Elezioni Emilia Romagna: inizia la crisi del populismo?

Forse questi ultimi risultati elettorali dell’Emilia Romagna (mi limito a questa Regione) non sono che l’inizio di un’inversione di tendenza generale. Molto dipenderà da come reagiranno le forze di centrosinistra. Se coglieranno la richiesta che arriva loro di aprirsi, fatta anche in campagna elettorale da quel formidabile movimento delle Sardine,  riorganizzandosi sulle nuove esigenze di una società che certo guarda con preoccupazione al futuro, ma non è schiacciata dalla paura, che è ricca invece di fermenti, di inventiva, di cultura del fare e vuole contare nel mondo contando in primo luogo a casa propria, l’inversione di tendenza potrà consolidarsi.

E’ dalla primavera del 2018 che si assisteva ad una marcia trionfale della Lega, prima al governo con il M5s, poi all’opposizione dopo l’incauta richiesta dei “pieni poteri” di Salvini, unico uomo politico ad avere il proprio nome inserito nel logo di un partito che, infatti, si chiama “Lega per Salvini Premier”, un evidentissimo progetto politico che dovrebbe far sentire tutti più insicuri.

La richiesta dei “pieni poteri” per l’Italia era la coerente proiezione su scala nazionale di una visione della democrazia che hanno, consapevolmente o no, coloro che aderiscono a questo partito: pieni poteri per Salvini dentro la Lega, ed è impensabile che qualcuno si possa opporre, pieni poteri per lo stesso al governo (o al dominio?) dell’Italia. L’uomo ci credeva e gli atteggiamenti che assumeva erano da capo di un regime potenzialmente totalitario. Aveva dichiarato di voler liberare l’Emilia Romagna dal sistema di potere che la governa ininterrottamente da quando sono state istituite le Regioni, senza tenere conto del fatto che un sistema di potere così non può che reggersi su un robusto blocco sociale, su una capillare cultura del buongoverno e con un welfare tra i più avanzati al mondo.  E aveva detto che questo sarebbe stato un passo decisivo verso la liberazione (?) del Paese: un avviso di sfratto all’odiato Governo, ma anche alla democrazia come noi la conosciamo.

Si, l’uomo ci credeva, mostrava di credere alle sue stesse parole, e compiva atti oltre il limite del lecito, dell’assurdo, o del ridicolo (citofono del Pilastro, Bibbiano, tra tanti altri), che alimentavano paure sgangherate, per potersi presentare come l’uomo della provvidenza, l’uomo che risolve ogni problema con il buon senso del padre di famiglia, con le madonne e i rosari nelle mani, manco fosse Padre Pio. L’uomo ci credeva a tal punto da ordinare ai suoi uomini della Commissione parlamentare per le autorizzazioni a procedere, di votare a favore della richiesta del Tribunale dei Ministri sul processo per la nave “Gregoretti”, chiedendo poi all’intero popolo italiano di digiunare per lui, vittima di manovre oscure di Palazzo. Un segno di arroganza e di disprezzo della logica e della realtà.

Eppure ha perso. Ed hanno perso i candidati regionali di Forza Italia, di Fratelli d’Italia, della Lega, a partire dalla candidata a Presidente, Borgonzoni, oscurata per tutta la campagna elettorale dalla bulimia presenzialista di Salvini.

E’ da qui che bisogna cominciare a discutere, tenendo presente però anche l’altro segnale di cui non si parla mai seriamente perché dato per scontato in partenza: il venir meno, in modo direi drammatico, della spinta populista e trasversale dei cinquestelle (trasversale perché la tesi di Casaleggio è che esistono in politica solo idee buone o cattive e non importa nulla se siano di destra o di sinistra), che segnala una enorme difficoltà culturale ed una altrettanto enorme difficoltà politica per l’incapacità di rendere compatibili le spinte populiste sollecitate in campagna elettorale con le esigenze di governo di un grande Paese dell’occidente, delle sue Regioni, delle sue città (esemplari le esperienze di Roma e Torino).

