Espulsioni dei Rom: un caso di politica pubblicitaria ? (di Claudio Lombardi)

“Sono le emozioni a dare forza a un movimento”. “Io sono fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.

Cos’è? Sta parlando un filosofo, un poeta? No, sono due automobili che si presentano così ai possibili compratori. E poi c’è la giacca che evoca lo spirito degli eroi per chi la indossa e lo yogurt che invita a farci l’amore. Viviamo nell’epoca delle illusioni e dei simboli che contagiano tutti i campi. Anche la politica non ne è esente, anzi, in troppi casi tenta di basarsi più sulle illusioni e sulle emozioni che sui fatti e sulla razionalità. E così in epoca di crisi e di problemi seri e, a volte, serissimi e drammatici sulle prime pagine dei giornali compare la questione dell’espulsione dei Rom dalla Francia. Fanno eco il nostro Presidente del Consiglio e il ministro dell’interno che si associano e si apprestano ad emulare questa scelta.
Agli occhi dei cittadini ora sembra che questo sia uno dei problemi principali cui deve far fronte il Governo.
Se solo si riflette sulla concretezza delle cose si è indotti a dubitare dell’equilibrio psichico di chi attira l’attenzione e mostra di concentrarsi su questa campagna facendone addirittura oggetto di scontri a livello dei vertici europei. E’ evidente, però, che nessuno è impazzito, ma tutti sono ben consapevoli della potenza “pubblicitaria” e simbolica delle scelte che si fanno in politica. E non c’è arma migliore, quando ci si trova in difficoltà, che distrarre l’attenzione di chi deve giudicare (e votare) dai problemi seri per dirottarla su questioni secondarie, ma accompagnate da un forte simbolismo e da una carica di emotività esagerata.

Prima di far appello ai sentimenti di umanità e di solidarietà che pure hanno una funzione basilare per la coesistenza di una collettività (tutti potremmo averne bisogno e, quindi, è bene tenerli ben svegli), è meglio parlare di qualche cifra, così tanto per dare un’idea delle dimensioni in gioco.

Le stime dicono che la presenza dei Rom in Italia dovrebbe oscillare fra i 100 e i 140mila individui di cui la metà avrebbe la cittadinanza italiana. A Roma, per esempio, su oltre 2 milioni e mezzo di abitanti, la presenza nei campi, attrezzati, abusivi e tollerati sarebbe di circa 7mila persone. Tutto qui. Questo è il fenomeno Rom da noi.

Sono numeri che non dovrebbero impensierire nessuno anche perché nessuno nega che una parte di chi abita nei campi svolga attività illegali. Il fatto è, logica vuole, che chiunque si trovi a vivere in un campo senza un lavoro e, molto spesso, senza acqua, luce e fognature, prima o poi, diventi facile preda della scorciatoia dei furti o dello spaccio di droghe. Come in tutte le situazioni di marginalità sociale il problema è la povertà e l’assenza di assistenza che predispone ai reati e non il contrario.

Dalla politica e dai politici ci si aspetta che affrontino e risolvano i problemi non con la bacchetta magica, ma con la progettualità, i poteri e i mezzi di cui dispone chi dirige le istituzioni dello Stato. Senza progettualità e strategie appropriate volte all’inserimento di così poche persone nella vita normale che significa evocare la sicurezza dei cittadini come pretesto per operazioni di polizia che, lasciate a sé stesse, segnano il fallimento della politica e dello Stato? Quali piani ha predisposto il Governo (e comuni, province e regioni) per risolvere questo problema dando la possibilità di un inserimento pacifico e solidale? È evidente che quando ci sono reati questi vanno perseguiti con rigore. E, magari, è anche chiaro che la sorveglianza del territorio dovrebbe aumentare e che le strutture dedicate agli interventi sociali e al recupero delle situazioni di marginalità dovrebbero essere potenziate. Certo, fa impressione ascoltare leader politici evocare lo spettro degli zingari che si aggirano a rubare nelle nostre città e poi decidere il taglio dei fondi alle forze di polizia e all’amministrazione della giustizia. Si dubita della loro buona fede. Per non parlare dell’indulgenza nei confronti dei malfattori che si nascondono sotto le insegne di qualche partito politico. Si sospetta che ne traggano profitto.

Se vogliamo esprimere la nostra indignazione facciamolo contro chi è pagato per dirigere le istituzioni e non trova di meglio che tentare di scatenare le emozioni perché non è capace di agire positivamente. E guardiamo ai tanti, singoli e associati, che si impegnano a fare qualcosa di utile. L’obiettivo dovrebbe essere la chiusura dei campi di tutti i tipi e l’inserimento nelle scuole, nel lavoro, nelle attività sociali. Azioni di questo tipo sono fatte di tanti interventi anche piccoli che migliorano la situazione nei centri urbani e rafforzano la coesione sociale oltre che costituire persino un fattore di rilancio economico nelle comunità locali.

Questa dovrebbe essere la strategia e dovrebbe interessare chiunque voglia vivere sereno nel suo Paese.

Claudio Lombardi

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