Finita l’era Berlusconi ripartiamo dalla partecipazione (di Claudio Lombardi)

“libertà è partecipazione” questo ritornello di una geniale canzone di Giorgio Gaber che risale al 1972 insieme con tutte le strofe che la componevano, vale più di un discorso politico lungo e complesso. Con la prodigiosa sintesi della poesia pronuncia una delle verità più controverse delle democrazie occidentali nate all’insegna della libertà. L’uomo, cioè l’essere umano, al centro della canzone vorrebbe misurare la sua libertà nella natura, nell’esplorazione scientifica, nella creatività artistica e nella democrazia (l’uomo “che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà”). Ma non basta dice Gaber perché “la libertà è partecipazione”. Perché dice così? Forse che la libertà non basta? Vediamo.

La crisi che sta scuotendo l’occidente, per unanime opinione, è stata causata, in gran parte, da un’abnorme espansione delle attività finanziarie che si sono svincolate sia dai confini nazionali che dalle attività produttive di beni e servizi. Anche grazie alla globalizzazione e alla crescita dei debiti pubblici degli stati si è creato un intreccio che, moltiplicando gli strumenti finanziari costruiti uno sull’altro, messi in circolazione e acquistati da banche, società finanziarie e investitori privati, sta soffocando le economie nazionali. Perché? Semplice: i soldi stampati dalle banche centrali sono stati dirottati per sostenere il sistema finanziario per impedire un gigantesco crollo dei debiti e dei crediti. Per questo le economie soffrono, i debiti pubblici statali sono aumentati e si è scatenata la corsa ai tagli dei bilanci pubblici. Un disastro. Di chi è la colpa? Secondo il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace di un ”liberismo economico senza regole e senza controlli”, che, trasformato in una ”ideologia”, ha avuto negli ultimi decenni un ”effetto devastante” che mette a rischio la stessa pace mondiale.

E il liberismo muove dall’affermazione che la libertà individuale di agire nell’economia non deve trovare ostacoli nell’intervento degli stati cioè delle autorità pubbliche deputate a garantire il bene comune.

In Italia si sta concludendo una lunga stagione politica inaugurata all’insegna della libertà. I risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti perché la libertà di fare non ha prodotto sviluppo e benessere, ma disordine, frantumazione sociale e abbandono dei beni comuni.

Ma perché aveva (e ha) ragione Gaber? Cos’ha in più la partecipazione rispetto alla pura libertà?

La risposta sta nell’esistenza di una collettività che può chiamarsi stato, regione, comune, Europa, mondo. Questi sono gli ambiti nei quali la libertà di ciascuno si esercita non in uno spazio vuoto o popolato di presenze ostili. La partecipazione richiede la collaborazione, la condivisione di regole e valori e potenzia l’agire individuale perché lo inserisce in un contesto che lo rende più forte grazie ai servizi e all’organizzazione sociale.

In questi giorni in molti stanno riscoprendo il valore della partecipazione e dei beni comuni.

Un solo esempio. Il Presidente della Provincia di Roma, Zingaretti, in un incontro pubblico a Bologna ha ricevuto un grande applauso quando ha invocato la partecipazione dei cittadini ed ha affermato che da loro deve arrivare la valutazione dei servizi pubblici e delle pubbliche amministrazioni.

È uno dei tanti segnali che la domanda di partecipazione è cresciuta molto e che sta (forse) prendendo il posto di quella generica spinta alla libertà di agire che determinò una svolta politica nel 1994 portando al potere il signor Berlusconi.

E però anche qui bisogna dire qualcosa. Invocare la partecipazione è sacrosanto, ma occorre specificare cosa si intende per partecipazione. Se si tratta di quella alle manifestazioni pubbliche, ai cortei e al voto bisogna dire che da tempo ha dimostrato la sua insufficienza a garantire non solo la democrazia, ma anche la produttività sociale cioè la capacità di utilizzare la competenza dei cittadini per migliorare l’organizzazione dei servizi, le politiche pubbliche e la qualità della vita.

Come la deriva populista ha sempre dimostrato una democrazia che si limiti a questo, prima o poi, rischia di essere vittima di condottieri che saltano le “complicazioni istituzionali” e le regole della legalità per mettersi in diretto contatto con la volontà popolare della quale pretendono di esprimere l’essenza. Berlusconi lo ha detto e ha cercato di farlo, per esempio, e vediamo come sta finendo la sua stagione e come siamo messi noi italiani.

No, la partecipazione è cosa più complessa e deve mettere in circolazione la competenza dei cittadini a giudicare degli affari pubblici non limitandosi ad attribuire una delega per la decisione a corpi specializzati di politici di professione.

Gli ingredienti di una buona partecipazione non sono molti: capacità di conoscere, apertura al dialogo, trasparenza delle informazioni, creazione di percorsi decisionali nei quali la partecipazione sia organizzata e in grado di convogliare anche quella spontanea del singolo in un processo collettivo.

Complicato? No, sono pezzi di un modello flessibile che possono essere scomposti e ricomposti per adattarsi alle diverse realtà.

Tutto da inventare? No, qualcosa già esiste. La metodologia della valutazione civica, per esempio, raccoglie molti di questi elementi, ma, forse, l’espressione migliore di questo nuovo modello sta in un piccolo comma di una legge di qualche anno fa. Si tratta del comma 461 della legge n. 244 del 2007. Poco conosciuto e inapplicato andrebbe riscoperto perché contiene gli ingredienti giusti per una partecipazione buona ed efficace. Quali? L’efficacia del servizio messa al centro (quindi produttività sociale perché l’inefficacia è uno spreco); la condivisione delle funzioni di monitoraggio e controllo tra ente locale, associazioni dei cittadini e singoli che vogliano far conoscere il loro giudizio (si stimola la crescita qualitativa delle associazioni e si introduce un diritto di ascolto per il singolo, si crea un circuito virtuoso istituzioni e cittadini); una verifica annuale che mette al centro il giudizio dei cittadini (diventa una verifica delle politiche locali che mette al centro il giudizio dei cittadini). L’essenza del comma 461 sta nel superamento degli sbarramenti e nella trasformazione della politica che inizia dalla dimensione locale ad essere condivisa tra enti pubblici, associazioni e singoli cittadini. Pensato per i servizi pubblici locali può essere preso a riferimento per qualunque ambito pubblico nel quale si producano decisioni su un servizio per la collettività o su un bene comune.

Questo modello sarebbe anche la migliore prosecuzione della campagna sul bene comune acqua dopo il successo dei referendum. Non si penserà mica che tutto è risolto perchè, allontanati i privati, ora ci pensano gli assessori? No, in questa Italia non basta: ci vuole la partecipazione, l’unica risorsa affinchè la libertà non si riduca, come dice Gaber, all’uomo “che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà”.

Claudio Lombardi

1 commento
  1. ANDREA dice:

    VADA A FARSI FOTTERE QUEL DEMONE DI BERLUSCONI.PAGHI TUTTO IL SUO MALAFFARE UNA VOLTA PER TUTTE.CI STA DISTRUGGENDO QUEL BUGIARDO

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