Essere ebreo: la questione di Israele

Nella prima parte di questa intervista a Giovanni Terracina, classe 1946, abbiamo affrontato alcuni punti: come si diventa ebrei, cosa vuol dire esserlo, come il pregiudizio e l’ignoranza possano travisare l’adesione ad una religione ed influire sulla vita reale delle persone. Vediamo adesso di affrontare una questione che suscita sempre reazioni molto contrastate sia tra gli ebrei che tra coloro che non lo sono: l’atteggiamento nei confronti di Israele.

Non ci interessa qui analizzare la situazione mediorientale e non chiediamo a Giovanni Terracina un parere politico. Ci interessa conoscere il punto di vista di chi condivide una fede religiosa, ma non è un cittadino israeliano. Sapere con quali sentimenti guarda ad Israele e avere qualche elemento per capire come un ebreo italiano si ponga di fronte all’unico stato nato per accogliere gli ebrei di ogni parte del mondo. In sintesi: cosa rappresenta Israele per lei e quale futuro vorrebbe veder realizzato?

RISPOSTA

Non è facile separare il proprio giudizio su ciò che accade in questi giorni (ma in realtà da molti anni) in Medio Oriente dai sentimenti che provo per Israele. Cerco comunque di farlo.

Parto da una metafora: per me e per tutti gli ebrei del mondo, dopo la Shoah, Israele è una specie di assicurazione della quale, come tutte le assicurazioni, speriamo di non aver mai bisogno, ma è bene che ci sia. Basta studiare un po’ la storia e seguire le cronache di oggi per constatare che gli ebrei sono sempre stati oggetto o di persecuzioni o di odii o di intolleranza o di pregiudizi ed antipatie varie. Abbiamo già detto nella prima parte che un ebreo viene quasi sempre visto come se avesse un’origine diversa da quella che gli è propria come cittadino di uno Stato. E’ piuttosto strano considerato che gli ebrei da millenni non hanno avuto un impero, un regno, uno Stato e non hanno mai scatenato guerre di conquista schiacciando altri popoli. Nemmeno hanno creato una religione capace di mobilitare il fanatismo di masse di credenti. Non hanno dato vita ad un’ideologia che predica l’attuazione di una società perfetta e per la quale è giusto dividere il mondo. Hanno pensato a coltivare la religione, a lavorare e a studiare. Davvero non si capisce perché oggi in Francia, negli Usa, in Germania o in qualunque altro paese gli ebrei debbano essere oggetto di atti persecutori. Infatti, per accusarli di qualcosa, si è sempre fatto ricorso a storie inventate. Prima c’erano i Protocolli dei savi di Sion (un clamoroso falso creato dalla polizia zarista, ma ripreso tuttora da ignoranti e provocatori almeno uno dei quali incredibilmente siede in Parlamento), poi sono stati ritenuti responsabili di un complotto per impadronirsi dell’Europa (e Hitler lo ha messo alla base della sua “soluzione finale”) e infine di muovere i fili della finanza mondiale. Tutti pretesti per trovare un motivo di condanna che non può avere fondamento nella realtà.

Con queste premesse e ricordando quando e come è maturata la decisione mondiale di dar vita ad uno Stato degli ebrei dopo la fine della guerra, non è difficile capire perché Israele abbia un significato particolare per ognuno di noi. In tanti abbiamo visto un bel film di Roman Polanski – L’ufficiale e la spia – che racconta l’affare Dreyfus e mostra come venivano considerati gli ebrei nella Francia di fine ‘800. Non parliamo poi di ciò che è accaduto con il nazismo e la “soluzione finale” di Hitler. Solo due esempi del prezzo pagato dagli ebrei nel corso del tempo. Ecco, come italiano spero di non dover mai lasciare il mio Paese, ma se dovessi essere costretto, saprei dove andare. Dispiace dirlo, ma per noi ebrei il timore di doverlo fare per vivere serenamente c’è. Fa parte della nostra memoria storica.

D’altra parte è già accaduto e accade tuttora. Ci sono ebrei che si trasferiscono in Israele da paesi europei Italia compresa. Sarebbe bello che a nessuno venisse in mente di farlo, ma questo succede.

Israele però non è una teocrazia, bensì una democrazia. Vera. Che è stata capace di accogliere ed integrare persone provenienti da varie parti del mondo. Anche arabi di religione ebraica che rischiavano la vita nei loro paesi di origine. Convivono pacificamente diverse religioni ed etnie. La componente non ebrea più importante è quella degli arabi musulmani  che non sono discriminati in nulla. Io percepisco Israele come un paese-rifugio capace di accogliere quelli che sono  stati costretti a fuggire.

Israele è anche un paese all’avanguardia in tutti campi: medico, scientifico, culturale e dove la qualità della vita è ad alti livelli. Il tutto in un contesto di guerra intermittente che costringe ad una mobilitazione costante di tutta la popolazione.

Spesso mi sono trovato a dovermi giustificare per qualche scelta di Israele come se io potessi interferire con la politica israeliana e spesso ho trovato un muro di stupidità anche in persone con le quali, prima di parlare del Medio Oriente, pensavo di condividere molte idee.

So benissimo perché Israele suscita contrasti così forti. La spiegazione si chiama guerra. Sì diciamolo chiaramente: lo stato israeliano ha condotto numerose operazioni di guerra. Dalla sua fondazione non lo hanno mai lasciato in pace. Non devo certo fare propaganda perché ci sono biblioteche di storia che spiegano i fatti. Israele nasce come piccolo Stato e tale è rimasto. Basti pensare che supera di poco gli 8 milioni di abitanti. E quanti sono quelli che vivono negli stati che si sono opposti alla sua esistenza e con i quali si è scontrata nel corso degli anni? Non sbaglio se dico oltre 100 milioni. E non ci sono forse ancora adesso movimenti agguerriti e stati che hanno come obiettivo la distruzione di Israele?

Sì la guerra porta violenza e bisognerebbe non farla. Per questo non si capisce perché scandalizzano le azioni israeliane e non quelle di chi si propone di eliminarla.

Tra l’altro in sede ONU si sono schierati contro Israele paesi che non conoscono le libertà e i diritti che sono praticati nell’unica democrazia del Medio Oriente. E nessuno ha censurato le dichiarazioni che giuravano morte ad Israele. Attenzione: non reazione verso singole azioni militari, ma morte ad un intero Stato. Credo che il problema sia che quello è lo Stato degli Ebrei per cui non gli viene  concesso quello che viene tollerato per altri.

Come prevedevo il discorso si è allargato, ma è un bene che sia così. Vivere in pace è l’aspirazione più forte dell’essere umano. Basterebbe che ci lasciassero in pace dove viviamo e che tutti accettassero la presenza di Israele e che collaborassero per rendere la vita più piacevole in quella parte del mondo. Se leggiamo le cronache del passato ci rendiamo conto che i viaggiatori trovavano in quei territori desolazione, deserto e povertà. Nessuno ha impedito per secoli a chi ci viveva di renderli floridi e ospitali. E nessuno lo impedisce adesso. Israele ci è riuscito. Seguitene l’esempio invece di tentare di distruggerlo. Nessuno ve lo impedirà

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