diritti; crisi dei servizi essenziali alla vita della società (istruzione, assistenza e sanità, giustizia, tutela dell’ambiente e mobilità); crisi della capacità di sostenere le attività economiche all’interno e all’esterno; crisi della democrazia sempre più inquinata dalla corruzione e dalla criminalità organizzata.
Come se ne esce? La base per ripartire è in una nuova politica che rinnovi il sistema delle decisioni, delle loro applicazioni e dei controlli. E il motore sta nella partecipazione dei cittadini.
Claudio Lombardi
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