E se Hamas attaccasse in Europa?
Estratti di un articolo di Francesco D’Arrigo direttore dell’Istituto Italiano di Studi Strategici “Niccolò Machiavelli su startmag.it. Il testo integrale a questo LINK
Sebbene il brutale attacco terroristico abbia avuto luogo in Israele, le sue ripercussioni sono avvertite a livello globale: innanzi tutto nella divisa comunità musulmana, che si è immediatamente coalizzata contro il nemico comune Israele, nonostante sia in perenne guerra interna tra le diverse dottrine religiose che le caratterizzano. Ma i contraccolpi sono forti anche in Occidente: negli Stati Uniti, in Europa ed in Italia, sotto forma del massiccio sostegno mostrato da alcuni settori della società all’attacco terroristico di Hamas, strumentalizzando la causa palestinese. La situazione ci spinge a porci una domanda: quanto siamo sicuri, in Europa ed in Italia?
Quale è la probabilità che attacchi terroristici su larga scala, combinati con violente proteste e rivolte sociali, si verifichino in diverse parti dell’Europa e del nostro Paese? E, infine, quanto siamo preparati, come società e Stato, ad affrontare una simile crisi?
Siamo ovviamente nell’ordine di ipotesi di scenari, ma nel condurre un’analisi di una minaccia reale come questa, è indispensabile considerare almeno i seguenti tre fattori: la mentalità, l’intento e le capacità degli attori.
Partendo dalla mentalità e dall’intento, ritengo che attualmente l’Italia stia vivendo un’intensa guerra psicologica e di radicalizzazione anti Nato, anti americana ed anti Israele, in particolare attraverso alcuni media nazionali, i social media come TikTok e Telegram, ed alcuni centri di influenza politici, dove sicuramente si sta pesantemente infiltrando anche quella jihadista, camuffata in sostegno al popolo palestinese ed alimentata dalla rete di disinformazione e propaganda russa. La guerra di aggressione russa contro l’Ucraina aveva fatto passare in secondo piano la minaccia jihadista, ma diversi rapporti di intelligence hanno evidenziato livelli allarmanti di radicalizzazione in molti Paesi occidentali.
Per quanto riguarda la questione israelo – palestinese, dopo il criminale attacco di Hamas, il governo Meloni ha preso una chiara e determinata posizione politica, avvicinando l’Italia molto di più a Israele e liberandosi delle inibizioni del passato. La formale richiesta di massima salvaguardia dei civili palestinesi, ostaggio di Hamas a Gaza, avanzata da tutti gli alleati di Israele, è già prevista dalla Convenzione IV di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra (1949), che le democrazie occidentali, come lo è quella dello Stato di Israele, rispettano. A differenza di Hamas e dei suoi sponsor, che non considerano alcun diritto umano e civile nemmeno in tempo di pace.
La “vittoria” dei Talebani contro l’Occidente, la guerra all’allargamento della Nato del presidente Putin e il successo dell’attacco di Hamas contro Israele, rappresentano per gli estremisti ed i gruppi della jihad globale, un modello da imitare e replicare.
Se Hamas ha potuto infliggere un danno così massiccio a uno Stato come Israele, sostenuto da tutta la potenza americana, allora immaginate cosa potrebbe accadere in Europa, ed in particolare all’Italia, se la global jihad decidesse di compiere un attacco contro il nostro Paese.
Negli ultimi tre decenni, l’Italia ha creato un’infrastruttura anti-terrorismo islamico molto raffinata e sofisticata. Tuttavia, la complessa e stratificata infrastruttura del terrore sostenuta dall’Iran, dal Qatar e da altri State-actor come gli hacker russi che hanno contribuito ad accecare i sistemi di monitoraggio ed allerta israeliani prima e durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre, comprende diversi gruppi terroristici, un sistema di finanziamento del terrore ben collegato ed occultato, organizzazioni islamiche estremiste che si impegnano in un’intensa radicalizzazione religiosa in nome della carità, dell’assistenza e del lavoro religioso, una solida rete di operatori di terra, guerrieri dei media, guerrieri della propaganda e attivisti della società civile internazionale. Inoltre, comprende anche una rete radicata di spie e cellule dormienti in varie parti d’Europa, dove possono svolgere un ruolo fondamentale nel fornire supporto logistico e ausiliario per orchestrare attacchi terroristici, anche su larga scala.