Prima di introdurre l’argomento del centrosinistra, vorrei che si tenesse conto dei dati Istat esaminati da Marco Fortis, e pubblicati solo dopo le elezioni, secondo i quali negli ultimi due anni il PIL dell’Emilia Romagna è cresciuto più di quello della Lombardia e del Veneto (+4,2% in E.R., +3,1% in Veneto, +2,8% in Lombardia). Fortis si spinge a confrontare il dato dell’Emilia Romagna con quello della Germania (+4,0%). Questi dati mettono in condizione Fortis di dire che “Il partito del PIL non vota necessariamente Lega”. Questo dato era stato già registrato da analisti molto attenti che mettevano in rilievo il fatto che, anche nel Nord, alcune città molto importanti sono governate dal Centrosinistra e sono all’avanguardia in diversi campi, dalla produzione di beni e servizi, al welfare, ai sistemi culturali. In Lombardia ad esempio ci sono Milano, Brescia e Bergamo che appartengono alla tipologia appena citata. In Emilia Romagna Bologna, Modena, Reggio Emilia, insieme alle altre città. Non Ferrara però che è governata dalla Lega e rappresenta un caso a parte da studiare con attenzione.

Ecco che allora possiamo ritornare all’argomento iniziale e dire che forse, e sottolineo il forse, non siamo solo di fronte ad una battuta di arresto delle forze sovraniste e populiste, ma ad una vera e propria inversione di tendenza.

Molto dipenderà dalla capacità del campo del centrosinistra di rinnovarsi e riorganizzarsi tenendo presente tra l’altro la pressante richiesta che sembra venire dal movimento delle sardine, un movimento prevalentemente giovanile, ma moderato nei toni, che manifesta la volontà di un ritorno alla politica in controtendenza rispetto ai movimenti degli ultimi anni, e che probabilmente è molto più ampio di quello che appare.

Il centrosinistra dovrà per forza sostenere il governo arricchendolo di “visione” e “realismo” perché duri fino alla fine della legislatura facendo le riforme necessarie, in modo da consentire tra l’altro a questo Parlamento di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. È auspicabile un atteggiamento nei confronti dei cinquestelle che non ne aggravi l’inevitabile sensazione di sconfitta prevenendo crolli a livello parlamentare che sarebbero esiziali per il processo che si è innescato.  Mentre dovrà essere altissimo il tasso di cambiamento delle forze politiche che lo sostengono. Giusta l’idea prodiana e zingarettiana di aprire il PD a tutti coloro che vogliono un’Italia più democratica, più europea, più sicura di sé, che sappia rilanciare un processo di sviluppo sostenibile con solide basi culturali, un’Italia che sappia intervenire sulle diseguaglianze aprendosi ai giovani, integrare al meglio coloro che vengono da altre parti del globo, attenta alle necessità demografiche di una grande nazione. E’ molto più facile dirlo che farlo, ma i tempi sono strettissimi ed il Centrosinistra dovrà tenere conto dello iato che c’è tra il voto delle città e delle campagne, e della diversa idea di cittadinanza che si ha al Sud, per ragioni storiche.

Tra qualche mese si voterà in altre sette Regioni ed è prevedibile un’altra campagna elettorale stremante, che può essere fuorviante rispetto ai temi suaccennati, per il bisogno che avranno le destre di dimostrare che non è vero che c’è un’inversione di tendenza. Sono divise più di prima e la presenza debordante di una Lega che non può per statuto essere una cosa diversa dal suo leader può essere nociva da oggi in poi per un campo che deve strutturarsi dentro un sistema di democrazia liberale, pena la marginalizzazione internazionale del Paese.

Visto che andrà così sarebbe bene far trovare un terreno elettorale concimato diversamente, anche sul piano culturale, sia al Nord che al Sud, sia nelle città che nelle zone più periferiche, perché l’inversione di tendenza manifestata in Emilia Romagna si consolidi. Quindi serve una maggiore attenzione al ruolo delle Sardine evitandone la cooptazione che le porterebbe all’estinzione, ma anche al ruolo giocato dai media: giornali, radio e TV, Social network. Pensare che cambino spontaneamente rispetto ad un passato recente, quando hanno interpretato un ruolo determinante nell’affermazione dirompente dei populismi e dei sovranismi, sarebbe ingenuo e autolesionistico

Lanfranco Scalvenzi

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