Europa ed Africa: il timore e la speranza

Europa ed Africa. Le previsioni demografiche dicono che la prima è destinata a perdere da qui alla fine del secolo più di 100 milioni di abitanti. La seconda quasi li quintuplicherà. In numeri le cose stanno così: oggi 456 milioni l’Europa contro 540 dell’Africa, nel 2050 374 milioni e 1,3 miliardi, nel 2100 324 milioni e 2,53 miliardi. Di qui il parere unanime che un travaso di esseri umani ci dovrà essere e pure in misura consistente. Per l’Italia alcuni prevedono che per mantenere l’attuale livello della popolazione serviranno milioni di immigrati. In tutta l’Europa più di cento. Arriveranno tutti dall’Africa? Non è detto e d’altra parte già oggi il mix delle provenienze è molto vario. Ma certo l’Africa è vicina e dunque sarà inevitabile che da lì verrà la quota più consistente dell’immigrazione.

natalità caloLe cause di questa situazione sono note: natalità in calo, mancata sostituzione dei morti, invecchiamento della popolazione e decrescita netta della sua consistenza. Non tutti i paesi sono uguali però. Francia, Irlanda e Svezia sono vicine al tasso ideale di natalità (2,1 figli per donna); l’Italia è molto lontana con il suo 1,4. Alcune domande sono ovvie. Il tasso di natalità è modificabile? Se sì vuol dire che può anche crescere. Non è detto che i giovani e le famiglie non possano essere aiutati e che non decidano di generare più figli. Certo gli stili e le scelte di vita contano molto, ma la Francia dimostra che qualcosa si può fare. Ipotizziamo che si riuscisse a ridurre molto il declino demografico, ciò significherebbe che ci sarebbe bisogno di meno immigrati? Se ci si limita a prendere come base i numeri attuali la risposta dovrebbe essere sì: siamo 60 milioni e tanti dobbiamo rimanere non ci serve aumentare di numero.

E invece fare più figli potrebbe non bastare perché ciò che cambierà sarà la composizione della popolazione ovvero gli anziani aumenteranno, moriranno di meno e assorbiranno risorse. Dunque la stabilità non risolve il problema. Ci vorrebbero più nascite ben oltre il tasso di sostituzione ovvero più giovani in età di lavoro. A meno di non trasformare le donne italiane (ed europee) in fattrici dedite solo alla generazione dei figli qualcuno da fuori dovrà arrivare a darci una mano.

famiglie numeroseDa fuori significa innanzitutto dall’Africa che non va, però, considerata solo un serbatoio di mano d’opera a buon mercato e nemmeno una minaccia. Negli ultimi anni l’incremento del Pil di molti paesi africani si è avvicinato ai livelli cinesi, il tasso di natalità è diminuito ed è destinato a crescere l’invecchiamento della popolazione. È probabile, inoltre, che lo sviluppo economico porti a stili di vita diversi da quelli attuali e anche ad una ridefinizione del ruolo della donna. Probabilità non certezza, ma una probabilità che può essere aiutata ed aiutare molto nel diminuire la pressione verso l’emigrazione. E cosa può aiutare? La collaborazione con l’Europa che possiede capitali e tecnologie per spingere lo sviluppo dei paesi africani. La Cina lo sta già facendo e non certo per scongiurare una possibile ondata migratoria verso i suoi confini. Però la strada è quella. Ed è una strada chiaramente indicata dal governo italiano già da un paio d’anni con il suo Migration Compact.

Non si tratta, quindi, di eliminare l’immigrazione, ma di disciplinarla e di inserirla dentro una politica che abbia al suo centro l’integrazione. Possiamo pensare che l’immigrazione del prossimo futuro potrà essere quella dei barconi o, meglio, quella gestita dai trafficanti (con o senza Ong a completarne l’opera)? Evidentemente no. Nel prossimo futuro l’automazione progredirà velocemente e molti lavori non specializzati saranno effettuati da macchine robotizzate. È un cambiamento al quale dovremmo prepararci da adesso e che riguarderà innanzitutto chi è nato qui. Le cose non saranno facili e molti lavori bisognerà reinventarli. In questo scenario un’immigrazione incontrollata potrà solo creare tensioni micidiali e non servirà all’economia.

sbarchi migrantiÈ dunque quanto mai giusta la linea adottata dal governo italiano (e condivisa adesso dai principali partner europei) di bloccare il traffico di migranti, di avviare una politica di coinvolgimento dei paesi africani con l’obiettivo non di aiutarli genericamente, ma di collaborare a progetti che favoriscano lo sviluppo economico locale e, contemporaneamente, organizzarsi per selezionare sul posto e con il controllo di organismi internazionali le domande di asilo politico. E per raccogliere le richieste di permessi finalizzati alla ricerca del lavoro (magari dando la precedenza a chi ha una formazione professionale).

In ogni caso l’integrazione è e sarà il punto centrale. Abbandonando ogni buonismo multiculturalista dobbiamo essere consapevoli e far capire a chi arriva (e prima ancora che parta) che l’integrazione sarà innanzitutto culturale e non sarà alla pari. Ovvero su alcuni punti non ci saranno compromessi e non dovrà essere possibile dire “nel mio paese si fa così e lo voglio fare anche qui”. Senza fretta e senza animosità, ma su questioni come la libertà, la parità tra uomini e donne, la separazione tra potere civile e religione, il rispetto dell’individuo non ci sono compromessi possibili. Fare chiarezza su questi punti farà bene anche a noi e, se accanto ai corsi di italiano per i richiedenti asilo riattiveremo l’educazione civica nelle scuole magari trasmetteremo anche ai giovani italiani il valore di questi principi

Claudio Lombardi

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