Genitori contro figli? I giovani e il lavoro
Continua la saga dell’epiteto con cui vengono etichettati i giovani. Di recente il commissario unico di Expo Giuseppe Sala ha dichiarato che la gran parte di coloro che hanno inviato un curriculum ha rifiutato offerte di lavoro remunerate tra 1.300 e 1.500 euro e sarà un grosso problema trovare qualche centinaio di lavoratori. Aldo Grasso, noto giornalista e docente si è subito scagliato contro i bamboccioni e sono partite in rete le invettive: molte migliaia di persone non hanno esitato ad ingiuriare i giovani, sarebbero loro, troppo schizzinosi e poco avvezzi al lavoro, il più grosso limite del nostro paese.
Nell’Italia provata da anni di crisi economica e da anni di pochezza di idee la questione sociale si interseca con quella giovanile, ma non la sostituisce perché sono i figli di chi ha meno a pagare a più caro prezzo le transizioni scuola-lavoro troppo lunghe, la disoccupazione giovanile e gli stage non retribuiti. Affermare che i giovani non trovano lavoro perché hanno pretese esagerate e non accettano la fatica altro non che è una moderna rivisitazione della convinzione Thatcheriana secondo cui i poveri sono poveri per colpa loro. La prima generazione italiana che ha passato tutta la vita senza conoscere la guerra oggi si scopre liberista con i suoi figli, ma lo è stata ben poco con se stessa nei decenni precedenti.
In Italia ci sono circa 3 milioni di disoccupati, ma gli esperti del mercato del lavoro affermano che sarebbe utile conteggiare anche gli sfiduciati per fare comparazioni con altri paesi. Secondo diversi ed autorevoli analisti in realtà i disoccupati in Italia sono 5 o 6 milioni. Ci insegna la teoria economica che più alta è la disoccupazione più si riscontra disponibilità ad accettare opportunità di lavoro poco allettanti, sia dal punto di vista della remunerazione che da quello delle mansioni. Sui manuali di economia politica è riportata una formula che tutti gli studenti di economia hanno almeno una volta nella vita scritto su un foglio durante un esame che lega salari e disoccupazione. Ora io credo non occorra aver studiato economia politica per capire che in un paese ove ci sono 5 o 6 milioni di disoccupati o sfiduciati non si possa fare fatica a riempire 15.000 o 20.000 posizioni lavorative remunerate 1.300 o più euro al mese, come non si può far fatica a riempire un secchio nell’oceano.
Del resto un sociologo del lavoro incisivo e preparato come Francesco Giubileo ben prima delle sparate di Sala e Grasso ha più volte segnalato, numeri alla mano, che non è vero che in Italia chiunque può trovare un lavoro se si accontenta. Giubileo scrive negli ultimi anni in merito almeno tre articoli illuminanti per Linkiesta (“non esistono lavori che i giovani non vogliono fare”; “diffidate da chi vi dice che ci sono tanti posti di lavoro”; “ la disoccupazione reale è il doppio di quella ufficiale”.
Scriveva un paio di settimane fa sul Corriere della Sera Antonella De Ruggero che in Cina gli ingegneri italiani hanno molto successo, sono considerati più preparati dei cinesi e si accontentano di stipendi più bassi dei cinesi. Non è mai metodologicamente corretto citare la propria esperienza quando si parla di mercato del lavoro, eppure io che ho amici delle superiori che lavorano in Gran Bretagna, in Germania e addirittura in Nigeria e Cina mi chiedo spesso su quale pianeta vivano coloro che affermano che i giovani italiani sono disoccupati perché cercano un lavoro solo sotto casa. E’ vero che in altri paesi tra cui la stracitata (spesso a sproposito) Germania i buoni livelli di occupazione sono stati raggiunti anche grazie al fatto che i giovani che rifiutano il lavoro perdono il sussidio erogato dallo Stato, ma in Italia i giovani che non hanno mai lavorato non hanno nessun assegno. Se si ritiene opportuno che un giovane fuori dal mercato del lavoro debba accettare anche un lavoro pagato poche centinaia di euro in una grande città lontano da casa, lo Stato deve integrare la remunerazione con un adeguato contributo per l’alloggio.
E’ chiaro che c’è qualcosa che non gira nella ricostruzione di Grasso e Sala. La verità è che Expo purtroppo si fonderà sul lavoro di qualche migliaio di giovani volontari, che avranno al massimo un rimborso spese per l’alloggio ed a cui verrà comunicata l’assunzione negli ultimi giorni di Aprile. Non è certo il massimo per chi deve prendere un aereo per arrivare a Milano. Eppure tutto ciò non basta ancora a sfatare il mito dei bamboccioni. La voglia dei baby boomers, o almeno di troppi di loro, di sottolineare la loro differenza e superiorità morale e materiale rispetto ai propri figli è più forte di un fiume di accurate ricerche. Allora basta un video di un Grasso che passa per strada (tra l’altro è un esperto di cinema e non di mercato del lavoro), per scatenare l’ira funesta dei vecchi contro i giovani.
Mi permetto quindi, forse con un pizzico di presunzione, di consigliare alla generazione dei miei genitori di smetterla di prendere a calci i figli (e tra l’altro troppo spesso non i propri ma quelli degli altri), perché l’Italia del calo demografico e della fuga dei cervelli ha bisogno disperato dei giovani. Ma, in particolare, vista la scarsa propensione degli italiani ad iscriversi a facoltà scientifiche, bisogna mettere a punto al più presto una strategia per rendere più allettante questo paese per i nostri migliori ingegneri e per i nostri fisici e chimici, ed anche per quelli che potrebbero arrivare dall’estero. Se non si affronta così il problema continuare a parlare di innovazione per tornare a crescere avrà la stessa valenza di due chiacchiere in ascensore sul clima
Salvatore Sinagra
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