Elezioni a Roma: una democrazia a metà (di Claudio Lombardi)

Il 52% di votanti per il sindaco e il consiglio comunale di Roma è un dato preoccupante che parla di un mezzo fallimento: quello delle forze politiche che chiedono il voto ai cittadini. Non di una o due, ma di tutte, movimenti di contestazione e forze antagoniste compresi. Chi è immune dalla degenerazione della corruzione, dalla concentrazione sui propri interessi e dall’assalto alla cosa pubblica per costruirci carriere personali dovrà pure domandarsi se il messaggio che lancia agli elettori è in grado di parlare oltre una ristretta cerchia di fans. Perché quando un candidato come Medici espressione di un vasto mondo di associazioni, forze politiche e comitati prende poco più del 2% dei voti bisogna domandarsi se questa cerchia sia il limite ineluttabile o se esiste la volontà di andare oltre.voto romano

Chi, invece, fa della protesta gridata la propria ragione di esistenza come il M5S si dovrebbe rendere conto che non si può vivere di sola protesta e che l’urlo “mandiamoli tutti a casa” a lungo andare stufa e appare un espediente teatrale, ma non una proposta di governo seria.

Poco c’è da dire sulla lista di Alfio Marchini evidentemente un personaggio inventato dal marketing che ha tentato di sedurre i romani presentandosi come una novità alternativa, ma non riuscendo a tirar fuori, nonostante un investimento milionario, più che una modesta percentuale di consensi. D’altra parte ciò che è riuscito a Berlusconi nel 1994 e cioè inventare da una rete pubblicitaria un partito, non è detto che possa riuscire sempre magari all’ombra del “partito” degli immobiliaristi romani.

Poco c’è da dire anche sul Pdl unione di una estrema destra romana fascista da sempre aggressiva e incapace (che Alemanno ha incarnato benissimo) e di uno pseudo partito agli ordini di Berlusconi. Cosa avrebbe potuto dire Alemanno di così forte da scalzare l’osservazione diretta e la vita vissuta di milioni di cittadini romani? Poco e, infatti, non sembra che le percentuali riflettano i successi che vengono declamati sui cartelloni pubblicitari in giro per la città. Il fatto è che il giudizio su Alemanno i romani lo hanno dato non andando a votare perché c’è un limite a tutto e anche un elettore di destra può avere un sussulto di ripulsa di fronte a ciò che la giunta comunale ha saputo fare in cinque anni.pollice versoMolto c’è da dire, invece, sul Pd perché questo partito avrebbe dovuto raccogliere la spinta al cambiamento che è fortissima. Marino prende il 43% dei voti espressi, ma questa percentuale sul 52% dei votanti fa poco più del 20% degli elettori. Cosa significa questo per il Pd? Forse bisognerebbe chiederlo al gruppo dirigente romano del partito che si è autotraslocato in Parlamento grazie a primarie fatte apposta perché fossero vinte da qualunque dirigente di partito si fosse presentato. Autocooptazione attraverso le primarie l’ha chiamata Fabrizio Barca in un recente discorso chiarendo che è il peggior sgarbo allo spirito delle primarie si potesse fare. Forse i giovani dirigenti romani potevano capire che c’è più bisogno di costruire il Pd a Roma che di avere loro stessi eletti in Parlamento. Il Pd deve decidere cosa vuole essere perché continuando così potrà eleggere un sindaco, ma la china è discendente e un partito che voglia atteggiarsi a partito-pigliatutto (un po’ di destra, un po’ di centro, un po’ di sinistra) e che si concentra sugli equilibri interni o si estingue o segue la strada del clientelismo sistematico per conquistarsi i consensi.dubbio2

In un paese nel quale la percentuale di votanti non è mai scesa sotto al 90% alle elezioni politiche dal 1948 al 1979; che ha oscillato dall’88% all’80% tra il 1983 e il 2008 e che si è fermata al 75% nel 2013 il 75% non si può dire che il popolo non esprima la sua voglia di partecipazione. Bisogna però che ci si presenti con opzioni chiare e con identità riconoscibili e rispettate.

Io non vedo proprio un distacco irreparabile tra popolo e istituzioni, tra elettorato e democrazia. Vedo i limiti di una democrazia azzoppata da decenni di degenerazione partitocratica e clientelare e da una deriva verso la sistematica illegalità del potere che ha caratterizzato il periodo berlusconiano. La riscossa dovrà essere culturale, politica, organizzativa e dovrà consistere in un cambiamento radicale rispetto al sistema attuale.

La democrazia non vive di sole elezioni e muore se la si riduce a delega permanente agli eletti che diventano un corpo separato e autorigenerantesi di gente che vive di politica. Per questo occorre pensare a percorsi di partecipazione che non coinvolgano soltanto gli iscritti dei partiti, ma tutti i cittadini nei confronti delle istituzioni. Dopo tanti anni nei quali il partito è stato anteposto allo Stato richiedendo ai militanti una fedeltà primaria e ai cittadini una delega in bianco ci vuole una svolta.assemblea di cittadini

La democrazia vive di partecipazione alla politica e non di soli partiti e di questo bisogna parlare perché il fondamento del governo della collettività è il rapporto tra cittadino e Stato e già a questo livello la strada deve essere aperta per l’ascolto e la responsabilizzazione. Nessuno sbarramento, ma tanti momenti di condivisione tra cittadini e istituzioni nei quali i partiti possono far valere la loro funzione di produrre sintesi e progetti politici. Se non ci si mette a questo livello non si tocca il cuore della crisi attuale della politica.

Claudio Lombardi

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