Giovani, svegliatevi (di Giovanna Faggionato)

Pubblichiamo un articolo tratto da www.lettera43.it che rappresenta un punto di vista sulla questione giovanile che merita di essere conosciuto e dibattuto.

La chiamano generazione jobless, senza lavoro. Oppure perduta, come la Gioventù che diede il titolo a un film di Pietro Germi nel dopo guerra. Sono i giovani europei dai 20 ai 30 anni: un’infornata di vite interrotte dalla crisi finanziaria globale, dal riposizionamento strutturale dell’Europa nell’economia mondiale e dallo scoppio della bolla del debito pubblico italiano.
Un insieme di crisi sovrapposte ha deviato le loro biografie, modificato le abitudini e ristretto le prospettive. Forse per sempre. La stampa americana vi ha dedicato rivoli di inchiostro, la politica nostrana fiumi di parole. Ma pochi, in compenso, hanno provato ad affrontare la realtà per quella che è, a capire chi sono veramente i giovani perduti d’Europa, che prospettive hanno e come sarà il mondo quando finalmente vi troveranno posto.

LA PAROLA AGLI ESPERTI. Lettera43.it ha cercato di capire chi sono e cosa possono aspettarsi dalla vita, dialogando con il senatore, già ministro del Lavoro, Tiziano Treu, e con il sociologo, già direttore del Censis, Nadio Delai. Con un primo consiglio da tenere a mente: «I ragazzi devono prendere in mano il loro destino, dare uno scossone al sistema», ha esordito Treu. Ma partendo dalla realtà: «Devono smettere di lottare per avere il futuro dei genitori», ha avvertito Delai, «perché quello non lo avranno mai».

La crisi e un mercato del lavoro morto

La crisi del sistema Italia e dei suoi giovani risale a metà degli anni Duemila, ben prima dello scoppio della bolla dei subprime americana che ha trascinato l’economia mondiale nella recessione. Buona parte della classe imprenditoriale e politica italiana ha abbassato gli occhi, fatto finta di non vedere o incolpato qualcun altro. Il risultato è  che in Italia la platea dei perduti è più ampia che in altri Paesi.

Con buona approssimazione si può dire che la generazione jobless comprende chi oggi ha dai 20 e ai 35 anni. Poi sono arrivati a farci compagnia anche spagnoli, portoghesi e greci, ma anche francesi e olandesi. In un’Eurozona in cui la disoccupazione giovanile ha toccato il tasso record del 22,6%, si può dire che tedeschi e scandinavi sono l’eccezione.

APPRENDISTATO DIFFUSO. L’Italia in più si è presentata di fronte alla crisi con strumenti di protezione ormai diventati trappole. E le imprese hanno utilizzato il sistema della cassa integrazione per parcheggiare rami d’azienda decotti.

Secondo l’ex ministro invertire la rotta si può: con l’introduzione massiccia dell’apprendistato e con investimenti nella ricerca. «Tutte cose che già sappiamo, ma che non sono mai state fatte», ha commentato amaro. «Se iniziamo domani mattina, tra due o tre anni avremo risultati. In Germania,  intanto, il 60% dei giovani entra nel mercato del lavoro grazie a questa formula. Persino l’ex numero uno di Mercedes è stato apprendista».

TUTELARE I GIOVANI. Certo c’è un problema di volontà politica, di ricambio della  classe dirigente, ammette Treu, responsabile dell’introduzione nel 1996 dei primi contratti di lavoro interinale. Un’iniziativa di cui non è affatto pentito: «Il problema sono le aziende che distorcono gli strumenti, la precarietà diffusa delle false partite Iva». E poi la politica immobile: «Renzi», ha commentato il senatore, «sta tirando calci negli stinchi e, anche se non lo ritengo un genio, spero che continui».

Dopo tante speranze mal riposte, però, sarebbe stupido affidare il destino di una generazione a un nuovo parlamento e sperare nella politica. Piuttosto conviene prendere consapevolezza delle prospettive e costruire il proprio progetto individuale. Tenendo conto di quattro macro tendenze.

1. Meno università e figli prima

Il consiglio degli esperti è rassegnarsi su un punto: la vita da studente sarà più corta, l’illusione dell’istruzione perpetua è finita. E il mercato del lavoro Ue non tornerà ai livelli pre crisi: il sistema continentale sta dimagrendo ed è destinato a rimanere sottopeso.
In questo scenario l’Italia vanta istituti d’istruzione secondaria di eccellenza, equivalenti per preparazione alle università triennali francesi e tedesche e dovrebbe sfruttarli al meglio.
AL LAVORO A 22 ANNI. L’ingresso nel mondo del lavoro avverrà prima: in media a 22 anni, dopo una laurea triennale, sul modello dei Paesi del Nord. I master saranno probabilmente per pochi, sperando che non siano solo per pochi ricchi. «Non si può continuare a spostare la selezione sempre in avanti», ha argomentato Treu. “E anche la biologia si adatterà al nuovo sistema: si faranno figli prima e il ciclo di vita ritornerà ad assomigliare a quello dei ventenni degli anni Cinquanta e Sessanta.”

