Il caso Moretti: tagli, merito ed equità retributiva (di Salvatore Sinagra)
Spending review, tagli alle retribuzioni dei manager e polemiche sulle dichiarazioni dell’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato (“potrei andare a lavorare all’estero se mi tagliano lo stipendio”) ci stanno accompagnando ormai da più di una settimana.
Per i tanti italiani che vivono con poche centinaia di euro al mese è assolutamente incomprensibile che esista una retribuzione di un manager di un’azienda di Stato che arriva a 70 mila euro al mese, ma dobbiamo porci qualche interrogativo perché la questione è complessa e assai spinosa.
Il tema è più quello della necessaria correzione delle disuguaglianze (crescenti in Italia come in quasi tutto l’occidente) che quello dei risparmi effettivi che si potranno realizzare sui conti delle società di proprietà pubblica e sul bilancio dello Stato. Contrariamente a quanto si pensa una diversa politica delle retribuzioni può rendere più efficienti i sistemi di governo delle imprese in mano pubblica perché migliora la selezione delle persone, la loro motivazione e tiene a freno l’eccessiva “generosità” verso i vertici che caratterizza (di solito) le scelte politiche sul management. L’eccessiva disuguaglianza, infatti, porta arbitrio e, quindi, inefficienza.
La conferma viene dalla Svizzera con il recente referendum sui limiti da imporre alle retribuzioni dei manager delle società quotate in borsa. Anche nell’Unione Europea sono stati posti limiti ai compensi variabili dei manager delle banche nell’ambito della normativa che stabilisce i requisiti di capitale degli istituti di credito (accordi di Basilea III). Piccoli cambiamenti, ma significativi.
Va detto che il problema di come compensare i risultati positivi di gestione c’è e non si può affermare che qualunque neolaureato potrebbe, per esempio, fare l’amministratore delegato di un’azienda come le FS. Proprio il caso delle Ferrovie dello Stato pone il problema perché rispetto al passato, i progressi con la gestione Moretti ci sono stati (bilancio 2011 e 2012 con 300 e 400 milioni di utili; 2000 posti di lavoro creati nel solo 2012). Le vecchie gestioni delle FS, ai tempi di Catania e Cimoli, si caratterizzavano per i premi spropositati che andavano ai vertici (per i due citati liquidazione di 6,7 milioni di euro) e per i bilanci in rosso oltre che per la pessima immagine dell’azienda, pregiudicata da malfunzionamenti e standard di servizio indecorosi.
Comunque ben venga una politica di austerity sulle retribuzioni anche ai piani alti del palazzo Italia ma bisogna tener conto di:
1) I compensi dei manager delle società quotate: se si taglia la remunerazione degli amministratori delegati di Trenitalia, Poste Italiane e Cassa Depositi e Prestiti occorre fare una riflessione anche sui compensi degli amministratori delegati e direttori generali delle società quotate in mano pubblica, Enel ed Eni per esempio. E’ irragionevole, per esempio, che il numero uno di Eni guadagni un multiplo dello stipendio del numero uno di Trenitalia (nel 2012 ben 6,5 milioni)
2) Il compenso del presidente del Cda: E’ urgente correggere al ribasso i compensi dei presidenti dei consigli di amministrazione delle società quotate. I presidenti dei CdA, pur essendo i numeri due delle società dietro all’amministratore delegato, hanno un ruolo di garanzia e più di un milione di euro l’anno per un garante è eccessivo e non trova riscontro in Europa
3) Mega-pensioni: E’ assurdo tagliare lo stipendio di un manager come Moretti e non intaccare le mega-pensioni. La questione è assai controversa perché la Corte Costituzionale ha di recente censurato tagli proposti che andavano in questa direzione. In Italia il pensionato meglio pagato guadagna oltre 90.000 euro al mese, ovvero un milione centomila euro l’anno, più dello stipendio (ante taglio) di Moretti e, per la cronaca, non è un politico. Si deve cercare una “strada costituzionale” per intaccare trattamenti pensionistici tanto alti da apparire irragionevoli
4) Dirigenti delle PA: Occorre verificare l’allineamento dei compensi al mercato dei dirigenti delle PA; comuni, provincie e regioni spesso sono caratterizzati da diseguaglianze retributive maggiori di quelle di banche e società quotate.
5) Partecipate: Occorre procedere alla semplificazione delle partecipate pubbliche specie nelle regioni e nei comuni. Se per esempio un comune accentrasse tutti i servizi erogati su una sola municipalizzata si otterrebbero consistenti risparmi solo con il taglio dei cda , dei dirigenti e degli organi di controllo
6) Criteri per sostituire chi se ne va: meglio sostituire eventuali defezioni di manager a causa dei tagli alle retribuzioni con meccanismi di carriera interna onde minimizzare il rischio che un provvedimento di “equità retributiva” non diventi occasione per distribuire posti di responsabilità ad amici e parenti
7) Razionalità dei compensi variabili: è accettabile che l’amministratore delegato o il direttore generale di Trenitalia o Poste Italiane sia remunerato più del Capo dello Stato, ma a condizione che migliori i conti della società senza abusare dei privilegi del monopolio e consegua le finalità che ha la proprietà pubblica di un’azienda; ad un compenso fisso di 150.000/200.000 euro si potrebbe aggiungere un bonus di pari livello legato al miglioramento di lungo periodo della società. Non è invece accettabile che siano erogati bonus non connessi ad alcun risultato o a risultati di breve periodo: troppo spesso i manager massimizzano il reddito della società nell’orizzonte del piano aziendale (3 anni solitamente) compromettendo la performance di lungo periodo dell’azienda e talvolta anche la sua stabilità. Lasciar passare un congruo lasso di tempo tra cessazione dall’incarico ed erogazione del bonus sarebbe una garanzia di impegno nel miglioramento di lungo periodo.
Insomma l’approccio è più vasto e il taglio di alcune retribuzioni è solo una parte del tutto
Salvatore Sinagra
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