Elezioni, Presidente, governo: interpretazioni e realtà (di Claudio Lombardi)
Elezioni, governo, Capo dello Stato. È importante non smarrire la distinzione tra interpretazioni e fatti sennò ognuno scrive il suo romanzo e pensa che sia reale.
Dunque i fatti. La scelta del Pd prima delle elezioni è stata chiara: alleanza con Sel e mai al governo con Berlusconi. Il massimo di “apertura” a destra è stato il dibattito sulla possibilità di un accordo col centro di Monti. Chissà perché la maggior parte dei commenti sorvolano su questo “piccolo” particolare: l’alleanza che è stata proposta agli elettori che prefigurava il futuro governo.
Dopo il voto ci sono stati TRE fatti nuovi: l’alleanza Pd-Sel non ha avuto la maggioranza per fare il governo; il Movimento 5 Stelle ha avuto tantissimi voti rispetto alle previsioni; il Pdl ha preso molti più voti (pur perdendone 6 milioni) di quelli che ci si aspettava.
Bersani ha puntato sull’alleanza col M5S, ma volendo essere lui a guidare il governo. Comprensibilmente il M5S ha detto no, ma non ha avanzato alcuna altra proposta alternativa credibile né lo ha fatto Bersani. Come tutti sanno per due mesi il Pd è rimasto incagliato sulla proposta di un governo Bersani con l’appoggio diretto, indiretto o condizionato del M5S. E il Movimento 5 Stelle ha replicato con tre opzioni: il governo Pd-Pdl che Grillo ha invocato da subito come la soluzione più naturale; un governo guidato dal 5 Stelle; la prosecuzione del governo Monti con il Parlamento a lavorare alla giornata senza una maggioranza politica, senza un programma di governo da attuare, senza distinzione fra maggioranza e opposizione. Purtroppo la più fondata fra le tre opzioni era la prima, il governo Pd-Pdl, perché le altre erano “voli di fantasia” senza alcuna credibilità, assolutamente inconsistenti e provocatorie. Il Pdl è stato il più apparentemente coerente e responsabile perché ha sempre detto che l’unico governo possibile era quello delle larghe intese.
Aggiungiamo al quadro la presenza di una forte componente del Pd ostile all’alleanza a sinistra, diffidente verso qualunque apertura a Grillo e favorevole o solo “sensibile” ad un accordo col centrodestra. I risultati elettorali, due mesi di stallo sulla proposta Bersani e il comportamento del M5S hanno rafforzato questa componente che si è allargata perché le diffidenze verso il 5 Stelle si sono ampliate e perché Bersani non è stato all’altezza della situazione cioè non ha saputo gestirla.
Mettiamoci anche che il Pd è un partito mai nato veramente cioè centrato su un’alleanza fra gruppi dirigenti scollegato da una base e da un’opinione pubblica che sono state usate per campagne elettorali, per primarie utili a sancire decisioni già prese (salvo quelle con Renzi) o per eventi di partito come feste e manifestazioni. Le scelte sono rimaste saldamente nelle mani di un’oligarchia di dirigenti e di eletti nelle assemblee rappresentative. E non sono mai state scelte decise e nette perché risentivano di complessi equilibri di potere e di carriera.
In questa situazione si è arrivati all’elezione del Presidente della Repubblica. A quel punto Bersani aveva già perso la sua partita e la situazione era compromessa perché il Pd non ha avuto il coraggio di avanzare, molto tempo prima, l’unica proposta che avesse un senso e da presentare come non negoziabile, quella di Prodi. Se l’avesse fatto, probabilmente, Prodi sarebbe stato eletto anche se dopo molti scrutini. Che il Pd non abbia preso questa strada significa esattamente che quel partito non era (e non è) in grado di scegliere una linea politica chiara senza mediare tra interessi diversi che non arrivano a sintesi.
Si è arrivati, quindi, alla proposta Marini che segnava la vittoria dell’ala del Pd disponibile alle larghe intese. La successiva proposta Prodi partiva già sconfitta per i tempi e per il modo. Un partito che si sarebbe dovuto schierare compatto e intransigente a sostegno di Prodi non esisteva e i 101 “traditori” non hanno fatto altro che evidenziare la situazione reale del Pd.
La proposta Rodotà avanzata dal M5S doveva essere votata dal Pd, perché a quel punto era l’unica possibilità per recuperare in extremis una situazione compromessa. Ma tutti sanno che se i franchi tiratori sono stati 101 per Prodi, per Rodotà sarebbero stati 200 e più e non sarebbe stato eletto. D’altra parte la buona volontà e la sincerità del M5S è stata dimostrata dalla rapidità con la quale Grillo ha tolto ogni sostegno a Prodi non appena il Pd ha deciso di votarlo. Prodi era nella lista votata nelle “Quirinarie” e i capigruppo del 5Stelle avevano detto che era votabile. Grillo li ha smentiti con durezza decidendo, LUI non l’assemblea degli eletti 5 Stelle, che mai Prodi avrebbe ricevuto il loro voto. Era quindi chiaro che la candidatura Rodotà serviva solo per mettere in difficoltà il Pd.
Se il Pd fosse stato un partito coeso poteva andare avanti con le votazioni bloccandosi sul suo candidato principale, Prodi. Ma il Pd dopo le dimissioni di Bersani era allo sbando e l’elezione di Napolitano e il successivo incarico a Letta sono stati le logiche conseguenze di una catastrofe politica annunciata. Una catastrofe che avrebbe travolto l’Italia se non si fosse messa una “pezza” in quel modo. Una “pezza” non la soluzione della crisi italiana.
Cosa serve ora ai cittadini? vederci chiaro, conoscere il più possibile la verità, noon farsi abbindolare dalle interpretazioni di tanti politicanti alla caccia dei voti o impegnati a nascondere le loro vere intenzioni e i loro errori. I cittadini hanno bisogno di verità per valutare e scegliere. E partire dall’analisi dei fatti è sempre un buon punto di partenza.
Claudio Lombardi
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