I limiti del sistema Italia secondo Susanna Tamaro
Tempo fa sul Corriere della sera comparve un articolo firmato da Susanna Tamaro che, accantonati per un momento i panni della scrittrice di successo, si mise a parlare dei limiti del sistema Italia che aveva riscontrato nella sua esperienza di vita reale nella piccola Umbria.
L’Umbria che “non è una landa desolata, devastata dalla malavita. È, o almeno era, una regione baciata dalla fortuna. Gode di un grande patrimonio storico artistico, oltre che di un paesaggio incantevole … ancora integro e pieno di fascino, di una natura collinare e montuosa che sarebbe il paradiso per le piccole coltivazioni di qualità e per il turismo verde”. Allora, si domandava, “come è possibile questo stato di gravissima sofferenza economica e di inerzia produttiva?”
Proprio dall’osservazione del territorio la Tamaro cominciava ad evidenziare alcuni tratti del “modello italiano” che non riguardano sicuramente solo gli esempi riportati nel suo scritto. E cosa vede? Uliveti non più curati, vigneti lasciati “malinconicamente inselvatichire” perché “per un privato, possedere un uliveto, spesso ereditato, è ormai una vera maledizione. La raccolta delle olive è un’operazione lunga e faticosa e, fino a qualche anno fa, era possibile unicamente grazie alle grandi famiglie e alle comunità del posto che si rendevano disponibili a dare una mano. Ma ora non è più fattibile. Per legge, infatti, sui propri terreni possono lavorare soltanto i parenti strettissimi, padri e figli. Qualsiasi altra persona, lontano cugino, amico, vicino di casa, deve essere regolarmente retribuito. Così, chi chiamava gli amici a raccogliere le olive, regalando alla fine parte del raccolto per farsi l’olio non lo fa più perché rischia una multa in grado di abbattere un bilancio familiare. Produrre l’olio per trarne un guadagno dalla vendita è possibile forse ormai soltanto a chi possiede enormi estensioni di olivi e macchine in grado di effettuare la raccolta”.
Tutti capiamo che l’intenzione è quella di contrastare il lavoro nero, ma, il problema vero è quello creato dalla “pletora di leggi, leggine, controleggi, balzelli, ordinanze, contro ordinanze gestite da un gran numero di enti spesso in contrasto tra loro — Comunità Montana, Forestale, Asl, Provincia, Regione, ministero dell’Agricoltura, Unione Europea e chi più ne ha più ne metta — che attuano degli ossessivi controlli degni di uno Stato totalitario. Controlli che avrebbero il fine ultimo di circoscrivere gli abusi ma che in realtà servono soltanto ad esasperare e a legare le mani a chi vuole intraprendere qualcosa, mentre i disonesti, i veri criminali, continuano a fare indisturbati quello che vogliono: frodi alimentari, caporalato, sottrazioni truffaldine all’Europa, ecc.”
Altro settore stesso problema. Il caso è quello dei piccoli artigiani (parrucchieri, falegnami, fabbri) che vogliano insegnare il loro mestiere a giovani apprendisti.
Anche in questo caso leggi e regolamenti prescrivono il rispetto di regole severe messe a tutela della salubrità dei luoghi di lavoro e dei diritti dei lavoratori, ma il cui peso è eccessivo per figure professionali che non possono permettersi di rispettarle e, quindi, preferiscono non accogliere alcun apprendista e non crescere. Il sistema Italia prevede sempre tante norme scritte a tavolino, ma senza preoccuparsi del loro effetto reale.
Non si tratta, però, solo di esperienze di altri perché l’autrice dell’articolo parla anche del suo caso personale. “Io stessa gestisco una piccola attività turistica e questo mi ha permesso di capire le vere ragioni della paralisi della società italiana molto più di un saggio di economia o di un summit di specialisti sulla crisi. Bisogna provare a fare le cose nel nostro Paese per toccare con mano l’impossibilità di farle”. Infatti “per ottenere un semplice certificato dalla Comunità Montana dell’Umbria — ma non erano state abolite? — ho dovuto aspettare più di un anno e se alla fine sono riuscita ad ottenerlo è solo grazie a qualcuno che conosceva qualcuno che, a sua volta, conosceva qualcuno… Non averlo ottenuto in tempo, naturalmente, mi ha danneggiato ma di questo danno non posso rifarmi in alcun modo”. …. E non finisce qui.
Il racconto prosegue: “sono andata al Consorzio Agrario per comprare i prodotti per il trattamento primaverile del frutteto, della vigna e dell’uliveto e ho scoperto che non potevo più farlo. Non sto parlando di prodotti tossici — per cui c’è stato sempre giustamente l’obbligo di un patentino — ma di sostanze umilmente arcaiche come la poltiglia bordolese e l’olio minerale. Per decisione del ministero, ora per comprare il verderame bisogna frequentare un corso che dura tre giorni e costa 200 euro, con relativo esame finale”.
La conclusione è amara. “Come avrebbe fatto il Paese nel Dopoguerra a risorgere se tutti avessero dovuto combattere con le infinite e assurde leggi imposte da questo Stato che tra un po’ vorrà decidere anche di quanti centimetri sarà il fazzoletto in cui dovremo soffiarci il naso? L’Italia è un Paese popolato per la maggior parte da persone oneste, di buona volontà e di grande inventiva. Le aziende familiari, le piccole realtà sono state, fino all’arrivo della crisi, l’intelaiatura sana della nostra società. Ma ora non è più così e pare che la politica, al di là dei programmi e dei proclami, non se ne voglia accorgere. I falegnami vanno in pensione e chiudono, così come i fabbri, senza lasciare eredi. Le campagne sono in stato di degrado e di abbandono. Il numero sempre più alto di ragazzi che lasciano l’Italia dovrebbe rendere insonne qualsiasi politico. Perché qui non si parla solo di cervelli in fuga — quelli sono già andati tutti — ma anche di braccia e di gambe”.
La responsabilità è “dell’ottusità di un apparato statale che tratta le persone oneste e per bene come possibili truffatori e resta per lo più inerme verso i veri delinquenti. Uno Stato che, nonostante i grandi proclami, continua a considerare chiunque voglia intraprendere un’attività un capitalista senza scrupoli, uno schiavista in pectore a cui vanno tagliate le gambe prima ancora che cominci a camminare”.
Il punto di vista di Susanna Tamaro è parziale, ma pone problemi che toccano questioni cruciali con le quali qualunque italiano che abbia provato o che voglia provare ad avviare un’attività lavorativa ha dovuto e dovrà fare i conti. No decisamente questo non è un Paese semplice
C. L.
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