ICI per la Chiesa e attività di assistenza sociale (di Paolo Baronti)
1.Premessa
1.1. La richiesta di far pagare l’ICI alla Chiesa cattolica. Si allarga ogni giorno di più il fronte politico, confortato dalla pubblica opinione, di chi vorrebbe maglie più strette per far pagare l’ICI anche alla Chiesa su tutti gli immobili in cui si svolgono attività commerciali. Una petizione in tal senso ha già superato, infatti, le centomila adesioni. Mentre il Governo incide sulla carne viva delle condizioni di vita di milioni di cittadini, ogni situazione ritenuta di privilegio appare sempre più intollerabile.
1.2.La replica della CEI. Sul quotidiano della CEI – Avvenire- il direttore Marco Tarquinio, qualifica tale offensiva, come diretta contro la solidarietà: «I promotori della nuova campagna anti-Chiesa, che ha risposto acremente agli appelli del mondo cattolico per misure fiscali pro famiglia e anti evasione, vogliono in realtà tassare la solidarietà». Il giornale dei vescovi ribadisce che l’esenzione compensa il welfare erogato dalle strutture ecclesiastiche. «Chiunque altro risponderebbe con una serrata dimostrativa di almeno sette giorni delle proprie attività . Ma una settimana senza carità cristiana l’Italia non se la merita e non se la potrebbe permettere, soprattutto oggi. E i cattolici, poi, non sanno nemmeno come si fa una serrata” Il presidente della CEI card. Bagnasco ha comunque affermato di essere disponibile a ridiscutere tutta la materia.
1.3. Il contesto normativo Intanto non è solo la Chiesa che gode di tale privilegio ma gli immobili in cui si erogano servizi di rilievo sociale da soggetti non commerciali (le Onlus per esempio) . Invero per la Chiesa cattolica la normativa vigente- il decreto legge n. 223/2006 – nel superare l’esenzione totale, ha stabilito che la stessa «si intende applicabile alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale»: una disciplina invero poco trasparente, passibile di interpretazioni estensive, che peraltro sono emerse durante le ispezioni commissionate dai Comuni, e che, non a caso, ha determinato un’inchiesta della Commissione Europea, contro il Governo italiano per sospetti «aiuti di Stato» alla Chiesa e violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza. Lo stesso Bagnasco ha chiesto che vengano sanzionati gli eventuali abusi.
1.4. Le stime sul valore di tale esenzione. Secondo stime dell’Anci aggiornate al 2007 – quando ancora esisteva l’Ici sulla prima casa – l’esenzione vale 400 milioni di euro l’anno, al netto dell’inflazione e della rivalutazione degli estimi catastali prevista dalla manovra. Come è noto, solo i luoghi di culto, di pertinenza religiosa o che svolgono funzioni di assistenza ai bisognosi sono esentati dalla legge.
2. La proposta
2.1. Una normativa trasparente per una parità di trattamento L’attuale disciplina, sopra citata, effettivamente risulta poco trasparente, in quanto passibile di interpretazioni estensive molto diffuse, che inducono valutazioni negative nella pubblica opinione. A ciò si aggiungano altri provvedimenti adottati dal precedente Governo, come quello che nel 2009 disponeva che i 10. 586. 000 euro assegnati al capitolo “Beni culturali” fossero finalizzati a restauri e interventi in favore di 26 immobili ecclesiastici con ciò sancendo una deviazione di fondi dallo Stato alla Chiesa cattolica. Il tutto disposto da un presidente del Consiglio (Berlusconi) molto interessato ad acquisire il “perdono” della Segreteria di Stato Vaticana per uno dei tanti comportamenti personali che colpivano la moralità cattolica. Il prezzo che fu pagato fu una violazione sostanziale del volere dei cittadini, che con l’8 per mille li avevano destinati a finalità ed enti diversi dalla Chiesa Cattolica. Nessuna responsabilità per i vertici della CEI, ma una diffusa valutazione negativa persino nei deputati della maggioranza di centrodestra della commissione Bilancio di Montecitorio. La prima proposta è quindi di riscrivere la citata norma del decreto legge n. 223/06 nel senso di eliminare ogni possibile estensione impropria delle esenzioni ICI.
2.2 Adeguare il riconoscimento economico per le attività di assistenza svolte dalle organizzazioni ecclesiali. La ricchezza materiale della Chiesa, unita al voto di povertà dei suoi membri e ad una progressiva opera di assistenza caritatevole è un caposaldo su cui si è costruito nei secoli il ruolo della Chiesa nel mondo: una visione lungimirante, spesso contestata, nei periodi storici in cui si erano allentati i vincoli al voto di povertà, ma che ha consentito alla Chiesa di essere una realtà viva ed operante nella attuale realtà globalizzata, a fronte di un ceto politico, almeno in Italia, sempre più rattrappito in una visione corta, senza lungimiranza, attento quasi esclusivamente alle proprie personali prospettive di carriera. Pertanto la richiesta di ulteriori risorse finanziarie da parte della Chiesa non appare di per sé un atteggiamento negativo da condannare. Si tratta solo di verificare l’attendibilità delle affermazioni ed individuare le modalità corrette rispettose delle leggi per provvedere. Il Rapporto annuale della Caritas, oltre ai vari rapporti elaborati dalle Diocesi, ci consegnano un Paese dove per le famiglie ed i cittadini in difficoltà le strutture della Chiesa cattolica sono ormai un riferimento per trovare un sostegno ed un aiuto economico. La crisi economica e dei bilanci pubblici hanno prodotto, come è noto, un taglio radicale delle risorse destinate all’assistenza e al sostegno delle fasce più deboli della popolazione. Ciò è accaduto col Governo Berlusconi, ma si è tradotto in ulteriori misure in gran parte dei Comuni che hanno ridotto automaticamente i servizi. Ciò ha portato, altrettanto automaticamente, una crescente pressione sulle strutture assistenziali della Chiesa con un notevole aumento delle richieste da parte delle persone che chiedono aiuto.
Si tratta, pertanto, non di difendere l’improprio privilegio dell’esenzione ICI su immobili ad uso commerciale, anzi occorre rapidamente eliminare ogni equivoco ed ogni sfruttamento dell’esenzione. Occorre anche, però, riconoscere l’attività assistenziale e applicare il disposto della legge n. 222 del 20 maggio 1985, che regola l’Intesa tra Stato e Chiesa a seguito della revisione del Concordato, la quale, all’art. art. 49 statuisce che “Al termine di ogni triennio successivo al 1989, una apposita commissione paritetica, nominata dall’autorità governativa e dalla Conferenza episcopale italiana, procede alla revisione dell’importo deducibile di cui all’articolo 46 e alla valutazione del gettito della quota IRPEF di cui all’articolo 47, al fine di predisporre eventuali modifiche”. Si tratta pertanto di prendere atto dell’aumento dell’attività svolta dalla Chiesa cattolica e adeguare l’importo dell’8 per mille portandolo per il prossimo triennio al 10 per mille. Ciò significherebbe, secondo i dati 2010 che indicano il fondo dell’8 per mille pari a 1067 mln di euro e la percentuale spettante alla Chiesa cattolica dell’85,01%, una somma pari a 227 milioni di Euro, la quale appare congrua e comunque riscontrabile e verificabile da parte di tutti i cittadini italiani presso le mense, le strutture di accoglienza, i servizi di ascolto presenti in numerosissime città italiane.
Paolo Baronti
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