Il governo, il contratto e il rischio

Dopo 80 giorni di discussioni, trattative e tergiversazioni per la formazione di un governo oggi 23 maggio sembra che un Presidente del Consiglio incaricato uscirà dal Quirinale. Sarà il prof Giuseppe Conte sul quale già molto è stato detto ed è difficile aggiungere altro. Alla sua prima esperienza politica vedremo se sarà un mero esecutore di un patto di governo deciso dai responsabili politici di M5S e Lega o un Capo del governo che rientra nella definizione dell’articolo 95 della Costituzione (“Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”). Dovrà comunque rappresentare l’Italia in tutte le sedi internazionali e negli organismi sovranazionali dei quali facciamo parte ed è difficile pensare che debba/possa essere guidato passo passo dalla diarchia Salvini – Di Maio che ha firmato il contratto di governo (con tanto di autenticazione delle firme come si usa nei compromessi immobiliari!).

Ma quale è il senso del governo che sta per nascere? Se ci si rifà al contratto faticosamente scritto in molti giorni di lavoro non lo si percepisce chiaramente. Il testo sembra fatto apposta per un’attuazione dilazionata e annacquata, adattabile ai mutamenti dei contesti nei quali vuole intervenire. Anche sui punti cruciali dei programmi elettorali di M5S e Lega (flat tax e reddito di cittadinanza per esempio) la nettezza e l’intransigenza con la quale sono stati proposti all’opinione pubblica lasciano il posto ad un approccio più “morbido” che lascia nel vago tempi e modalità di realizzazione. Si percepisce la prudenza di chi si lascia aperte varie strade. Nel vago è la questione fondamentale dei mezzi finanziari per realizzare un programma la cui quantificazione (effettuata da Carlo Cottarelli e non dai suoi estensori) oscilla tra 108 e 125 miliardi di euro a fronte di un incremento di entrate per 500 milioni di euro. Anche per i rapporti con l’Europa si ricorre a formule generiche (revisione dei trattati) che appaiono più come intenzioni che come decisioni irremovibili. Lo stesso si può dire della questione del deficit (“Per quanto riguarda le politiche sul deficit si prevede, attraverso la ridiscussione dei Trattati dell’UE e del quadro normativo principale a livello europeo, una programmazione pluriennale volta ad assicurare il finanziamento delle proposte oggetto del presente contratto attraverso il recupero di risorse derivanti dal taglio agli sprechi, la gestione del debito e un appropriato e limitato ricorso al deficit”). Con formulazioni così si può andare avanti per anni dicendo che si persegue un obiettivo, ma, di fatto, rinviandolo sempre un poco più in là. E poiché a questa formulazione un po’ fumosa è legata l’attuazione di tutto il contratto si capisce che si lascia aperta la porta ad una politica dei piccoli passi ben diversa da quella aggressiva, intransigente e roboante con la quale Lega e 5 Stelle si sono proposti all’elettorato.

Che governo nascerà dunque? Prevedibilmente sarà un governo con molte facce. Una sarà sicuramente quella della prudenza per durare più dello spazio di pochi mesi che molti gli assegnano. Un’altra sarà quella dell’intransigenza per tenersi pronti non appena apparisse una prospettiva elettorale. Un’altra ancora sarà quella dell’antieuropeismo perché è un facile capro espiatorio per ritardi, inefficienze e fallimenti sempre possibili nell’attuazione di un programma vasto e senza basi solide.

Il senso di questo governo sembra essere quello di un (estremo?) tentativo di aggirare i limiti strutturali del sistema Italia attraverso un’espansione della spesa pubblica e un giro di vite sui reati. La frattura tra Nord e Sud, la pubblica amministrazione che non funziona, la convivenza civile resa difficile da politiche pubbliche inefficaci, le attività produttive di beni e servizi che non trovano infrastrutture efficienti, la formazione che non prepara i giovani ad inserirsi nel mondo del lavoro. Sono tanti i problemi e poco il tempo a disposizione perché M5S e Lega hanno raccontato agli italiani che loro avevano la soluzione e che gli altri (i governi a guida Pd) erano collusi con tutti quelli che vogliono approfittarsi dell’Italia. La tentazione di indicare al malcontento il “nemico” Europa c’è è inutile nasconderlo. Così come è costitutivo della Lega l’obiettivo di uscire dall’euro. Oggi si pigia sul freno perché c’è la consapevolezza dello sfracello che si provocherebbe imboccando questa strada. Ma la preferenza resta. Se passasse troppo tempo senza risultati i nuovi governanti o dovrebbero ammettere che l’unica strada percorribile nel contesto interno ed internazionale è quella dei piccoli passi (cioè quella seguita dai governi a guida Pd negli ultimi anni) o sarebbero tentati da forzature e rotture pericolose. L’immediata crescita dello spread all’annuncio del nuovo governo dimostra che questo rischio è avvertito da chi decide di “metterci i soldi”. Dobbiamo solo sperare che al dunque prevalga il buon senso, sennò il prezzo che pagheremo come italiani stavolta sarà il più alto di sempre

Claudio Lombardi

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