2. Il ritorno dell’industria, imprenditoria sociale e nuovo artigianato

Secondo trend: i grandi fiumi del lavoro si sono esauriti. Finiti gli impieghi pubblici, scomparsi i concorsi, ma ridotti anche gli sbocchi nei servizi, da sempre  ventre molle dell’economia italiana.
Finora tutti potevano improvvisarsi consulenti o tentare la professione di avvocato, regalandoci il più alto tasso di legulei in Europa, in media 3,7 ogni mille abitanti, quando la Germania si ferma a 1,8 e la Francia allo 0,8.

FINITA LA BOLLA DEI SERVIZI. Il terziario è destinato a sgonfiarsi almeno fino al 2017, poi la selezione sarà più stretta. Intanto sarebbe bene rivalutare le opportunità occupazionali offerte dall’architrave dell’economia italiana: la piccola e media industria. Rivalutare quindi le professionalità tecniche, anche altamente qualificate, nei campi dell’elettronica, dell’idraulica o della meccanica. Una conseguenza inevitabile sarà la contrazione verticale della scala sociale. «Forse l’universitario tornerà a fare il tornitore», ha ammesso Delai.

CURA E MANUTENZIONE. In compenso si amplieranno le possibilità nel campo dell’assistenza e della cura della persona e della famiglia, il settore paramedico e dell’educazione. E poi altro spazio ci sarà nella manutenzione del territorio e, se la classe dirigente dimostrasse intelligenza, dei beni culturali. Probabile anche un ritorno al mestiere di artigiano, anche creativo, intellettuale, magari digitalizzato: un artigianato degli anni Dieci del Terzo millennio.

3. Il disimpegno dello Stato e un nuovo equilibrio famigliare

L’altra tendenza in atto con cui confrontarsi è il progressivo ritiro dello Stato dall’intervento economico. Ci sarà dunque uno spostamento forzoso dagli impieghi pubblici a quelli privati. E sarà necessario un cambiamento profondo di mentalità, inclusa quella della famiglia.
Questa generazione smetterà di offrire ai figli abitazioni e case e piuttosto pagherà loro un soggiorno all’estero per trovare lavoro. Si passerà insomma da un investimento nella rendita a uno produttivo anche nel bilancio famigliare. L’erosione del risparmio privato, necessaria per affrontare la crisi attuale, farà sì che si ritorni al punto di partenza: ogni generazione dovrà fare da sé. Il divario tra aspettativa di vita e realtà, infatti, è destinato ad allargarsi ulteriormente: «Questa generazione ha impattato in un cambio del ciclo di vita e ora ha l’onere di costruire il proprio futuro», ha affermato Delai.

4. Nuovi migranti e una scommessa da vincere

Per costruirlo, questo futuro negato, tanti prenderanno la valigia. Una minoranza l’ha già fatto, ma oggi il 54% dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni vive coi genitori. Nei prossimi anni invece la rotta Catania – Torino su cui negli Anni 60 si mossero 3 milioni di persone, con punte di 700 mila migranti l’anno, sarà sostituita dalla Rovigo – Stoccolma, cioè dalla migrazione verso il Nord Europa. L’orizzonte diventerà quello continentale e lavorare a 200 chilometri da casa potrebbe essere normale.

TOPI NEL FORMAGGIO. «E basta dire che la generazione precedente ha rubato loro il futuro, quando magari hanno potuto studiare grazie alla pensione dei genitori. Anche loro sono topi che hanno rosicchiato nel formaggio», ha sintetizzato Delai con una metafora.
Topi pieni di illusioni gonfiate a dismisura, che a un certo punto hanno visto scoppiare la bolla delle aspettative: «Abbiamo vissuto un periodo in cui ogni desiderio era un diritto per tutti. C’è stata la bolla del mattone e della finanza e anche quella dell’individualismo».
Paradossalmente il sociologo trentino è convinto che debba tornare anche la solidarietà: «Competitività e solidarietà sono ingredienti da equilibrare in ogni società. E per troppo tempo la prima ha dominato la seconda». Forse sarà questa la chiave con cui vincere la scommessa. Forse un giorno la gioventù che oggi è perduta sarà ricordata per essere stata capace di svoltare e di costruirsi un futuro diverso.

Giovanna Faggionato da www.lettera43.it

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