Secondo recenti rapporti, la global jihad sta ulteriormente sviluppando le proprie capacità di guerra asimmetrica, vi sono ampi esempi di organizzazioni religiose estremiste che mobilitano i musulmani locali su questioni jihadiste globali, diffondono la narrativa del vittimismo e si impegnano nella radicalizzazione dei musulmani in diverse zone del mondo.
Quanto siamo preparati come Stato e come società?
Una stima corretta della forza e della resistenza della nostra società contro l’estremismo islamico viene dalle osservazioni di base delle numerose manifestazioni, proteste e dichiarazioni politiche contro Israele, che hanno avuto luogo in vari Paesi occidentali. Le lobby islamiste ed il network mediatico jihadista hanno portato avanti una propaganda internazionale ben pianificata, in cui l’Occidente sta affrontando pesanti contraccolpi da parte di nazioni a maggioranza musulmana. Idealmente, in reazione a questa pesante guerra psicologica, tutta la politica italiana avrebbe dovuto condannare la strage di ebrei e sostenere lo Stato di Israele dopo il medievale e barbaro massacro del 7 ottobre. Tuttavia, una buona parte dei politici italiani, in particolare i partiti e le organizzazioni di sinistra anti-Nato, alcuni leader religiosi, intellettuali e organizzazioni ambientaliste ed altri soggetti “esperti” a vario titolo, non hanno pronunciato una sola parola di sostegno per il massacro trasmesso in diretta video di oltre un migliaio di ebrei.
Questo esempio la dice lunga sulla nostra debolezza come società e su quanto siano ridotti il nostro impegno e la nostra determinazione contro l’estremismo e il terrorismo. La maggior parte dei cittadini italiani non ha la minima idea di quanto sia grave la minaccia.
Di fronte a queste minacce l’UE cosa fa? Per precostituire una risposta diplomatica ed una difesa adeguate occorrerebbe che l’Unione Europea avesse la possibilità di disporre delle opzioni alla quali ricorrono gli Usa. Opzioni che includono, soft – hard e smart power – cioè azioni diplomatiche, sanzioni economiche e azioni militari di deterrenza e attacco. Invece, né a titolo individuale, né a titolo collettivo i Paesi dell’Unione Europea sono in grado di fare ricorso in modo coerente a questo tipo di azioni, in quanto, per un motivo o per un altro, sono portati ad assumere iniziative concilianti che, spesso, a causa dei lori rispettivi interessi nazionali, collidono tra loro.
Non avendo una politica estera comune, l’UE non si può dotare di un sistema di Difesa europeo. Tutti gli Stati membri UE sono contrari alle “combat operations” e disponibili solo a finanziare inutili e costose “peacekeeping operation” e, a volte, sanzioni economiche, per lo più depotenziate dalla paura di ritorsioni, da parte dei Paesi contro i quali le medesime sanzioni dovrebbero essere applicate. Non restano che le azioni diplomatiche, ma nel caso di organizzazioni jihadiste non si sa verso chi condurle, considerato che persino gli Stati che le utilizzano come proxy, sono privi di legittimazione internazionale.
Il ruolo delle Nazioni Unite e della Nato
Per quanti si appellano all’ONU, forse è necessario ricordare che la risoluzione intitolata «Azioni illegali di Israele nella Gerusalemme Est occupata e nei Territori palestinesi occupati», mira ad un cessate il fuoco unilaterale di Israele.
Accade così che l’Italia debba sentirsi difesa solo dall’“ombrello protettivo” della Nato, dove però irrompe una sempre più subdola Turchia, diventata potenza politica e militare dell’Alleanza proprio grazie agli enormi finanziamenti occidentali. Le forze armate turche sono il secondo più grande esercito della Nato dopo gli Stati Uniti e l’ottavo esercito del mondo. La Turchia è palesemente coinvolta nella destabilizzazione dell’area mediorientale e mediterranea, con intenti non sempre trasparenti e coerenti con i principi dell’Alleanza, come nel caso di questa guerra tra Hamas ed Israele.
Per quanto riguarda l’Italia, se vuole assumere una leadership strategica regionale nel Mediterraneo cui aspira, capace di esercitare influenza non soltanto economica, deve fare affidamento sulla Nato, ma anche sviluppare la propria capacità militare
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