Governare gli italiani non è impossibile: è inutile. Vero o falso?
“Governare gli italiani non è impossibile, è inutile”. Il dramma di Genova riporta alla mente questa lapidaria sentenza attribuita a un personaggio che governò con la dittatura e che portò l’Italia alla rovina. In un ventennio egli, forse, non riuscì a dimostrare l’inutilità del governo, ma certamente dimostrò la pericolosità e l’inettitudine della classe dirigente italiana di allora.
Il dramma di Genova – annunciato, previsto, certo – porta sul palcoscenico della storia e della cronaca tutti i personaggi che hanno fatto grande e difficilmente risolvibile la crisi italiana. La politica in primo luogo, lestissima a costruire percorsi di privilegio per il mondo che le ruota attorno e che è la prima base del suo potere. Mille casi esemplari: dal finanziamento esagerato a disposizione di ogni capriccio degli eletti alle spese inutili a favore di clienti e supporters (che solo a furor di popolo è stato ridimensionato sennò, fosse stato per i politici, continuava come prima); dalle truffe degli appalti pubblici che partono da 100 in tot anni per approdare con la complicità di tutti a 1.000 in tot anni moltiplicati per 3 o per 4, agli enti inutili e alle cariche che nessuna spending review riuscirà mai a toccare (oggi ricordava un giornalista l’esistenza del commissario al terremoto dell’Irpinia, anno 1980, ancora in carica al modico prezzo di 100mila euro annui).
La burocrazia che alimenta sé stessa nel più assoluto disinteresse dei risultati dell’azione amministrativa e che scrive le normative da far approvare nelle assemblee elettive o da far emanare dai politici che rivestono cariche di governo quasi mai in grado di capire ciò che approvano.
Le magistrature, specie quelle amministrative, che conobbero nel passato innumerevoli privilegi (arbitrati, doppi e tripli stipendi) e che, intrise di una cultura giuridica formalistica, si avviluppano in sempre più complicati giri di codicilli ben al riparo, quando le cose si mettono male, di norme complicate e mal scritte (non è colpa mia, io applico le norme…).
Gli italiani, suddivisi in una miriade di interessi particolari che, per prassi e cultura, vengono sempre anteposti all’interesse generale.
Il dramma di Genova ci ricorda che non è la mancanza di soldi a rovinarci, ma l’incapacità di indirizzarli a finalità utili alla collettività. Se non vogliamo fermarci al caso particolare guardiamo all’Europa bloccata da un rigorismo ottuso nel culto del pareggio di bilancio, un totem assurdo e fuori dal mondo. Ma con che faccia eleviamo grida di dolore per non poter spendere tutto ciò che ci è necessario quando i finanziamenti europei a noi destinati restano in buona parte inutilizzati per nostra incapacità di spenderli?
Non è una novità, ma una notizia ormai stagionata, che rischiamo di perdere – oggi, tra poco, non in un lontano futuro – una quindicina di miliardi di euro di fondi europei per infrastrutture, sviluppo e coesione. Cos’è, abbiamo perso la proverbiale creatività italiana e non sappiamo che farne (a parte la truffa della finta formazione professionale)? E il nostro territorio che frana? E le scuole che cadono in pezzi? È noto che la Spagna con i fondi europei ha rimodernato mezzo paese quindi si può fare. Perché noi no?
Dispiace che i problemi di un sistema bloccato e ormai dannoso non siano il centro delle lotte di quella che si definisce sinistra. Per anni incapace di uscire dalla coazione a ripetere “abbasso Berlusconi” e adesso imprigionata nella sempiterna difesa di qualcosa. Mai pronta a prendere l’iniziativa per costruire un sistema di governo diverso. Diverso anche a costo di pestare i piedi a gruppi di propri sostenitori o ad interessi consolidati in quel vasto mondo collegato alla politica nel quale tutti hanno costruito proprie zone di influenza.
Purtroppo il discorso va esteso anche a buona parte di quella che si definisce cittadinanza attiva raccolta in comitati, associazioni e movimenti la cui mobilitazione scatta ad ogni proposta e ad ogni progetto contro il quale la risposta immediata è di bloccare tutto perché qualunque cambiamento viene visto come l’espressione di una qualche forma di speculazione. Molte volte è la verità, ma altre è solo la resistenza a conservare ciò che esiste e che non deve essere toccato.
Ciò che occorre è una nuova politica e nuove forme di rappresentanza di interessi sociali. Le precondizioni per farlo ci sarebbero pure se si formasse una volontà collettiva e organizzata intorno ad un programma di cambiamento. Per ora bisogna contentarsi dei proclami e delle azioni di Renzi che cominciano a mostrare molte crepe e lati oscuri facendo intravedere i corposi interessi e i limiti culturali che li condizionano
Claudio Lombardi
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